Raccontare una nuova storia

a cura di Roberta Pedrotti

 

Pesarese, il chitarrista classico Eugenio Della Chiara debutta al Rossini Opera Festival con un concerto solistico nel 2013, a ventidue anni. Laureato in lettere classiche con una tesi sulla Cenerentola e vincitore di due borse di studio della Fondazione Rossini, vanta già un curriculum artistico e accademico di tutto rispetto, coronato ora da una nuova uscita discografica dedicata allo stesso programma proposto nel concerto pesarese: una serie di inediti commissionati per l'occasione dallo stesso interprete e affiancati alla Grande sonata per chitarra sola di Paganini. Gli abbiamo chiesto di raccontarsi all'Ape musicale a partire proprio dalla nascita di questo progetto.

Nelle note di copertina del CD Rossini Mania lei racconta di come l'idea di contattare dei compositori contemporanei per un omaggio a Rossini sia nata in seguito a un colloquio con Alberto Zedda. In origine qual è stato il suo approccio come chitarrista alla musica del Pesarese? In particolare, aveva preso in considerazione le Rossiniane di Giuliani o altri brani ottocenteschi o c'era già un interesse verso il XX e il XXI secolo?

I miei primi incontri con la musica di Rossini sono stati un Comte Ory allestito dal Rossini Opera Festival nel 2003 cui ho assistito quando avevo dodici anni e un Barbiere di Siviglia del 2005 - altra produzione “pesarese” - di cui ricordo la fantasiosa regia di Ronconi e lo straordinario “all star” cast. Come chitarrista mi sono avvicinato alla musica del primo Ottocento soprattutto attraverso la Grande Sonata di Paganini: nei tre movimenti in cui essa si articola l’elemento melodico ha sempre un carattere di preminenza, nei frangenti di intimo lirismo come in quelli attraversati da un forte slancio virtuosistico. Non credo di poter concepire questa sonata al di fuori del suo rapporto con il mondo del belcanto: visto in relazione a questo linguaggio - così fortemente rossiniano - ogni aspetto di questa musica è proiettato verso il suo senso ultimo di equilibrio ideale. L’interesse per la musica contemporanea nasce invece da una serie di fattori che si sono combinati nella realizzazione di questo progetto; il primo di essi è l’interesse che ha suscitato in me la collaborazione che ho visto in atto, nel corso di questi anni, tra il mio maestro Piero Bonaguri e i compositori che scrivono nuove musiche per lui. Rendendomi conto di come il rapporto con questi musicisti contribuisse in modo decisivo alla sua crescita artistica ho cominciato a desiderare di poter intraprendere a mia volta un percorso analogo. L’occasione di dare vita a questo intento si è materializzata quando Alberto Zedda - parlando della possibilità di un mio recital all’edizione 2013 del ROF - mi ha chiesto di presentargli un programma che non fosse “museale”, ovvero non incentrato sugli omaggi che erano stati tributati a Rossini dai suoi contemporanei. Di fronte a questa proposta ho subito pensato che sarebbe stato bello proporre delle nuove musiche ispirate da alcuni passi della produzione rossiniana: in quest’idea c’era sicuramente buona dose d’incoscienza, ma percepivo come irresistibile il desiderio di rendere omaggio - con il mio strumento - al compositore a cui in questi anni mi sono sentito più legato.

Cosa cambia nell'elaborazione di trascrizioni e reminiscenze ottocentesche rispetto a lavori come quelli che ascoltiamo nel CD?

C’è una grande differenza di intenti fra le grandi parafrasi rossiniane del primo Ottocento e i brani che mi sono stati scritti per questo progetto. Per fare un esempio familiare a molti, le Rossiniane di Giuliani sono state scritte essenzialmente per due fini: il primo era replicare lo spettacolo dell’opera nei contesti più disparati, il secondo può essere individuato nella volontà di dimostrare come anche uno strumento particolare come la chitarra, se usato con arte, possa rievocare in qualche modo un evento alla cui realizzazione contribuiscono decine di persone. I brani che mi sono stati dedicati per questo progetto traggono sì spunto da materiale musicale rossiniano, ma lo fanno per raccontare una nuova storia; la musica di Rossini non è parafrasata ma “sublimata”, reinterpretata a partire dalla sensibilità dei sei compositori che mi hanno accompagnato in questo lavoro: ho visto nascere così dei brani animati da un pensiero musicale fortemente autonomo.

Fra brani e frammenti di grande repertorio colpisce la scelta di una cellula ritmica, reiterata in modo quasi ossessivo, tratta da Zelmira: è stata una scelta di Ugoletti? Un suo suggerimento? In generale come si è rapportato da esecutore-committente con i compositori?

Il rapporto con i compositori è probabilmente ciò che, in questo lavoro, mi ha fatto crescere maggiormente dal punto di vista artistico e umano. Mi sono trovato a collaborare con musicisti che hanno sulle spalle molti più anni di esperienza rispetto a me: questo avrebbe potuto dividerci, ma su tutto ha prevalso il desiderio di veder nascere delle nuove composizioni animate da un particolare rapporto fra presente e passato. Ogni autore si è confrontato con la musica di Rossini a partire dai materiali musicali che percepiva come più adatti a far emergere la propria poetica: io non ho influito in alcun modo sulla selezione dei temi elaborati. Credo che la scelta di Ugoletti di comporre il suo brano a partire da una cellula ritmica tratta da Zelmira sia particolarmente felice per due motivi: innanzitutto ci ricorda come probabilmente le opere rossiniane di maggior valore siano proprio quelle rimaste nascoste più a lungo; in secondo luogo ci mostra come anche in una cellula così piccola si possa racchiudere un mondo. Zedda, nelle sue Divagazioni rossiniane, paragona le unità musicali di cui si serviva Rossini ai mattoncini dei Lego: prese singolarmente potrebbero sembrare insignificanti, ma se adeguatamente sviluppate ed ordinate possono dare vita a qualcosa di difficilmente immaginabile e sorprendente.

Al di là di questo progetto rossiniano, quali sono gli orizzonti di repertorio di un chitarrista classico oggi?

Il repertorio della chitarra può contare sulle opere di alcuni grandi autori come Paganini, Villa-Lobos, Castelnuovo-Tedesco, Britten ed altri, oltre al gran numero di trascrizioni - tra cui le bellissime Suites per liuto di Bach - cui tale strumento per sua natura si presta. Il XX secolo è decisamente quello che ha riservato le sorprese migliori per la chitarra: molti compositori non dediti a questo strumento si sono interessati ad esso spinti da figure come Andrés Segovia e Julian Bream. Questi “grandi” dello strumento ci hanno lasciato una notevole eredità in termini di repertorio, ma allo stesso tempo ci spronano - con l’esempio della loro vita artistica - a cercare sempre nuove vie. Credo che oggi il problema principale per un giovane chitarrista - ma anche per qualsiasi altro musicista - sia quello di riuscire a trovare una strada personale dal punto di vista professionale. A fronte di tanti meccanismi che sembrano favorire un’omologazione piuttosto che un’originalità artistica, esistono ancora degli spiragli per ritagliarsi un proprio spazio: credo che la collaborazione con i compositori sia uno di questi spiragli.

Posando la chitarra, come musicista, appassionato e concittadino, oltre che come interprete, qual è il suo rapporto con Rossini e con il Festival?

Rossini è uno dei compositori cui mi sento maggiormente legato: ammiro della sua arte soprattutto la capacità di rendere concrete e tangibili quelle realtà umane che nella quotidianità sono percepite come immateriali. Penso ai concertati in cui i desideri dei personaggi si trasformano fino a diventare note che si intrecciano, dando vita a nodi più o meno avviluppati. Penso ai duetti in cui Rossini descrive con una sensibilità impressionante il momento dell’innamoramento: il tempo si dilata e i personaggi si elevano al punto di diventare “maggiori” di se stessi. Il Rossini Opera Festival ha svelato al mondo la grandezza di questo compositore che era rimasta in larga parte sommersa: fa impressione pensare che oggi possiamo ascoltare capolavori di cui trent’anni fa si conosceva appena l’esistenza. Merita poi una speciale menzione l’Accademia Rossiniana, un luogo in cui anche il più piccolo problema musicale viene affrontato con un respiro universale: quest’anno seguire le lezioni è stata per me un’esperienza di grande valore formativo. Un’ultima notazione: spesso si parla, in vari ambiti, della necessità di permettere ai “giovani” di emergere; al Rossini Opera Festival questi “giovani” non sono una categoria sociologica destinata a rimanere eternamente delusa, ma sono persone a cui viene dato credito, su cui si investe e spesso si rischia: per questo sarò sempre grato ad Alberto Zedda e a Gianfranco Mariotti.

La recensione del CD