Rossini nel destino

 di Roberta Pedrotti

Ci sono diversi tipi di sorprese, per esempio quelle date da una scoperta o da una riscoperta. Quest'ultimo è il caso di Maxim Mironov, che a Pesaro aveva debuttato, giovanissimo, con l'Accademia Rossiniana del 2005 e, l'anno seguente, Lindoro nell'Italiana in Algeri. È facile infrangere le ali di una crisalide che sta spiccando il primo volo: possono essere fragili, e in effetti dieci anni fa la vocalità di Mironov appariva ancora acerba, ma, è chiaro, non lo era l'intelligenza, se ha saputo scansare i rischi e costruire saldamente un percorso artistico che l'ha portato a riemergere alla ribalta fino alla consacrazione nella bellissima prova offerta con La gazzetta nell'ultimo Rossini Opera Festival [leggi la recensione]. Ci ha, così, regalato la riscoperta di un tenore rossiniano di grande raffinatezza e consapevolezza musicale, preciso nella coloratura, poetico e vario nel fraseggio, tecnicamente ferrato, scenicamente elegante e spiritoso, formatosi con uno studio serio e continuo che dà adito a ogni rosea speranza per il futuro.

A tutte queste qualità si uniscono, dietro le quinte, anche leggerezza e simpatia, cultura e cervello.