Cantare all'italiana

 di Roberta Pedrotti

In occasione dell'uscita del CD Great Opera Scenes [leggi la recensione] e dei recenti impegni nella Bohème [leggi la recensione] e nel Requiem di Verdi [leggi la recensione] nella stagione della Scala, abbiamo rivolto alcune domande al basso Carlo Colombara.

Il suo primo album solistico con la Decca sembra una sorta di autoritratto artistico, toccando quattro diversi e importanti filoni della sua carriera e del suo repertorio. Quali riflessioni l'hanno portata a scegliere questi brani? Quali sono le linee di continuità e discontinuità in questo programma e in generale nei suoi personaggi, nell'approccio interpretativo e musicale?

In realtà' ho inciso questi brani semplicemente perché mi piacevano. In secondo luogo perché mancavano nella mia discografia, per esempio sia l'aria di Filippo II sia quella di Procida le avevo incise in italiano: ecco il motivo della della scelta di registrarle nella versione scritta per Parigi in francese. Per il resto ho trovato intrigante questa scelta: un Rossini, i due brani di Verdi in francese, Don Quichotte e Wagner.

Cominciamo da Rossini, di cui propone Assur, solo che ha affrontato in teatro, per esempio nell'ormai mitica edizione veneziana con Mariella Devia ed Ewa Podles. Come si trova nel linguaggio del belcanto? La intriga o si sente più vicino a un'altra estetica? C'è qualche ruolo rossiniano, serio o buffo, che le sarebbe piaciuto interpretare e non è mai capitato?

Partiamo dalla fine: mi sarebbe piaciuto incidere tutto il Maometto II e Mustafà dell'Italiana in Algeri. Ritengo che il belcanto italiano sia la cartina di tornasole dell'uso di una buona tecnica vocale. Nessun cantante dovrebbe abbandonare mai questi ruoli: è come fare il tagliando alla macchina, se riesci a cantarle dopo anni e anni di carriera vuol dire che hai fatto un buon lavoro con la tua voce.

Verdi. Si può dire che lei abbia frequentato un po' tutti i grandi ruoli verdiani, da Zaccaria a Fiesco. In questo caso sceglie due titoli francesi in versione originale. Cosa differenzia, se differenzia, e caratterizza secondo lei la parola scenica verdiana nelle diverse lingue e casa l'ha spinta a scegliere proprio due brani parigini?

In parte ho gia' risposto precedentemente. Per quanto riguarda il Don Carlo trovo più bella la versione in italiano perché il testo ha un mordente impareggiabile, invece direi che per Procida dei Vespri gli accenti, le espressioni si equivalgono. Comunque per me l'italiano è sempre la lingua migliore per il canto, per l'accento marcato, le vocali pure, le "erre"... un esempio per tutti : che bello cantare la parola "giammai" con tutte quelle due emme!

Sulle "erre", maestro, sfonda una porta aperta, per quel che mi riguarda: infatti la vecchia scuola franscese prescriverebbe - e con tutte le ragioni! - di cantare con la "erre" italiana e modernado la nasalizzazione!

Il questo disco lei, per il repertorio francese “purosangue”, non sceglie un diavolo (di Gounod, Berlioz o Meyerbeer) né un religioso (ugonotto o cattolico, integerrimo o tormentato che sia), bensì il poetico “ideologue”, il “chevalier à la triste figure” di Massenet, interpretando, peraltro, anche l'accorato assolo di Sancho, ruolo normalmente affidato ai baritoni. Innanzitutto come si è trovato nei doppi panni di servo e padrone e come vede il loro rapporto? In generale, data la predominanza della lingua francese nel programma del suo recital, si può dire che nutra una particolare affinità con questo repertorio?

Amo la musica francese cantata all' italiana, senza gli impicci di quella fonetica che ha ucciso tante voci scure francesi. Non è un caso che dai tempi della Crespin non ne siano più nate. Sancho è un personaggio semplice e sanguigno, Don Quichotte un idealista: è stato bello aver inciso entrambi i ruoli. Bello, se sono riuscito a renderne le diversità...

La Germania, infine, con Wagner. Qual è il suo rapporto con il repertorio tedesco in genere e wagneriano in particolare? A quali modelli guarda e come considera oggi la possibilità di un approccio “all'italiana” per questi titoli?

Be', Siepi per me e' un riferimento anche in Wotan. Le voci italiane hanno molte più frecce ai loro archi, certo molte di più delle monolitiche voci teutoniche. Penso che ruoli come Re Marke e Gurnemaz siano molto più adatti a una voce "all'italiana", per ricchezza di sfumature e di colori e anche, perché no, per bellezza di voce.

I grandi assenti sono, si può dire, il barocco, ricordando per esempio il suo Seneca monteverdiano, Mozart (Don Giovanni), Bellini (Oroveso, il conte Rodolfo), Donizetti (Balthazar e Raimondo, per citarne solo due), Ponchielli (Alvise), Boito (Mefistofele) e Puccini (Colline). In un CD, certo, non si può registrare tutto, ma c'è stata qualche rinuncia più difficile di altre?

Be', diciamo che il cd ha una capienza limitata. Great opera scenes ha una durata di quasi di settanta minuti. Però terrò conto di tutto questo per il prossimo cd. 

Il repertorio russo ha dato molto al suo registro: è attratto da Musorgskij, Cajkovskij o Rimskij Korsakov?

Adoro la musica russa e non vedo l'ora di cantare il Boris Godunov, che debutterò il prossimo anno. Purtroppo anche qui il solito problema: la musica russa la cantano i russi, quella americana gli americani, quella tedesca i tedeschi e quella italiana cani e porci. Spero in un'inversione drastica di costume!

Il suo rapporto con la musica da camera?

I miei recital comprendono Lieder tedeschi, canzoni francesi e russe, italiane e a volte, nonostante il mio pessimo accento, anche quelle americane.

Infine, lei si dedica ultimamente molto all'insegnamento, con masterclass in tutto il mondo. Quali sono i problemi ricorrenti e le potenzialità che riscontra fra gli aspiranti cantanti che incontra? Quali sono i punti fondamentali su cui basa la sua attività di insegnante?

Guardi, per cantare bisogna fare solo quattro cose: respirare, appoggiare il suono con il diaframma, cantare morbidi e rotondi sostenendo il suono e proiettarlo. Per fare questo servono un cantante che lo insegni e un allievo intelligente... Il resto è dato dall'esperienza di palcoscenico. Delle nuove generazioni posso solo dire che stanno troppo sul computer o cellulare invece di concentrarsi, anche duramente, sull'affinamento della tecnica vocale.

Viaggiando sia come interprete sia come docente, avrà modo di constatare da vicino la situazione dei teatri e delle istituzioni musicali in Italia e all'estero. Qualche considerazione?

È un mondo completamente differente da quello che ho trovato io quando ho cominciato la mia carriera. Trovo che tutto sia cambiato in peggio soprattutto per i cantanti. I veri protagonisti dell'opera oramai vengono solo sopportati, una volta eravamo supportati!

Chiudiamo con una panoramica sui suoi progetti futuri.

Nell’immediato, dopo il Requiem nella chiesa di San Marco con il teatro alla Scala di Milano per la direzione di Zubin Mehta [leggi la recensione], sarò in Cina per Faust. Poi in dicembre ancora Requiem a Monaco di Baviera e Rigoletto al teatro Real di Madrid. Poi nel 2016 mi aspetta ancora la Scala, con la quale avrò un prolifico rapporto di lavoro anche nei prossimi anni, Norma a Napoli con Mariella Devia e Aida a Mosca sempre con Zubin Mehta. Successivamente sarò a Bruxelles, Avignon, Barcellona e molto altro. Per quanto riguarda le registrazioni, prossimamente inciderò il Faust di Gounod e Mefistofele di Boito.