L'Europa di Liszt

 di Andrea R. G. Pedrotti

 

Francesco Piemontesi è un pianista ampiamente noto per le sua interpretazioni di Mozart e del primo romanticismo. Egli ha anche una stretta affinità con il tardo Ottocento e con il repertorio del XX secolo, con autori come Brahms, Liszt, Dvořák, Ravel, Debussy, Bartók, Messiaen,Stockhausen,etc...
Si è esibito con importanti ensemble in tutto il mondo: la Cleveland Orchestra, DSO e Berlino Radio Symphony, Sinfonica della Radio Bavarese, Francoforte Radio Symphony, la London Philharmonic, Philharmonia, BBC Symphony, Israel Philharmonic e l'Orchestra del Maggio Musicale. Ha suonato con direttori quali Vladimir Ashkenazy, David Afkham, Nicholas Collon, Charles Dutoit, Manfred Honeck, Marek Janowski, Andrew Manze, Zubin Mehta, Sir Roger Norrington, Sakari Oramo, Vasily Petrenko e Robin Ticciati.
Nel 2012, Piemontesi è stato nominato direttore artistico della Settimane Musicali di Ascona (Svizzera). Tuttavia è nella veste di pianista da camera che l'abbiamo incontrato, questa estate, a Moritzburg [leggi il servizio], dove, prima di un concerto, ci ha concesso di rivolgergli alcune domande relative alla sua carriera e al suo modo di intendere la musica.

Lei è nato in Svizzera, ma comunque la sua cultura è molto legata all'Italia, non solo sotto l'aspetto linguistico.

Sì, ma diciamo che la cultura svizzera ha una componente ibrida. Mescola elementi del Nord, con altri più tipici del Mediterraneo. È utile per me provenire da una terra che comprenda la cultura tedesca e quella italiana. Ho frequentato spesso il l'Italia: Milano, Verona, Roma, Napoli, Palermo e molte altre città.

La sua base è Berlino attualmente?

È una città per musicisti, piena di musicisti. Ho la fortuna di vivere nel mezzo di molti colleghi.

È un luogo interessante, molto vivibile, a differenza di altre capitali, o comunque di altre città importanti e centrali dal punto di vista culturale, oltre che politico. Quando ero bambino il luogo di riferimento era Milano, ovviamente per la presenza della Scala, ma anche per un'attività concertistica non comune al resto della Nazione. Ci sono stato molte volte.

Che cosa pensa della sua esperienza al festival di Moritzburg?

In occasione del primo concerto ho lesinato sull'uso del pedale, per evitare che il rimbombo dovuto al fatto che ci trovavamo in una chiesa, perciò mi sono affidato al legato. Il bis era un brano per clavicembalo, che richiedeva meno l'uso del pedale. Purtroppo non conoscevo l'acustica del luogo, altrimenti avrei proposto un programma diverso. Alla fine ho deciso di eseguire il minuetto della Suite in Sib maggiore di Handel. Non si potevano usare dei mezzi espressivi previsti da determinati compositori, per intenderci.

Questo del Concerto-Portrait, mentre al castello di Moritzburg?

Lì è più semplice, l'acustica consente di utilizzare il pedale e giocare con le sfumature. Interverrò in Brahms e Schubert. Quest'ultimo è, senza dubbio, il compositore che porterei con me su un'isola deserta.

Lei affronta spesso autori dell'800.

Faccio molto Mozart, Schubert, Liszt. Mozart non è un autore del XIX secolo, ma è molto meno galante e baroccheggiante rispetto ai suoi contemporanei; Haydn, per esempio, ha scelto tutt'altra strada, rispetto al compositore di Salisburgo.

Liszt già nel 1850 parlava di “Stati Uniti d'Europa”, dimostrandosi capace di mettere assieme varie culture. È una cosa straordinaria, seppe unire benissimo la cultura mitteleuropea a quella italiana. È incredibile vedere, dagli epistolari, come molti personaggi di centocinquanta anni fa fossero mentalmente molto più avanti di molte figure del nostro tempo. Mi sento molto vicino a Liszt, leggendo le sue lettere, proprio per quest'idea di tenere unite varie culture, senza dimenticare mai che nella sua musica è sempre presente il cantabile italiano.

Un esempio potrebbero essere proprio le fantasie operistiche di Liszt?

Certo, aveva una grande conoscenza degli autori italiani, penso alla fantasia di Norma, o alla profonda conoscenza di Rossini. Fu uno dei personaggi più affascinanti a livello culturale, che seppe fare moltissimo in poco tempo, sia come pianista, sia come compositore. Inoltre ha fondato conservatori. Per noi pianisti rimane, ancor oggi, un grande punto di riferimento, sono molto felice che ci sia stato. Pensandoci bene, il pianoforte in Liszt diventa come una piccola orchestra.

Tornando ai concerti di Moritzburg, prima ci accennava al suo amore per Schubert.

Sì questa sera, dopo Brahms affronteremo Schubert. Nel Trio per pianoforte in Mib maggiore riscontro sempre un odore di morte nel secondo movimento, poi nella stessa parte si arriva come a un senso di speranza, distrutta nel finale. Brahms è più poetico, lirico, meno estroverso; qualcosa di più distaccato e maggiormente formale.

Faremo prima Brahms di Schubert, perché l'ultimo movimento del Trio per pianoforte in Mib maggiore, che è concepito nella sua completezza, mentre Brahms si concentra maggiormente sui primi due movimenti. È stato corretto intervallare i due brani, per evitare che la concentrazione del pubblico e degli esecutori venga meno. La mente deve essere al massimo per l'ultimo movimento.

Come si trova con i suoi colleghi, qui a Moritzburg?

Molto bene, con alcuni di loro ho già collaborato e abbiamo avuto molto tempo per lavorare.

Il programma del castello di Moritzburg è di grande soddisfazione e, grazie all'acustica della sala, si può tranquillamente giocare con le sfumature.

E per quanto riguarda suoi progetti per l'Italia?

La prossima stagione farò poco, perché i programmi vengono proposti troppo avanti. In Europa, e non solo, le stagioni vengono presentate in largo anticipo ed è più facile fare progetti. Spero veramente che l'Italia si possa risollevare, perché sarà molto importante per l'Europa. L'Italia ha saputo fare cose straordinarie e mi auguro davvero che possa tornare ai livelli che le competono.

Grazie a Francesco Piemontesi