Il fascino di Pauline su Cherubino

di Roberta Pedrotti

Fra la ripresa dell'Armida di Traetta a Martina Franca e l'inaugurazione della prima edizione del Festival SoloBelcanto a Montisi (SI) abbiamo incontrato il mezzosoprano Marina Comparato.

Cominciamo in medias res: è appena andata in scena l'Armida di Traetta a Martina Franca in cui ricopriva il ruolo di Rinaldo [leggi la recensione]. I ruoli maschili sono una costante nella sua carriera: caso, fortuna, scelta? Come si trova nell'affrontare questi personaggi, sia dal punto di vista vocale sia scenico?

E' vero i ruoli maschili sono stati una costante fin dall'inizio della mia carriera, penso soprattutto per le mie iniziali caratteristiche sia vocali e che fisiche. La figura snella e asciutta e la voce di mezzosoprano molto agile e leggera hanno sempre ispirato direttori e registi ad affidarmi ruoli di giovane paggio, innamorato, spiritoso, androgino: Cherubino in primis. Esperienza importantissima per me, nel costruire ed elaborare personaggi en travesti, è stata sicuramente quella del Festival di Glyndebourne, dove per due anni, sotto la guida di Graham Vick, ho cantato Cherubino. Passare oltre due mesi di prove a scardinare ogni parola di recitativo, ad analizzare ogni movimento, ogni sguardo, ogni sottinteso, ad imparare il modo di camminare, di tenere le mani, di muoversi nello spazio di un adolescente è stata una scuola che non ho più dimenticato e che ho portato dentro di me, come bagaglio importantissimo per i tanti ruoli maschili che ho affrontato in seguito. Noi italiani portiamo la tradizione della Commedia dell'Arte, ma la scuola del teatro inglese non è sicuramente da meno!
Col passare degli anni e con la maturazione artistica, vocale e direi anche fisica, ho abbordato anche i ruoli femminili, con le tante Rosine ad esempio, ma quell'attenzione alla connessione tra testo, voce e movimento è rimasta in me un caposaldo importantissimo.

Ritornare ad un ruolo maschile con Rinaldo è stata un po' una sfida, cercare di ritrovare in me quel lato androgino e baldanzoso che avevo accantonato negli ultimi anni per prediligere dolcezza e femminilità. Il Rinaldo di Traetta però, nonostante sia un paladino senza paura, contiene molti elementi di dolcezza, nel bellissimo episodio dell'incantesimo e del sogno e nelle due arie amorose. In effetti, stranamente, nell'opera di Traetta i due ruoli si trovano in un certo modo invertiti: Armida è il lato forte, minaccioso, aggressivo della coppia, mentre Rinaldo, dopo un iniziale aria guerresca, diventa il lato debole, amoroso, dolce. Nell'affrontare questo ruolo ho dovuto trovare dentro di me diversi tipi di espressività e vocalità: quella guerresca, con una timbrica più accentata, scandita e molto virtuosistica, e quella amorosa, molto più lirica, legata e soavemente sognante.

Da musicista, con uno sguardo privilegiato dall'interno, cosa ci può dire su quest'opera riscoperta e in generale sull'esperienza di Martina Franca?

Armida è un'opera nata attorno alla figura di Caterina Gabrielli, grandissimo soprano dell'epoca, con caratteristiche vocali straordinarie. La scrittura del personaggio tende quindi a privilegiare ogni aspetto di questa vocalità che la mia collega Roberta Mameli ha reso con grande bravura. Sebbene Traetta mantenga in quasi ogni brano la struttura tripartita ABA, con da capo da variare a estro dell'esecutore, si intuisce nella struttura drammaturgica un anelito al rinnovamento, ad esempio con la presenza di molti recitativi accompagnati dall'orchestra, e non più solamente dal basso continuo. Alcune arie o ariosi diventano quindi conseguenziali allo svolgimento della vicenda, come elementi di transizione da una scena all'altra, senza più quel senso di interruzione e immobilità che l'aria col capo, per forza di cose, impone all'opera barocca. In questo senso Armida sembra precorrere quella che sarà la Riforma gluckiana, che a breve sconvolgerà il teatro musicale europeo.
Martina Franca è stata per me un'esperienza meravigliosa. Erano molti anni che ne leggevo e desideravo da tempo poterci cantare. Ho ammirato molto la curiosità e il desiderio di riportare alla luce tesori nascosti, che anima il Festival di Martina Franca e il suo direttore Alberto Triola e quando lui mi ha scritto chiedendomi se mi andava di affrontare il commovente ruolo di Rinaldo, dopo un'occhiata alla parte, ho accettato con entusiasmo e mi sono subito tuffata nella partitura, a inventarmi variazioni e cadenze! Il lavoro a Martina Franca è sempre improntato ad una grandissima professionalità, ad un enorme amore per la musica e il teatro e ad un grande rispetto per gli artisti ospiti e per il pubblico. Si cerca di fare di tutto perché gli artisti si sentano ben voluti, coccolati e a proprio agio, cosa che purtroppo non succede sempre altrove... Credo che sia per questo che gli artisti tornano tutti molto volentieri a Martina Franca, anche perché il livello qualitativo ed artistico è sempre molto alto. Per non parlare poi delle bellezze della città e della Valle d'Itria e per le gustose specialità gastronomiche!

Il prossimo impegno sarà inaugurare la prima edizione del Festival SoloBelcanto a Montisi (SI). Come è nato il suo coinvolgimento con questa iniziativa? Cosa ci può raccontare in merito?

Il mio impegno a Montisi è nato grazie alla ventennale amicizia con Giovanni Vitali, musicologo, giornalista e collaboratore del Maggio Musicale Fiorentino. Giovanni è stato uno dei miei, molti, mentori e scopritori ed è stato sempre un punto di riferimento importante nei diversi passi della mia carriera. Non poteva mancare quindi il suo coinvolgimento nell'uscita dei miei ultimi due dischi solistici, quello su Crescentini prima, con la presentazione alla Pergola, e quello su Viardot. Non appena uscito il cd infatti mi ha detto: “Questo qui lo presentiamo in anteprima al nuovo festival di Montisi, tieniti libera in agosto”.

A proposito di Pauline Viardot, come si è avvicinata a questa straordinaria donna e musicista? Cosa soprattutto l'ha affascinata e quali sorprese le ha riservato lo studio su di lei? Cosa può dare a cantanti, studiosi e appassionati di oggi l'approfondimento sulle voci storiche e come ritiene andrebbe condotto? Rispetto al CD come sarà strutturato il programma del concerto?

Pauline Viardot non era a me sconosciuta, sapevo che era figlia del grande Manuel Garcia e sorella di Maria Malibran, ma non avevo mai ascoltato né studiato nessuna della sue composizioni. Sono stata contattata dalla pianista Elisa Triulzi, che ha deciso di coinvolgermi in questa avventura discografica che mi ha aperto veramente un mondo! Sono stata subito molto affascinata dalla figura di Pauline Viardot, da quello che l'artista ha rappresentato sia nel mondo dell'opera di metà ottocento ma soprattutto in quello dei salotti letterari e musicali della Parigi e della Baden Baden della seconda metà del secolo. Ho letto molto sulla vita e l'attività di cantante e di musicista della Viardot e soprattutto sui molteplici rapporti con i maggiori personaggi della cultura europea ottocentesca: da Gounod a Berlioz, da Chopin a George Sand, da Saint Saens al suo amico-amore di una vita Turgeniev. Dal punto di vista musicale poi mi ha molto colpito la sicurezza e profondità della scrittura pianistica (non dimentichiamoci che Viardot fu, prima che cantante, pianista ed ebbe come maestro Franz Liszt) ma l'aspetto che più colpisce, soprattutto nelle trascrizioni per voce delle celeberrime Mazurke di Chopin è l'estremo virtuosismo che doveva caratterizzare questa voce. Se la tessitura si mantiene spesso in un range mezzosopranile, nelle cadenze arriva a toccare vertici di estensione veramente estremi. Mi sono spesso domandata infatti che tipo di vocalità potesse avere questa straordinaria cantante per poter affrontare una simile estensione vocale. Purtroppo, nonostante Viardot sia morta agli inizi del '900, quando già esistevano sistemi di registrazione, non è rimasta traccia sonora della sua voce, ma ci è rimasta la descrizione che ne fece Camille Saint Saëns (che per lei compose il ruolo di Dalila, anche se Viardot non lo cantò mai in teatro): "la sua voce ha il gusto delle arance amare, perfetta per la tragedia come per l'epica, sovrumana più che umana".

L'approfondimento delle voci storiche è un elemento importantissimo per capire le ragioni delle scritture musicali e vocali dei compositori che tuttora eseguiamo. (L'esempio della scrittura di Armida, di cui sopra, è infatti esemplificativo). La scrittura per una certa voce spesso di ritrova infatti in composizioni di autori diversi ed è interessante vedere come spesso i compositori dovessero piegarsi alle richieste delle prime donne, o dei castrati se affrontiamo opere barocche. La voce di Pauline, in questo caso, è veramente emblematica, poiché lei affrontò un repertorio enorme e variegato, che andava dalla Zerlina mozartiana degli inizi, alla Desdemona, Cenerentola e Rosina rossiniane, a ruoli di belcanto come Sonnambula, Romeo o Norma (suo grande cavallo di battaglia a S. Pietroburgo), a ruoli appositamente scritti, o trascritti, per lei come Sapho di Gounod, Orfeo di Gluck nella trascrizione di Berlioz, Fides nel Prophete di Meyerbeer, la Dalila già sopra nominata. Ai nostri giorni difficilmente una cantante canterebbe ruoli tanto diversi ed eterogenei, alcuni ora prettamente sopranili. Mi sono infatti spesso chiesta come potesse la stessa voce cantare ruoli di tessitura tanto diversa, anche se so che spesso si operavano cambi di tonalità, come facevano entrambe le sorelle Garcia in Norma. Credo che chi affronta lo studio delle voci storiche, siano essi cantanti o appassionati o studiosi, debba tenere presente, oltre ai diapason in continua evoluzione, anche il diverso approccio con cui si affrontavano le partiture (appunto la variazione di tonalità era uso diffuso e accettato) ma soprattutto il gusto differente del pubblico. Ciò che un tempo suscitava grande scalpore o enormi entusiasmi forse oggi non sortirebbe lo stesso effetto...
Di certo sappiamo che Pauline Viardot dedicava alla preparazione dei ruoli una minuziosa attenzione, con una cura particolare dell'aspetto drammatico-interpretativo-attoriale che raramente si ritrovava in cantanti della stessa epoca e che precorreva un certo tipo di interpretazione del secolo successivo.

Il programma del concerto di Montisi, intitolato “Autour de Pauline” è stato pensato in modo da dare un'idea di quello che doveva essere questa straordinaria cantante/musicista/donna presentando quindi arie dal suo repertorio di cantante d'opera, brani da lei scritti, ma anche lieder di compositori a lei vicini, come ad esempio Clara Schumann, per terminare con l'ultimo ruolo per lei scritto, ma che lei non cantò mai in teatro, Dalila.

A seguire, sempre a Montisi, terrà un masterclass. Qual è il suo rapporto con l'insegnamento? Quali i principali difetti e le qualità che riscontra nelle generazioni più giovani? I consigli che potrebbe dare? Insegnare mentre si è ancora in attività e quindi legati a doppio filo all'attualità del mondo teatrale può essere considerato un valore aggiunto?

L'idea di abbinare al Festival alcuni giorni di masterclass è stata di Vitali, con la menzione di “artista in residence”. Io non sono nuova all'insegnamento, infatti proprio quest'anno sono stata chiamata a tenere una settimana di masterclass al Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, dal cui concorso anch'io sono uscita nel 1997. Il principale pregio delle giovani generazioni mi è sembrato l'entusiasmo e la voglia di scoprire la musica e i nuovi ruoli. Il principale difetto che ho trovato invece non è dissimile da quello che ha avuto anche la mia generazione: voglia di avere tutto e subito! Quando si comincia ci sembra che il mondo stia aspettando solo noi e che basterà sentire come cantiamo che si schiuderà davanti a noi ogni porta. Ecco, poi si inizia la carriera e ci si accorge che il talento con cui si sono fatti i primi passi non basta più, che ci vuole tanto studio, tanta caparbietà, tanta attenzione e soprattutto tanta umiltà e consapevolezza dei propri pregi ma anche dei propri difetti. Penso che la continua ricerca nel canto sia proprio nel cercare di correggere i difetti, smussare gli angoli, rendere saldo il sostegno e perseguire la leggerezza e morbidezza nell'emissione del fiato, ma anche di rendere unico e caratteristico il nostro canto, essere insomma originali, senza imitazioni. Insegnare è per me una parte importante della formazione stessa di un cantante. Essendo ancora in piena attività, dover dare a qualcun altro spiegazioni e soluzioni mi costringe prima di tutto a compiere su me stessa, di nuovo, lo stesso percorso. Diciamo che ogni volta che correggo o dò un suggerimento, devo immaginare come farei io se dovessi risolvere quel passaggio, in un certo senso quindi è come se insegnassi prima a me stessa e poi agli altri...

Il suo debutto assoluto è avvenuto al Comunale di Firenze in Elektra con la direzione di Claudio Abbado. Sembra d'obbligo, per concludere, chiederle un ricordo del Maestro, ma, anche da perugina di nascita e fiorentina d'adozione, un parere sui teatri del capoluogo toscano, sulla chiusura del Comunale e la nascita del nuovo Teatro dell'Opera.

Non posso che ripetere questo flash-back: io che entro, emozionata, stupefatta, grata, nella grande sala del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino.
Questa volta però, e per la prima volta in vita mia, sono dall'altro lato, in palcoscenico.
In buca c'è una grande e famosa orchestra, i Berliner Philarmoniker. Sono così tanti che non c'entrano nemmeno e i tromboni stanno dentro, in una rientranza della fossa.
Si inaugurava il Maggio con Elektra di R. Strauss.
Si apre il sipario, io e Marianna [Maresca, ndr.] siamo inginocchiate a terra, e la prima cosa che vedo è quella figura sottile, asciutta, che concentra su di sé tutta l'attenzione ed emana l'energia che pervade l'intero teatro. Sta dirigendo a memoria e i suoi occhi seguono tutto e tutti.
Come un soffio corre via tutta l'opera, si accendono le luci e come una sola persona, l'intero teatro si alza in piedi, rapito da quel piccolo uomo e dalla magia che promana.
Era il maggio 1996 ed io iniziavo con lui questa meravigliosa avventura.

Che dire altro? Che auguro al Maggio Musicale e al nuovo Teatro dell'Opera di trovare e perseguire la sua grande strada nel panorama musicale italiano e mondiale. Una strada che passa senza dubbio da un rinnovamento, necessario ormai per tutti i teatri d'opera italiani; forse seguendo il modello di altre realtà europee?

I prossimi impegni e progetti?

Il prossimo impegno a breve, oltre ad un ciclo di concerti di presentazione del disco Viardot, sarà Rosina all'Opéra Bastille a Parigi, ma lo studio e la maturazione vocale mi stanno portando verso un repertorio più lirico. Altre cose stanno bollendo in pentola, aspettiamo che siano cotte!