Studio e sfide

 di  Andrea R. G. Pedrotti

Una pausa fra le prove della Traviata alla Staatsoper è l'occasione per un incontro con Giampaolo Bisanti in uno dei tanti caffé viennesi. Il maestro, direttore musicale del Teatro Petruzzelli di Bari, ci parla del suoi impegno fra opera e concerti sinfonici e dei suoi progetti.

Partiamo dalla formazione, tu non sei sicuramente un improvvisato.

Sono molto fiero di non essere un improvvisato: ho fatto una lunga serie di studi per quasi vent'anni: clarinetto, pianoforte, composizione. Poi mi sono avvicinato alla direzione d'orchestra, che consideravo un punto d'arrivo. Bisogna avere fortuna e trovare le giuste situazioni per avere l'opportunità di cimentarsi con un strumento particolarissimo, l'orchestra, da gestire, ma non da suonare fisicamente. Sucessivamente ho fatto i corsi di direzione d'orchestra canonici, quelli al Conservatorio di Milano, all'Accademia musicale pescarese e all'Accedemia musicale Chigiana nel 2002.

I tuoi insegnanti?

Sono partito con Umberto Cattini, poi Adriano Martinolli e Paolo Arrivabeni. All'Accademia Chigiana di Siena con Yuri Ahronovitch e all'AccademiaPescarese con Donato Renzetti.

Quando hai diretto la prima volta?

Ho cominciato poco dopo i 17 anni a Kyoto con il Conservatorio, mentre la prima opera in assoluto fu un Amico Fritz a Voghera con la regia di Eugenia Ratti e giovani cantanti nel cast, quindi sono arrivati i Pomeriggi musicali e l'orchestra sinfonica di Sanremo. Ho vinto Spoleto e diretto lì e nel circuito lombardo; ho iniziato con La cenerentola nel 1999 e La bohème nel 2000. In seguito è arrivata l'esperienza veneta, dove ho potuto fare palestra ed esperienza per quattro o cinque anni e ho potuto, ogni volta, fare un titolo nuovo.

Come ti trovavi con orchestre sempre diverse, composte principalmente da giovani?

Benissimo, sono sempre stato molto studioso, per me era una grossa responsabilità, ma umilmente l'ho accettata. Per me era un onore, da ragazzo, trovarmi davanti un'orchestra importante come, per esempio, i Pomeriggi musicali. Dal 2005, invece, ho cominciato a entrare nelle Fondazioni Liriche e, successivamente, nei diversi teatri del mondo.

Come affronti lo studio di una nuova partitura? Prepari diversamente la direzione del repertorio sinfonico, rispetto a quello operistico?

Io imparo molto velocemente una partitura e parto sempre dallo stile. Se mi mancasse Alzira, per esempio, so già che appartiene a un certo tipo di codice, repertorio, impostazione stilistica di un Verdi che conosco bene. La guardo, la studio, me la suono un po' al pianoforte e, come ricordo sempre, non disdegno un ascolto. Oggi abbiamo dei supporti, ovviamente - non fa parte della mia poetica - trovo sia interessante ascoltare il risultato d'insieme, ma senza copiare, esclusivamente per farsi un'idea dell'effetto complessivo. Il discorso simile per il sinfonico: ho studiato molto l'orchestrazione, anche vivendola da clarinettista e assimilo velocemente una partitura. Centellino i debutti per aver modo di maturare un titolo nuovo. Con l'opera il rapporto è bidimensionale fra orchestra e palcoscenico, nel sinfonico tu sei l'ispiratore di un gruppo di persone con un'identità consolidata, differente fra le diverse orchestre: l'impatto è diverso. L'orchestra si affida molto alla gestualità e al all'aspetto tecnico e alle idee, che, se presenti, vengono subito percepite dai grandi organici.

Il rapporto con i cantanti?

È qualcosa che ho maturato molto durante la mia carriera artistica: devo guidare un percorso comune. Cantante e direttore, come chiunque, hanno limiti e pregi. Il cantante dev'essere bravo a coadiuvare il cantante in modo che si senta a suo agio, senza sacrificare la propria personalità, il proprio istinto interpretativo e la propria poetica, da condividere con i cantanti.

Ovviamente dobbiamo seguirci a vicenda e ragiono su quello che ho in mano in un percorso che dev'essere comune. Il rapporto con i cantanti è stato sempre idilliaco con tutti, a tutti i livelli. Il direttore non deve asservirsi al cantante, né imporsi, perché non funziona così né nella musica, né in tutte le altre dinamiche della nostra vita.

Per te com'è stato per te confrontarti con orchestre molto differenti da quelle italiane?

Io venivo dall'Italia e da un'impostazione che conoscevo e conosco benissimo e il mio debutto all'estero è stato all'Opernhaus di Zurigo. Si tratta di grandissime orchestre, col repertorio sotto mano da anni. Il punto di svolta è il saltare in buca e dirigere senza aver mai visto l'orhestra prima, a meno che non si tratti di una première. Sono orchestre incredibilmente preparate e professionali. Non posso dire, come farei se avessi delle prove a disposizione, per esempio: “qui voglio un mezzo piano”, perché, ovviamente, dal podio, in recita, non potrei fare una richiesta di questo tipo, devo farglielo capire. Se l'orchestra ti stima e ti segue, come mi è accaduto qui a Vienna già dal mio debutto in Macbeth, puoi chiedere loro qualsiasi cosa e sanno farlo al meglio. Se capita che suonino troppo forte, è solo colpa tua. Devi farglielo capire con un gesto. Devi disegnare l'equilibrio col palcoscenico. Io faccio delle sospensioni non scritte e loro mi seguono sempre. Quando da neofita ho fatto il salto in questi teatri, ho percepito questa prorompente veemenza. Loro attendono un mio segnale, ma con le grandi orchestre è stato facile farsi capire fin da subito.

Io ti ho sentito recentemente qui in Rigoletto: ti sei trovato con un'orchestra nuova, un tenore arrivato al mattino, ma sei riuscito a ottenere dall'orchestra uno stile italiano assai convincente.

Ti ringrazio, ma basta poco, loro capiscono. È anche una questione di empatia. Qui il suono è molto diretto, me ne sono accordo fin da subito a Berlino e Dresda. Dipende da te, perché sono talmente preparati che basta che tu sappia condurre l'opera con delle idee e una gestione consona.

In Italia esiste il luogo comune secondo il quale il direttore sia subalterno alle voci e, il medesimo luogo comune invertito esiste, invece, in Austria.

L'opera nasce per i cantanti e tutto gira attorno a loro. Il cantante e il direttore, in realtà, non possono fare a meno l'uno dell'altro. Il direttore è colui che può creare più problemi di tutti, perché orchestra e interpreti vocali si affidano molto al concertatore. Un'opera o una sinfonia è come una barca a vela col vento a favore, ma se il vento cambia, deve essere in grado di condurre l'imbarcazione. La preparazione è fondamentale.

Quando capita un'emergenza, un'indisposizione a un cantante che però decide di andare ugualmente in palcoscenico, come affronti la situazione?

Bisogna conoscere perfettamente l'opera, perché è necessario essere protesi verso il palcoscenico, capire istintivamente quale sia l'esigenza dell'artista, essere un alter ego dell'artista. Bisogna respirare col cantante; in questo gli studi da strumentista, come clarinettista, mi hanno aiutato tantissimo. Biogna avere l'istinto di capire quale sia la necessità, senza impiantarsi sul tempo concordato. L'opera non deve incancrenirsi. Il cantante è un essere umano e per questo lo metto al primo posto.

Passiamo al tuo ruolo al Petruzzelli di Bari: come hai preso questa sfida?

Bari era una delle ultime Fondazioni che mi mancavano quando ho diretto Tosca nella primavera del 2016 e, successivamente, una Turandot, produzione durante la quale mi hanno proposto la nomina come direttore stabile per un triennio. Ho accettato con entusiasmo: amo il teatro Petruzzelli per la sua storia. È un testro del quale la città e la Puglia intera, avevano sentito una grande mancanza: c'era una gran voglia di musica. La struttura, l'organizzazione, il sovrintendente, l'orchestra giovane, mi hanno chiesto di accettare la sfida: era un onore perché si trattava di una delle quattordici fondazioni italiane. Per Bari era un momento molto delicato, perché stava nascendo una nuova orchestra e, quindi, io non avevo in mano un organico consolidato a cui comunicare il mio stile e le mie intenzioni, bensì un gruppo di bravissimi musicisti che andavano forgiati come organico. Ora posso dire, con orgoglio, di aver messo assieme un'orchestra che non è seconda a nessuno: abbiamo fatto Mahler, Wagner, di tutto.

Per essere un teatro rinato si tratta di una stagione molto ampia e variegata.

E non è ancora finita: si va avanti. Sai come sono riuscito a far suonare loro tutti questi stili diversi? Ho parlato col sovrintendente e ho voluto, da musicale, vivere il teatro già dal mio insediamento, con le prove a sessione di archi, fiati, ottoni, etc... abbiamo lavorato sul repertorio da Mozart a Mahler. Abbiamo lavorato sul suono, sulle arcate, sull'andare insieme. Seconda e terza di Mahler sono state per me due serate magiche, eccezionali. Ci siamo riusciti perché abbiamo lavorato sodo per tre anni concretizzando il mio impegno di portare ad altissimi livelli questa orchestra. Sono aumentati notevolmente gli abbonamenti, grazie alla qualità e un grande risultato è stato riuscire a raddoppiare quasi il numero di abbonati alla stagione sinfonica.

Come partecipi alla programmazione?

A Bari è presente un sovrintendente, che è anche direttore artistico, oltre a un casting manager, che, sentito il sovrintendente ha il compito di completare le compagnie di canto. I titoli della lirica vengono scelti dal sovrintendente, che mi coinvolge per le mie produzioni e, ovviamente, ci confrontiamo in un bellissimo interscambio di idee.

Che titoli farai l'anno prossimo?

Dirigerò Un ballo in maschera e Turandot, poi avrò tre o quattro programmi sinfonici.

Un ballo in maschera, che hai già diretto qui a Vienna, sarà l'inaugurazione.

È un'opera che amo tantissimo, è molto particolare. La tematica è drammatica, ma oscilla fra il serio e il faceto: ha un'atmosfera particolarissima.

Ora siete in scadenza.

Sì, tutti i contratti scadono assieme al sovrintendente.

Tu resteresti volentieri?

Certo, per me è una famiglia, ma posso dire di aver portato a termine questo triennio, raggiungendo gli obbiettivi che mi ero prefissato. Io amo questa orchestra, perché l'ho vista nascere, ho cercato di essere per loro come un padre, severo e amorevole in modo da catturare la loro attenzione e ottenere concentrazione. Il lavoro finora ha pagato: stiamo puntando al top e siamo ben proiettati verso il futuro. L'anno scorso abbiamo fatto la prima Tournéè in Giappone con Turandot e Trovatore e ci torneremo nel 2020 con Aida, purtroppo senza di me, perché sarò impegnato in Australia con lo stesso titolo.

I tuoi prossimi debutti?

Le mie nuove realtà saranno Toulouse, Chicago, Amburgo e Sidney, poi andrò a Baden Baden e continuerò con gli impegni nei teatri dove ho già lavorato.

Grazie al m° Giampaolo Bisanti.