Allargare lo sguardo

di Roberta Pedrotti

 

Gli appassionati d'opera conoscono Andrea De Rosa per spettacoli come Don Pasquale diretto da Riccardo Muti o Maria Stuarda a Napoli con Mariella Devia; gli appassionati di prosa ricorderanno il recente Macbeth con Giuseppe Battiston o La tempesta con Umberto Orsini. Il regista napoletano, però, non ama guardare (né tantomeno ama che si guardi) al suo lavoro distinguendo fra teatro musicale o non musicale, che considera elementi di un unico percorso. In occasione del Simon Boccanegra che ha inaugurato la stagione della Fenice di Venezia in un suo allestimento (che verrà trasmesso anche da Rai5), gli abbiamo rivolto alcune domande.

Simon Boccanegra, un'opera dedicata al rapporto fra l'uomo e il potere, un'opera che si potrebbe definire politica, come il Macbeth che la vide debuttare nel teatro verdiano esattamente sette anni fa. Ci racconta il suo rapporto con Verdi, il suo punto di vista su questo capolavoro?

Non definirei né Macbeth Simon Boccanegra delle opere esclusivamente politiche, nel senso che in esse l’elemento politico è presentissimo ma non preponderante. In Macbeth avevo privilegiato il rapporto che ciascuno di noi ha con i propri desideri più nascosti e mostruosi: al centro della mia lettura c'era infatti il sogno, attraverso il quale le streghe parlavano al protagonista. In questo Simon Boccanegra è ancora una volta il rapporto con una parte misteriosa di noi stessi ad avermi attratto, in particolare il rapporto con il passato. La vicenda di Simone si svolge venticinque anni dopo avvenimenti molto traumatici (la donna amata muore e la figlia avuta da questa relazione “peccaminosa” scompare senza lasciare tracce): ho quindi immaginato tutta l’opera come un rapporto costante di Simone con questa oscura e dolorosa parte di sé.

Verdi riservava cure maniacali all'allestimento teatrale delle sue opere, interessandosi di tutti i dettagli e di tutte le innovazioni scenotecniche più all'avanguardia. Per un regista di oggi cosa significa restituire al pubblico le sue opere e confrontarsi con il suo lavoro?

In termini piuttosto generici, direi che ci sono due esigenze della regia d’opera che spesso si scontrano nei gusti del pubblico e nelle letture della critica. La prima è quella sacrosanta di salvaguardare e di conservare le opere del repertorio, un po’ come si fa con i capolavori esposti nei musei – al massimo si possono restaurare ma non ridipingere. Dall’altra parte è pur vero che il teatro è una materia viva e che non si può riproporre ciecamente ciò che è stato già fatto. Penso che entrambe queste esigenze vadano rispettate e siano necessarie. Personalmente, nella costruzione dei miei spettacoli, mi sento libero di muovermi tra entrambi gli schieramenti. In questo caso ho preferito seguire la drammaturgia verdiana senza stravolgimenti perché il personaggio di Simone mi sembrava già abbastanza “attuale” senza bisogno di fargli indossare abiti moderni, ma non credo che sia per forza l’unica strada.

Oltre a Macbeth e a Simon Boccanegra, ha affrontato spesso opere in cui il tema politico, il peso o la ricerca del potere sono centrali. Penso a Maria Stuarda, ma anche a Didone, regina e donna innamorata, a Idomeneo, re e padre, o alla stessa Norma, donna, madre e punto di riferimento politico e spirituale per il suo popolo. Quale valore dà a questi temi nei suoi spettacoli, come ha sentito di declinarli di volta in volta?

In tutte queste opere ciò che mi colpisce e mi affascina è il rapporto tra le esigenze del potere e la vita dei personaggi, il contrasto, spesso tragico, tra il pubblico e il privato. Il sacrificio che ciascuno sceglie di compiere o meno, le menzogne che si è disposti a dire, a se stessi o agli altri, o viceversa il grado di coerenza che ciascuno è disposto a sostenere, pur di difendere la propria posizione di potere. Del resto questi sono i temi centrali della nostra cultura fin dai tempi della nascita del teatro, con la tragedia greca.

Ha portato in scena la Maria Stuarda di Donizetti e quella di Schiller, il Macbeth di Verdi e di Shakespeare. Qual è il rapporto, se c'è, e quali le fondamentali differenze nel trattamento di questi medesimi soggetti in musica e in prosa. L'una ha influenzato in qualche modo l'altra, nella sua lettura? Nel teatro di prosa ha portato in scena anche le vicende di Falstaff e l'Elettra di Hofmannsthal
: ha pensato anche a Verdi e Strauss? Le piacerebbe lavorare anche sulle loro opere?

Mi piacerebbe moltissimo lavorare al Falstaff di Verdi o alla Elektra di Strauss. A maggio porterò in scena Luisa Miller e da tempo sto progettando di mettere in scena Intrigo e amore, il testo di Schiller da cui l’opera è tratta. In generale il libretto d’opera procede per tagli di intere parti rispetto agli originali, ma spesso, grazie soprattutto al genio del musicista, le parti che non ci sono si… sentono. Il caso di Macbeth per me è esemplare. C’è un personaggio completamente tagliato, la moglie di Macduff e lo stesso Macduff è molto ridotto. Ma quando egli canta la sua bellissima aria nel terzo atto, si ritrovano tutte le suggestioni delle pagine di Shakespeare che non ci sono più!

Il suo lavoro nel teatro musicale comprende titoli del grande repertorio e testi del XX e XXI secolo, fra cui la prima assoluta del Dissoluto assolto di Corghi e Saramago. Si è confrontato anche con il librettista premio Nobel in quell'occasione? Come ha affrontato la creazione di un'opera nuova e, in generale, quali differenze riscontra lavorando su testi di epoche e tradizioni diverse?

Ho conosciuto Saramago solo alcuni giorni prima del debutto a Lisbona ed è stato un incontro che non dimenticherò mai. Aveva un volto e un sorriso che sembravano quelli di un amico che conosci da sempre. In quell’occasione ho invece lavorato a stretto contatto con Azio Corghi. Ci vedevamo spesso e lui mi suonava l’opera al pianoforte e me la raccontava, passaggio dopo passaggio. Mi piace molto collaborare con un musicista per la nascita di una nuova opera. Nel prossimo futuro ho in programma una nuova opera di Giorgio Battistelli e non vedo l’ora di poter lavorare con lui per la concezione dello spettacolo sulla scena.

Lavorare con cantanti e con attori di prosa, nel teatro lirico e nel teatro di parola alle soglie del 2015: esistono ancora differenze e confini? Cosa la affascina e cosa, invece, le piacerebbe cambiare di questi mondi che frequenta abitualmente?

Sia quando faccio la prosa che l’opera mi sforzo di guardare altrove. Credo che non esistano più e debbano esserci sempre di meno degli ambiti così limitati. Tutta la cultura del Novecento ci ha insegnato a guardare altrove ma spesso il teatro è rimasto indietro rispetto a questa apertura di prospettive. Trovo in questo senso che la specializzazione degli spettatori e, soprattutto, dei critici sia un problema. Spesso gli appassionati di opera parlano solo di quello e quelli di prosa fanno altrettanto. Mi spiace che alcuni critici seguano il mio percorso in un campo e alcuni altri nell’altro. Penso al mio lavoro come a un percorso unico e mi spiace che nessuno possa leggerlo, ed eventualmente giudicarlo, nella sua interezza.

Un punto d'incontro particolarissimo fra musica e prosa è stato, nella sua carriera, lo splendido Manfred di Schumann a Torino. Che ricordo ha di quella esperienza?

È stato un progetto ambizioso che nasceva dalla collaborazione tra il Teatro Stabile e il Teatro Regio di Torino. C’è un vasto repertorio teatrale che ha delle musiche di scena meravigliose, come quelle di Schumann nate per il testo di Byron, ma le difficoltà produttive sono spesso insormontabili. La collaborazione tra i due teatri è stato un segnale evidente di come sia possibile e fruttuoso di allargare i confini specifici del proprio ambito specialistico. In quel caso gli spettatori del Teatro Carignano potevano godere di una meravigliosa musica diretta da un grandissimo direttore come Gianandrea Noseda e gli spettatori del Teatro Regio godere della recitazione di un bravissimo attore come Valter Malosti.

Streaming, DVD, trasmissioni televisive dai teatri d'opera sono ormai all'ordine del giorno: ha pensato anche alla dimensione cinematografico/televisiva nel progettare il suo spettacolo? Ha collaborato alla realizzazione delle riprese che vedremo su Rai5?

Ho avuto una proficua collaborazione con la regista della ripresa televisiva del Boccanegra e soprattutto con Pasquale Mari, il light designer dello spettacolo, che è anche direttore della fotografia per il cinema, abbiamo curato le luci con un occhio alle riprese televisive che hanno delle esigenze più specifiche.

Prossimi progetti?

Il prossimo mese di maggio, come dicevo, ci sarà ancora Verdi con Luisa Miller al San Carlo di Napoli e in autunno porterò in scena Fedra di Seneca.

foto Michele Crosera