Esplorare l'inesplorato

di Roberta Pedrotti

Il Teatro Coccia di Novara risponde al blocco dell'attività imposto dall'emergenza sanitaria con un'opera nata appositamente per le piattaforme online. Abbiamo chiesto agli interpreti e agli artefici di raccontarcela. Daniela Barcellona ci parla del suo personaggio in Alienati, ma anche della situazione attuale, del lavoro del cantante, delle sue preoccupazioni e dei suoi progetti.

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Daniela, parlaci un po' del tuo personaggio, che dalle notizie trapelate sembra un po' borderline. In questo periodo in cui i medici sono i punti di riferimento in tutti i programmi di approfondimento e intrattenimento, mentre si affacciano e riaffacciano vari Dulcamara, sembra molto attuale...

In realtà è un ruolo da caratterista: più che a Dulcamara, porrei la mia nutrizionista fra "Baba la turca" e Wanna Marchi.

E' una donna fondamentalmente sola, con accanto un marito assente, che sfoga le sue frustrazioni fra bacche di goji, infusi e farine integrali: poi, vivendo nel mondo moderno, si improvvisa nutrizionista, con tanto di rubrica e followers su internet... Un turbante, un po' di incenso, la giusta atmosfera ed il gioco è fatto!

Qual è il tuo rapporto con la musica contemporanea? È la prima volta che canti in una prima assoluta? Come ti trovi a collaborare direttamente con i compositori?

In realtà non è la prima volta che mi rapporto con la musica contemporanea: ho partecipato a svariate prime esecuzioni e dare un giudizio univoco è impossibile. Ogni compositore ha la sua caratteristica, ma diciamo che prediligo la persona che si mette al servizio dell'arte e, soprattutto, del pubblico. Non vorrei sembrare banale né tantomeno retorica, ma se la musica diventa talmente cerebrale o snob (mi si passi il termine) da allontanare il pubblico, allora è più corretto parlare di fallimento. Riassumendo, mi piacciono i compositori che scrivono per soddisfare chi ascolta e non il proprio ego.

E, riguardo alla collaborazione, ho avuto parecchia fortuna fino ad ora: ho sempre trovato persone gentili, disponibili e, soprattutto, preparate. Come per il direttore d'orchestra, anche questo è fondamentalmente un mestiere: più la persona è competente e più cerca la collaborazione!

Un'opera in “smart working” come hai accolto la proposta? Come sta andando questo esperimento?

Con entusiasmo, soprattutto perché è un qualcosa che si adatta perfettamente a questo particolare periodo. Probabilmente sarà un progetto che rimarrà unico, ma è comunque un'idea e, di questi tempi, non posso che congratularmi con il sovrintendente che l'ha avuta (Corinne Baroni). Dal punto di vista strettamente tecnico, stiamo risolvendo i problemi man mano che si propongono... In fondo, ci stiamo muovendo su di un terreno nuovo ed inesplorato, ma posso dire che il progetto mi sta coinvolgendo, e divertendo, parecchio.

Come stai vivendo questo periodo, da artista ma non solo? Che timori e che speranze hai per il futuro?

Cerco di vedere il lato positivo della situazione e di prenderlo come un'occasione di rinnovamento. Molte realtà dovranno necessariamente evolversi per adattarsi ma, soprattutto, sarà fondamentale che la mentalità di molte persone cambi: il dopoguerra ha dato un impulso incredibile al nostro paese e gli italiani dell'epoca hanno dimostrato di saper dare il meglio proprio nelle situazioni più difficili. Spero tanto che le persone di oggi si dimostrino preparate a raccogliere questa sfida e, come dicevo, ad adattarsi.

Cos'è per te il teatro dal vivo, il rapporto con il pubblico?

Il teatro dal vivo è l'unico possibile! Non si tratta solo di recarsi in un luogo per ascoltare e guardare uno spettacolo, ma di farne parte. Ogni rappresentazione è unica ed irripetibile ed è creata al momento solo per le persone presenti. La registrazione di un evento ne coglie solo una parte, isolandola dal contesto: sarebbe come guardare il video di un pranzo invece di recarsi al ristorante per consumarlo.

Spesso mi è successo di assistere ad esecuzioni memorabili ma, riascoltandole, di cogliere una mi-riade di errori: in realtà, quelli che percepivo come difetti nella registrazione, erano le unicità di un capolavoro dal vivo.

Ed tutto questo è possibile quando si crea una comunione fra artista e pubblico: se manca questo, manca tutto. Stessa cose per le cosidette "lezioni online": via internet posso chiacchierare con un allievo, parlare di musica, analizzare assieme un personaggio, ma mai farlo cantare (se non per insegnargli le note, ma questo può farlo benissimo con un pianista o da solo): il 90% della nostra arte è fatta di sensazioni, immagini e, anche dal punto di vista tecnico, ho bisogno di ascoltare un suono dal vivo per capire se si proietta bene, se è ben immascherato, se il fiato è appoggiato, se c'è un so-stegno sufficiente. Devo guardare l'allievo senza filtri e questo è possibile solo dal vivo.

Il mondo dell'arte si è mobilitato in vari modi, esprimendo grandi preoccupazioni, cercando di sfruttare in ogni modo i mezzi tecnologici e i social, a volte cercando di trasferire la fruizio-ne on line con streaming in diretta o di registrazioni, a volte, come in questo caso , sperimen-tando strade nuove. Cosa ne pensi? Cosa resterà insostituibile e irrinunciabile e quali potran-no essere nuove esperienze utili?

Questo, come giustamente sottolinei, è un esperimento unico ed è stato creato in un periodo in cui non è possibile realizzare altro: si potrà forse creare un genere nuovo fruibile via internet (un po' come i racconti interattivi), ma non chiamiamolo "Teatro" (come non posso chiamare "piatto di carbonara" una fotografia).

Vogliamo parlare un po' di progetti futuri? Come auspicio per un ritorno alla normalità.

Se tutto andrà come deve, ad Agosto sarò all'Arena di Verona con la IX di Beethoven; subito dopo, inizierò le prove per il Ballo in maschera a Madrid, alla Scala con un programma "da definirsi", il Falstaff a Bruxelles e poi, a Dio piacendo, finirà il 2020! E speriamo che, con il mio debutto nel Trovatore a Parigi all’inizio dell’anno prossimo, si torni alla normalità.