di Roberta Pedrotti
Il Teatro Coccia di Novara risponde al blocco dell'attività imposto dall'emergenza sanitaria con un'opera nata appositamente per le piattaforme online. Abbiamo chiesto agli interpreti e agli artefici di raccontarcela. Abbiamo intervistato Roberto Recchia, il regista di Alienati alle prese con qualcosa di completamente nuovo senza poter lavorare a contatto diretto con gli interpreti.
leggi anche -> Novara, Alienati: un'opera sperimentale per il Teatro Coccia
Alienati, intervista a Marco Taralli
Alienati, interviste a Federico Biscione, Alberto Cara, Cristian Carrara, Federico Gon
Alienati, intervista a Stefano Valanzuolo e Vincenzo De Vivo
Alienati, intervista ad Alfonso Antoniozzi
Alienati, intervista a Daniela Barcellona
Alienati, intervista a Roberto De Candia
Alienati, intervista a Luciano Ganci e Giorgia Serracchiani
Alienati, intervista a Jessica Pratt
Alienati, interviste a Davinia Rodriguez e Sofia Frizza
Alienati, intervista a Nicola Ulivieri
Per Alienati, da regista teatrale, dovrà agire un po' anche come regista cinematografico. Per di più a distanza! Come si allestisce uno spettacolo in smart working?
Più che “come”, ci sarebbe da chiedersi “perché”. E anche questa non sarebbe una risposta facile. In realtà tutto nasce da un’intuizione geniale di Corinne Baroni che, da direttore artistico di un teatro, ha sentito la necessità e l’urgenza di far sentire che il mondo operistico è vivo, nonostante il disinteresse della politica, e sa reagire e rigenerarsi anche nei momenti di crisi più nera. Da Corinne mi era già arrivata la proposta, in tempi non sospetti, di curare la regia di Mettici il cuore, e ha inventato la Live cooking opera, ovvero un’opera in cui, tra un’aria e l’altra, lo chef Cannavacciuolo preparava, in una vera cucina ricostruita in scena, il suo piatto più famoso. Ed è stato un successo.
Ora che le difficoltà si sono moltiplicate, ha scelto una strada ancora meno semplice: ha fatto scrivere un’opera che prevedesse l’obbligo per i suoi personaggi di rimanere in casa. Si è scelto giustamente di sostituire il virus con un’invasione aliena, ma la conseguenza è la stessa: tutti possono comunicare solo a distanza, utilizzando i mezzi tecnologici a loro disposizione, ovvero telefonini, internet, Skype, conference calls, Zoom… Noi tutti abbiamo avuto esperienza diretta di questi mezzi che, nel moltiplicare le possibilità di comunicazione, nella realtà non fanno che aumentare le distanze e le barriere. Non contenti, nel concepire Alienati abbiamo cominciato a a complicarci la vita. La fruizione da parte del pubblico avverrà tramite internet e allora ci siamo chiesti: cosa rende internet interessante per l’utente? Ma che domande! L’interattività. Ed ecco che, sfruttando le possibilità della rete, l’opera, che è costruita ad episodi chiusi, non avrà un andamento lineare, ma lo spettatore dovrà scegliere quale personaggio seguire, creando la propria visione personalizzata. E alcuni snodi narrativi saranno perfettamente chiariti solo da un’esplorazione attenta di tutte le alternative. Se posso permettermi, il vero colpo di genio è stato quello di evitare seriosità e intellettualismi, e di gettarsi invece in una moderna versione dell’opera buffa, con un cast da far leccare i baffi a qualsiasi regista (e qualsiasi direttore di teatro).
E qui finisce la parte facile. Perché poi uno spettacolo è fatto di contato fisico e diretto tra gli attori e il regista, il costumista, i tecnici, il direttore. Qui invece ognuno deve diventare regista di sé stesso.
Tutto comincia con grandi riunioni virtuali su Gotomeeting, meraviglioso mosaico impressionista fatto di balbettii e fermi fotogramma, dove non sai nemmeno se guardare nell’occhio della webcam o se concentrarti sul rettangolino del tuo interlocutore, col rischio di avere lo sguardo perso nel nulla come Giovanna d’Arco che sente le voci. Poi si entra nei dettagli della narrazione di ogni singola scena, tutto senza poter lavorare direttamente sullo spartito, perché queste maledette piattaforme non permettono la contemporaneità degli interventi: ci sono sempre quei secondi di latenza che, se già sono patetici in uno studio televisivo, in una prova teatrale o musicale a distanza rendono la recitazione ronconiana un saggio di secchezza e rapidità.
Per me, abituato a lavorare sull’espressività della parola cantata, è una situazione estremamente frustrante. E ancora più frustrante è non poter essere presente quando verranno girati i video. È la stessa sensazione che prova un esperto guidatore costretto a cedere il volante al passeggero.
Per quanto riguarda l’aspetto estetico, quindi il linguaggio squisitamente cinematografico applicato all’opera, ho pensato di dribblare il problema. Non potendo allestire una cinematografia oggettiva vera e propria, con angoli di ripresa, luci, montaggio e tutto il resto, ho pensato di ricorrere alla soggettività della videocamera del cellulare o del computer: tutto sarà visto dal punto di vista dell’interlocutore di ciascuna videochiamata in un ipotetico piano sequenza.
I cantanti attori si stanno dimostrando in questo senso dei mostri di creatività, e il mio problema è solo quello di cercare di dare unità visiva al tutto.
E qui devo dire che la collaborazione del costumista virtuale e virtuoso Giuseppe Palella si è rivelata indispensabile e preziosissima: ha rovistato a distanza negli armadi degli interpreti e ha spedito loro accessori e attrezzeria reperita su internet o confezionata da lui. Il risultato è finora, ve lo anticipo, strepitoso.
Come interagisce con drammaturgo, regista, compositori, committenza e interpreti un regista di un'opera nuova? E di un'opera nuova con una struttura così particolare?
Io sono stato coinvolto fin dall’inizio del progetto, quindi ho partecipato alle discussioni con Corinene, Marco Taralli, il compositore capofila, e gli autori del testo, Stefano Valanzuolo e Vincenzo de Vivo. Ma poi mi sono messo alla finestra e li ho lasciati lavorare: il libretto che ne è uscito è stato subito perfetto. L’idea dell’interattività è stata posta sul tavolo ancor prima che gli autori fossero stati scelti. L’ho sposata subito con entusiasmo: qualche precedente si era già avuto in teatro (Intimate exchanges di Alan Ayckbourn) e in tv (Bandersnatch, episodio della serie Black Mirror), per non citare Showstopper! e tutti gli epigoni nel mondo dell’improvvisazione teatrale. Ma in campo operistico credo che noi siamo dei pionieri. Poi, nel corso della lavorazione, pur rimanendo in modalità remota, abbiamo lavorato a stretto contatto con i compositori (cinque in totale!) e, per l’aspetto tecnico, con il fonico, Federico Pelle, che ha la responsabilità di garantire una continuità nelle riprese delle voci, fatte in autonomia dagli artisti. E io sono il primo a sostenere che l’aspetto forse più delicato di un’operazione di questo tipo sia proprio la qualità dell’audio.
In generale mi sono permesso di richiedere solo qualche piccolo aggiustamento in sede di struttura drammaturgica, in modo da accrescere nello spettatore l’illusione di poter scegliere il corso degli eventi. Un’illusione, appunto. Perché è tutto già registrato e già deciso. E tutto rimarrà un unicum che nessuno di noi si illude possa costituire un accettabile sostituto dello spettacolo dal vivo.
Iì’nfatti Corinne, nella sua lungimiranza, ha già pensato che i nostri Alienati avranno la loro versione dal vivo al Coccia, su un vero palcoscenico, cioè nel luogo naturale dell’opera. La vera sfida sarà permettere agli spettatori di avere anche dal vivo la possibilità di scelta. Io qualche idea già ce l’ho…
Per quanto riguarda la possibilità di una rappresentazione in teatro di Alienati, sta già pensando a come tradurre questa drammaturgia così particolare e il lavoro “virtuale” in uno spettacolo tradizionale?
…ma è prematuro parlarne. Qui anche i muri hanno le orecchie (e le webcam hanno i microfoni). E noi vogliamo essere primi e originali anche nella formula di Alienati live.
Da regista e da attore, dove la fisicità del teatro, l'attimo fuggente dal vivo resta insostituibile e come – oggi ma anche in passato – si mette in relazione con media e tecnologie? Quali prospettive vede per il futuro, sia nell'immediato dell'emergenza, sia quando torneremo alla normalità?
Domanda immensa. In questi giorni si sono viste moltiplicarsi lodevolissime iniziative da parte di molti teatri che hanno messo a disposizione, per lo più gratuitamente, i loro archivi in sostituzione degli spettacoli cancellati. Sui social è stato un fiorire di smart videos con collaborazioni fra amici, colleghi, orchestre, cantanti che hanno ottenuto risultati a volte strabilianti, grazie anche alla qualità video sempre più alta dei nostri telefonini. Molti festival si sono trasformati in piattaforme streaming con una quantità tale di materiali di approfondimento che non basterebbero tre vite per compulsarli tutti. Ho paura che alla fine tutto questo produrrà un effetto di saturazione.
D’altra parte, la crisi sta già avendo un effetto positivo: costringe infatti gli operatori a guardarsi in giro e ad aguzzare l’ingegno. E l’esperienza che stiamo accumulando oggi potrà risultare utile sotto altre forme in futuro. Non penso alle opere riprese in video: mi annoiano e sono una versione drogata dello spettacolo dal vivo. Ben vengano i Live del Met o della ROH, purché sia chiaro che quello che sto vedendo è un film e non uno spettacolo teatrale. Penso piuttosto all’uso della tecnologia in palcoscenico (i musical in questo senso sono dei laboratori straordinari). Oppure ai libri di sala virtuali, alle sottotitolazioni da seguire sullo schermo – rigorosamente nero – del proprio smartphone (tanto stanno accesi comunque, tanto vale che si rendano utili). O ai servizi di biglietteria (e magari la Siae dovrebbe anticipare le nuove tecnologie, invece di svegliarsi sbadigliando dal letargo a sipario ormai abbassato…). O agli incontri a distanza con gli artisti. O a tutto lo sconfinato mondo della didattica, che deve creare non solo nuovi spettatori ma soprattutto persone che sanno che la cultura è necessaria come l’ossigeno.
Detto questo, lo spettacolo DEVE rimanere dal vivo, fatto col sangue e il sudore dei suoi cantanti, musicisti, tecnici, i quali vivono del loro rapporto con il pubblico il quale a sua volta DEVE sentirsi speciale, non un numero utile solo ad ingrossare le statistiche dell’Auditel.
Guardate cosa sta succedendo al cinema: in questi giorni debutterà la prima piattaforma virtuale che opererà in collaborazione e sostituzione degli esercenti che sono impossibilitati a riprendere la loro attività. L’utente, restando a casa, e pagando il biglietto di ingresso, sceglierà, oltre al film, anche il suo cinema di riferimento cui andrà l’incasso mancato. Idea brillantissima che, appunto, fa ricorso alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia. Ma qualcuno crede davvero che lo streaming possa sostituire il buio della sala e potrà dimenticare che vedere un film è soprattutto un atto collettivo? In ogni caso questa soluzione aggira solo e parzialmente l’impossibilità di distribuire i film già pronti. E le nuove pellicole, in lavorazione o che dovranno essere girate in futuro? Come si potranno allestire i set in sicurezza?
Se questo è vero per il cinema, ancor di più lo è per il teatro in generale e per il teatro musicale in particolare. Il distanziamento del pubblico è solo una parte del problema. Perché nessuna Giulietta potrà mai baciare il suo Romeo se dovrà obbligatoriamente indossare la mascherina e stare a due metri di distanza dal suo amato (senza contare che occorrerà uccidere Mercuzio con un’alabarda invece che con un pugnale…).