Nove colori in nove movimenti

una performancedi Gabriele Amadori, Stefano Battaglia e Michele Rabbia che ci fa vedere la musica e ascoltare la pittura

Martedì 17 febbraio alle 20.30 nell'Aula Magna della Sapienza (piazzale Aldo Moro 5) per la IUC - Istituzione Universitaria dei Concerti, "Nove colori in nove movimenti", una performance di musica e pittura con il pittore Gabriele Amadori, Stefano Battaglia al pianoforte preparato e Michele Rabbia alle percussioni.

Gabriele Amadori, allievo di Emilio Vedova, è un artista versatile e ha creato una forma d'arte interdisciplinare, una performance pittorica e insieme musicale, una forma di teatro totale, in cui gesto, suono e colore contribuiscono alla nascita di un evento unico e originale. Dalla sua azione pittorica, evocata, accesa e stimolata dalla musica, nasce un fascino profondo e anche un po’ misterioso, estetico, religioso, onirico, mitico.

La performance è il risultato dell'interazione tra diverse arti e diversi soggetti, la cui diverse realizzazioni pittoriche e musicali trovano una direzione comune. Sulle improvvisazioni jazzistiche di Stefano Battaglia e Michele Rabbia, Gabriele Amadori dipinge una grande tela di otto metri di lunghezza con nove colori: azzurro cobalto, turchese chiaro, giallo, rosso brillante, blu oltremare, arancio, arancio brillante chiaro, verde brillante chiaro, verde brillante scuro. Ogni colore corrisponde alla sonorità di uno strumento, a un carattere della musica, a una sensazione, a un'idea, e la "partitura" pittorica si realizza in relazione con lo svolgimento della musica, traducendo i suoni in colori.

Con Amadori sono sul palco due dei più noti musicisti jazz italiani.

Stefano Battaglia, pianista e compositore, ha tenuto più di 3000 concerti in Italia, Germania, Svizzera, Francia, Spagna, Austria, Repubblica Ceca, Spagna, Ungheria, Belgio, Giappone, Tunisia, Israele, Stati Uniti, Slovenia, Olanda, Grecia, Marocco, Turchia, Svezia, collaborando con molti musicisti internazionali e pubblicando più di cento dischi, che gli hanno valso numerosi premi e riconoscimenti nazionali ed internazionali.
 Il cd Explore con Tony Oxley è stato votato negli Stati Uniti tra i migliori dieci album europei del decennio 1990-2000. La prestigiosa casa discografica tedesca ECM ha pubblicato cinque suoi album, tra cui il doppio cd "Re: Pasolini", cui partecipa Michele Rabbia, dedicato al grande poeta, che è stato anche eseguito nelle principali sale da concerto del mondo, tra cui la Steinway Hall di New York e l’Alte Oper di Francoforte.

Michele Rabbia è stato definito "funambolo della batteria e di tutto ciò che si può percuotere". Per alcuni anni ha studiato negli Usa, dove ha svolto anche un'inetnsa attività concertistica. Tornato in Europa negli anni Novanta, ha fondato il gruppo Aires Tango e ha collaborato con musicisti quali Antonello Salis, Javier Girotto, Maria Pia De Vito, Danilo Rea, Paolo Damiani e altri ancora. Particolarmente intensa la sua collaborazione con Stefano Battaglia. Ha incisocon ECM e altre prestigiose etichette.

BIGLIETTI: Interi: da 12 euro a 20 euro (ridotti da 16 euro a 10 euro)

under 30: 8 euro

under 14: 5 euro

INFO per il pubblico: tel. 06 3610051/2

www.concertiiuc.it

botteghino@istituzioneuniversitariadeiconcerti.it


Partitura visiva di Gabriele Amadori :“Nove colori in nove movimenti”

Stefano Battaglia, piano preparato e Michele Rabbia, percussioni

1 - AZZURRO COBALTO (chiaro)

pittura: ( veloce moderato e azione sospesa)

piano: centripeto (armonia timbrica + timbri verticali acuto/gravi)

percussioni: aria, vento, celestiale (electronics + tubi del vento + sega)

TRANSIZIONE VIOLINO ACQUA + ELECTRONICS (piano prepara registro acuto)

2 – TURCHESE (chiaro)

acqua, leggero, delicato, luminoso, chiaro, indefinito

pittura: (intersecare i segni precedenti sfumando con 2 pennelli)

piano preparato: delicato, indefinito, luminoso (timbro registro acuto)

percussioni : acqua, luminoso (violino ad acqua)

TRANSIZIONE PIANO PREPARATO

3 - GIALLO

terra, eccentrico, inquieto, eccitante, pazzia, ottoni, fanfara, crescendo

pittura: pazzia (botte materiche con variaz. Improvv.)

piano: terra, fanfara, crescendo

percussioni: inquieto, ottoni, crescendo

TRANSIZIONE DUO

crea pulsazione

4 – ROSSO BRILLANTE

fuoco, vivo, irrequieto, intenso, tensione e forza, determinato, consapevolezza, caldo, fremente e ardente verso l'interno, opposizione, rapido e continuo movimento, fuga

entusiasmo sino al dolore, sangue che scorre, suoni forti ostinati passione che scorre continua, forza consapevole, tamburo profondo

pittura: (tormenta convulsamente e spasmodicamente i colori precedenti- ubriaco)

piano preparato: fuoco, entusiasmo sino al dolore, sangue che scorre, suoni forti ostinati

percussioni:passione che scorre continua, forza consapevole, tamburo profondo

TRANSIZIONE PIANO (fade) + ELECTRONICS

5 – BLU OLTREMARE

cielo, concentrico, celestiale, pace, divino, contrabbasso, profondo, solenne, organo, gravità

pittura: (azione lenta, cadenzata, blues)

piano: divino, organo (armonia + melodia)

percussioni: concentrico, celestiale, profondo, gravità (electronics + set)

TRANSIZIONE ELECTRONICS

6 – ARANCIO BRILLANTE

terra, sol, convinto, forte, balsamico, campane di chiesa, viola

pittura: (azione leggera con pause decise su giallo)

piano: campane chiesa, viola

percussioni: terra, campane

TRANSIZIONE DUO

7 – ARANCIO BRILLANTE CHIARO

sole, largo, Angelus, voce, forte, chiaro

pittura: (segni continui piccoli vicini con azione decisa )

piano: voce, Angelus, forte

percussioni: largo

TRANSIZIONE PIANO

8 – VERDE BRILLANTE CHIARO

energia, violino registro medio, pastorale, danza

pittura: energia(segni veloci e articolati nella forma sopra rosso)

piano: violino, danza

percussioni: pastorale, danza, tamburone

TRANSIZIONE DUO

9 – VERDE BRILLANTE SCURO

pace, riposo, calma, balsamico

pittura: calma( segni leggei e sospesi a sfiorare la superfice sopra e vicino colore precedent)

piano: pace

percussioni: riposo, balsamico (electronics + set)


“Lo spazio” serve proprio a tale scopo, poiché la funzione fantastica non è che questo: riserva infinita d’eternità contro il tempo (…. )Lo spazio è nostro amico, la nostra atmosfera spirituale, mentre invece il tempo corrode.

(Gilbert Durand, Les structures anthropologiques de l’imaginaire)

Il fascino profondo e anche un po’ misterioso (estetico, religioso, onirico, mitico) che emana dalla straordinaria azione pittorica di Gabriele Amadori evocata, accesa e stimolata da una qualche partitura sonora, nasce e risiede a mio parere da e in una singolare e vigorosa consapevolezza antropologica. La sapienza e la potenza rituale della sua “celebrazione” (ma potremmo benissimo dire della sua infatuazione o della sua possessione) hanno come epicentro lo scontro (e non certo l’incontro), il conflitto fatale e di-sperato tra l’eufemismo spaziale creato e ricreato infaticabilmente dalla fantasia e l’annientamento della disgregazione operato dal tempo. Si tratta di un nucleo simbolico di memorie remote, ma piuttosto ancestrali, sul quale Amadori opera una elaborazione, anzi una interpretazione perfettamente moderna e ineccepibilmente laica.

Un passaggio del grande antropologo Gilbert Durand da Les structures anthropologiques de l’imaginaire sembra scritto ad hoc per l’azione di Amadori : « La rappresentazione nella sua totalità si erge contro l’annientamento portato dal tempo, specialmente la rappresentazione in tutta la sua purezza di anti-destino: la funzione fantastica rispetto alla quale la memoria non è che un incidente. La vocazione dello spirito può essere soltanto di insubordinazione all’esistenza e alla morte». Prima di iniziare l’azione scenica Gabriele Amadori traccia sulla grande tela le coordinate spazio-temporali: qui il consolidarsi delle strutturazioni e la crescente saturazione cromatica dello spazio comprimono e imprigionano il tempo nei suoi infiniti interstizi; in questa battaglia, in questa lotta (per gli attori alla lettera corpo-a-corpo), tra l’erosione entropica della astrazione temporale e il consolidarsi nell’ispessimento materico di uno spazio euclideo, il rito collettivo (Amadori, i musicisti, ma da subito anche il pubblico) conferma simbolicamente proprio dentro la spazialità la patria della funzione fantastica; l’origine della straordinaria e utopica eversione contro il destino della caducità, della perdita e della morte.

«Proprio per questa ragione profonda – scrive Durand commentando Bergson – l’immaginazione umana è modellata prima dallo sviluppo del vedere, poi dall’udire e infine dal linguaggio: tutti mezzi di apprendimento e di assimilazione “a distanza”. Appunto in questa riduzione “eufemizzante” della distanza e del distacco sono contenute le qualità dello spazio». Non è, direbbe Piaget, lo spazio immediatamente percettivo; ma piuttosto quello rappresentativo che si apre all’apparire della funzione simbolica, strettamente legato all’azione poiché “la rappresentazione spaziale è un’azione interiorizzata”.

La formula che abbiamo spesso utilizzato a proposito di Amadori “vedere la musica e ascoltare la pittura” evidenzia proprio la specificità di uno spazio densamente simbolico di rappresentazione (teatrale, rituale, persino liturgica, sovente onirica e visionaria) dentro il quale anche la temporalità musicale (tempi, ritmi, scansioni) si metamorfizza aprendosi, strutturandosi, assestandosi in ambiti simbolici; in nuclei di resistenza di una durata che affronta con determinazione la minaccia del silenzio e del nulla di prima e di dopo.

D’altra parte l’azione di Amadori non fa che sottolineare la nostra tendenza naturale a trasformare percezioni e sensazioni di ogni tipo in temi visivi e in immagini: a tal punto che proprio la terminologia delle arti musicali è essa stessa “visiva”: volume, misura, crescendo, simmetria, etc.

La mediazione rituale ovvero in questo caso il conduttore energetico della contrapposizione tra “l’amicizia” eufemizzante dello spazio e l’ostilità dispersiva del tempo non è costituita dalla materialità agita dei colori, degli impasti, delle campiture, delle pennellate, delle sgocciolature, degli spruzzi; ma direttamente e costantemente dalla corporeità integralmente impegnata dell’attore che, sulla scena, spalanca, costruisce, percorre distanze traducendo in rappresentazione simbolica la fuga del tempo che lambisce e dilava rischiosamente anche i confini esterni del recinto sacro del rito di luce.

Il fascino esercitato dalla gestualità febbrile e controllata dell’artista nella progressiva strutturazione cromatica di uno spazio “vuoto” sta proprio nell’accumularsi visivo di una energia simbolica generosa e benefica, capace di incentivare la speranza di una possibile insubordinazione della facoltà immaginaria contro l’insostenibile irreversibilità del tempo.

Milano, novembre 2007

Pietro Bellasi