Bordello di mare con città

25 ottobre 2016, ore 21:00

Inaugurazione Stagione 2016-2017

Teatro Bellini

in Prima Nazionale Assoluta

Bordello di mare con città

di Enzo Moscato

con (in o.a.)

Fulvia Carotenuto, Cristina Donadio, Ivana Maione,
Enzo Moscato, Sefora Russo, Lello Serao, Imma Villa

regia

Carlo Cerciello

scene Roberto Crea

costumi Alessandro Ciammarughi

suono Hubert Westkemper

musiche originali Paolo Coletta

luci Cesare Accetta


produzione

Elledieffe, Teatro Elicantropo

note di regia

 

Napoli, per le abitanti di un ex-bordello è una giornata particolare: si attende la visita del Cardinale che dovrà verificare per conto della Curia se quel luogo di peccato potrà essere consacrato come luogo di culto. Pare, infatti, che Assunta, la proprietaria nonchè ex-maitresse della casa chiusa, sia in grado di fare miracoli, precisamente, di guarire gli ammalati dai “mali moderni”.
È la scaltra Titina l'organizzatrice della nuova attività della casa, poiché, con grande spirito imprenditoriale, ha fiutato le potenzialità economiche dell'industria dei miracoli.

C'è poi Betti, la figlia dodicenne di Titina, già avviata alla prostituzione e c'è una giornalista che intervista le ex meretrici. Ci sono pozioni magiche e segreti, passioni e vendette, c'è la religione senza spiritualità e c'è Napoli, in un costante bilico tra il sacro e il profano...

Dopo il grande successo di Scannasurice, il nuovo allestimento di Carlo Cerciello attinge di nuovo all'universo di Enzo Moscato che sarà, sulle scene ideate da Roberto Crea, insieme a un nutrito gruppo di attrici e darà vita a uno spettacolo dalla cifra onirica ma, al tempo stesso, dalla forza dirompente e intensamente terrena.


Per un teatro dell’eresia permanente

In direzione ostinata e contraria

Seguire un filo invisibile e misterioso, un filo rituale e irrituale, uno sguardo oltre ciò che vediamo o che siamo assuefatti a vedere, uno sguardo dentro le nostre stesse vene, che scorra con il sangue fino alla verità, fino all’estremo teatrale.

Brecht e Artaud lo hanno teso, questo filo, nel ‘900, indicandoci, ad esempio, il superamento della struttura logica del testo, per spingerci ad una visione poetica della parola, ad una sorta di polifonia funzionale allo spiazzamento dello spettatore, costretto a ragionare per immagini, sensazioni, concetti eterogenei.

Heiner Muller, fertile allievo di entrambi, vide nel superamento della maschera, il passaggio dall’esterno all’interno, dalla superficialità alla profondità, dal vestito al sangue. Ritenne necessaria un’immersione nella morte, senza la quale non può esistere alcun punto di vista che abbia solide fondamenta nella vita: senza ricordi, nessuna utopia.

Per conoscere, dunque, il sud che scorre dentro di noi, oltre le fredde nebbie della “struttura”, della “programmazione”, del rassicurante “io produttivo”, dobbiamo rintracciare quel filo invisibile e misterioso che si chiama “teatro”.

Non sarà facile, smarrito com’è tra le certezze algoritmiche del potere e le esigenze disperate della sopravvivenza creativa.

Ho scelto il genio drammaturgico di Enzo Moscato, come bussola per questo viaggio allo stesso tempo archetipico e iconoclasta.

Il viaggio, in verità, per me è cominciato da quando Moscato fece irruzione nella scena teatrale partenopea e nazionale, indicandomi un altro sguardo teatrale, uno sguardo eretico, non convenzionale, un grandangolo per guardare dove altri non avevano guardato, per riflettere sulle ferite, sulle faglie dolorose della mia città, eternamente sospesa tra vita e morte, tra luce e buio.

Dopo aver messo in scena, di recente, i primi testi moscatiani, parlo di Signurì Signurì e di Scannasurice, vorrei, dunque, continuare a seguire quel filo invisibile e misterioso tracciato dall’autore nei territori della ritualità teatrale.

Intendo affidare ancora una volta questo compito al personaggio di Scannasurice, fortemente autobiografico e rappresentativo dell’intera poetica dell’autore, perché ci accompagni anche nelle due successive e fondamentali tappe teatrali, fino alla meta di questo viaggio che è Orfani Veleni del 1990, a mio parere, l’opera più kantoriana di Enzo Moscato.

La prossima tappa di questa trilogia, prima di Orfani Veleni, è invece Bordello di mare con città, in quanto quest’opera contiene in sé tutto il furore iconoclasta di Enzo Moscato nei confronti di una scrittura drammaturgica lineare e costituisce il passaggio dell’autore alla poesia, l’eresia teatrale per eccellenza.

Quest’opera fu commissionata a Moscato alla morte di Annibale Ruccello, per sostituire quella che avrebbe dovuto scrivere e portare in scena lo stesso Annibale. In essa, perciò, Moscato lascia confluire e scorrere con furia il dolore per la morte dell’amico e al tempo stesso il disagio per essere costretto a scrivere ancora una storia, forse l’ultima costruzione lineare per il teatro.

Bordello di mare, dunque, appare spaccato in due metà totalmente diverse tra loro nello stile drammaturgico. La prima parte vede il dipanarsi di una storia tra i sei personaggi che animano l’interno di un bordello, trasformato nel luogo di culto e dei presunti miracoli operati da Assunta una ex prostituta, mentre nella seconda parte la scena e la storia deflagrano in un delirio collettivo monologato, dove trionfa la morte, rappresentata al centro della scena dal cadavere di Betti, la figlia di Titina, uno dei personaggi della storia, uccisa nel corso dello stupro compiuto sulla bambina dal cardinale, fratello di Titina e padre inconsapevole della bambina stessa.

Un esempio di teatro rituale, anticipatore di quella linea artaudiana e kantoriana insieme, che impronterà in seguito tutta la scrittura di Moscato.

Lo scopo è quello di significare, oggi più che mai, in tempi in cui trionfa “il teatro algoritmico ministeriale”, cosa si intenda per teatro rituale, per eresia teatrale, un teatro diverso e della diversità, un teatro capillare, delle vene e del sangue, un teatro della morte, unica vera indagine dell’uomo dentro e fuori se stesso, unico vero senso del teatro dalle sue origini ad oggi.

Carlo Cerciello