Rossini torna all'Arena

IL BARBIERE DI SIVIGLIA

di Gioachino Rossini

  • Per la prima volta insieme all'Arena Nucci e Furlanetto: due leggende della Lirica sul palcoscenico areniano

  • Daniel Oren per la prima volta dirige il capolavoro rossiniano in Arena

  • Il Barbiere di Siviglia debuttò in Arena esattamente 70 anni fa

Arena di Verona

4 (Prima rappresentazione), 8, 17, 24, 30 agosto 2018 - ore 20.45

Arena di Verona, Il Barbiere di Siviglia. ©Foto Ennevi - Fondazione Arena di Verona

Colloquio con Hugo De Ana


Sabato 4 agosto alle ore 20.45 debutta
Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini: l’ultimo titolo lirico in programma per l’Arena di Verona Opera Festival 2018 nell’elegante e favolistica messa in scena di Hugo de Ana.

Per 5 serate fino al 30 agosto l’opera rossiniana è proposta nell’allestimento dell’affermato regista argentino, che ne cura anche scene, costumi e luci per trasformare l’anfiteatro romano in un grande giardino, arricchito dalle divertenti coreografie di Leda Lojodice e caratterizzato dalle suggestive e gigantesche rose che incorniciano la vicenda di Rosina, del Conte d’Almaviva e del factotum Figaro.

Sul podio il famoso direttore d’orchestra Daniel Oren (4, 8/8), che per la prima volta dirige il capolavoro di Rossini in Arena. A Oren seguirà il giovane e affermato maestro veronese Andrea Battistoni per le rappresentazioni dopo Ferragosto (17, 24, 30/8).

Repliche: 8, 17, 24, 30 agosto ore 20.45.


Per ricordare i 150 anni dalla scomparsa di Gioachino Rossini, ritorna in Arena il suo capolavoro buffo, IlBarbiere di Siviglia, proposto nel riuscito allestimento di Hugo de Ana che con successo ha debuttato nel Festival 2007. Il rocambolesco intreccio, che vede Rosina salvarsi grazie a Figaro dalle grinfie di Don Bartolo per finire tra le braccia del Conte d’Almaviva, si svolge tutto sul grande proscenio, mettendo in mostra i ricercati costumi settecenteschi che ben si sposano con l’atmosfera favolistica e surreale della scenografia. La finzione teatrale è sottolineata sia dalla coreografia dell’ouverture, che ricorda un enorme carillon, sia dalla conclusione pirotecnica che sa sempre stupire e affascinare gli spettatori. Sulla scena perciò si rivela un mondo coloratissimo e fantastico, che sembra richiamare quasi quello letterario e cinematografico di Alice nel paese delle meraviglie, coniugandone l’atmosfera con l’immagine settecentesca ed elegante del jardin de l’amour dalle enormi rose rosse e dagli intricati labirinti di siepi: lo spazio scenico, amplificato da quello areniano, riflette così l’aggrovigliarsi di una vera e propria commedia degli equivoci, pervasa da una forte vis comica, essenza dell’opera buffa rossiniana composta sul libretto di Cesare Sterbini, a sua volta tratto dalla pièce drammatica di Beaumarchais del 1775.

Il Barbiere di Siviglia è certamente il titolo rossiniano più noto ed amato in tutto il mondo, ma anche nell’anfiteatro veronesea partire dalle prime tre recite del 1948: esattamente 70 anni fa il palcoscenico dell’Arena vedeva debuttare Giulietta Simionato, grandissimo mezzosoprano, nelle vesti di Rosina. A parte la ripresa dell’opera nel 1956 (protagonista Ettore Bastianini), bisognò attendere quarant’anni per rivedere il capolavoro di Rossini negli ampi spazi areniani: per l’occasione (1996), all’ombra della mongolfiera ideata da Tobias Richter e sotto la direzione di Claudio Scimone, cantavano tra gli altri Leo Nucci, Ruggero Raimondi, Ramon Vargas, Enzo Dara e, come Rosina, il soprano veronese Cecilia Gasdia, oggi Sovrintendente e Direttore Artistico della Fondazione Arena di Verona.

Per il Festival lirico 2018 dà vita al melodramma buffo del grande pesarese un gruppo di interpreti d’eccezione, che vede due leggende del repertorio operistico impegnate per la prima volta insieme all'Arena: il celebre baritono Leo Nucci (4, 8/8) veste infatti i panni di Figaro da quella che sarà la sua recita numero 110 all’Arena di Verona, insieme al grande basso Ferruccio Furlanetto (4, 8/8) in Basilio. Voci di prima grandezza e prestigio internazionale, cui seguiranno altrettanto validi interpreti come il Figaro di Mario Cassi (17, 24, 30/8), il Basilio di Romano Dal Zovo (17, 24, 30/8), e il Bartolo di Carlo Lepore (4, 8, 17/8) e di Nicola Alaimo (al suo esordio in Arena, 24, 30/8), così come i protagonisti della vicenda amorosa: Nino Machaidze, già amatissima Juliette, torna questa volta in Rosina (4, 8, 17/8), ruolo in cui si alterna alla già applaudita Ruth Iniesta (24, 30/8); Dmitry Korchak (4, 8, 24, 30/8) e Leonardo Ferrando (17/8), entrambi al loro debutto areniano, danno voce e corpo al Conte d’Almaviva. Completano il cast Manuela Custer come Berta, Nicolò Ceriani nel doppio ruolo di Fiorello e Ambrogio e Gocha Abuladze in Un Ufficiale.

Il titolo impegna l’Orchestra, il Coro diretto da Vito Lombardi, il Ballo coordinato da Gaetano Petrosino ed i Tecnici dell’Arena di Verona con mimi e acrobati.

Per informazioni e biglietti: www.arena.it e sui canali social Facebook, Twitter, Instagram e YouTube.

Informazioni

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Prezzi da € 22,00 a € 204,00

SI RINGRAZIANO TUTTI I SOSTENITORI

DELL’ARENA DI VERONA OPERA FESTIVAL 2018

Un ringraziamento va a tutti gli sponsor dell’Arena di Verona Opera Festival che con il loro prezioso e immancabile contributo supportano l’organizzazione dell’edizione 2018 e in particolare a UniCredit, gruppo bancario leader in Europa e Major Partner del Festival lirico da oltre vent’anni, allo Special PartnerAGSM, agli Official Sponsor Falconeri e Veronafiere, all’Automotive Partner Volkswagen Group Italia, al Mobility Partner DB Bahn Italia e al Media PartnerRTL 102.5, che torna a sostenere la mission di Fondazione Arena e il suo prestigioso Festival.


IL BARBIERE DI SIVIGLIA

A COLLOQUIO CON HUGO DE ANA

a cura di Fabio Zannoni

Testo tratto dal Numero Unico del 2007, edito dalla Fondazione Arena di Verona

 

Allora ci risiamo: una nuova scommessa per il palcoscenico dell’Arena di Verona, un’opera come Il Barbiere di Siviglia, di per sé priva di elementi di grande spettacolarità, tutta giocata sul ritmo e su una relazione molto diretta e di vicinanza con il pubblico. Quali le soluzioni e le strategie?

Il problema che pone un’opera come Il Barbiere di Siviglia per un palcoscenico come quello dell’Arena di Verona è essenzialmente quello posto, in genere, dal teatro all’aria aperta, per un’opera non concepita per questo tipo di spettacolarità. Ma l’Arena ha anche uno spazio che ci dà grandi opportunità, che possono essere di un certo interesse per il movimento di masse e di persone. Se nel Barbiere l’intrigo è giocato dai personaggi molto “da vicino”, io ho voluto muovere la mia ricerca verso l’individuazione di quegli elementi spettacolari, che sono propri del teatro all’aperto. Ho cercato quindi di amplificare certe situazioni, con movimenti che si caratterizzeranno come astrazioni: in un complesso movimento mimico e coreografico. Tutti sono chiamati a partecipare a questa sorta di grande gioco scenico, non solo i mimi e i ballerini, ma anche coro e cantanti, con un’azione che deve essenzialmente andare al servizio del pezzo musicale. Perciò ho puntato anche su un certo manierismo e su una gestualità un po’ plateale che l’Arena necessariamente richiede. Ci sono momenti, nell’opera di Rossini, nei quali l’azione drammatica comincia a diventare più ritmata, come ad esempio quando il coro inizia a ringraziare “Mille grazie… mio Signore…”, fino alle imprecazioni, “Maledetti, Via di qua”: in questi momenti abbiamo un’idea di quel passaggio che ci può essere tra un’azione ‘normale’ ed una che diventa coreograficamente astratta; e questo si verifica in maniera analoga nel finale primo e nel finale dell’opera. E’ in definitiva uno spettacolo che richiede degli sforzi, paragonabili a quelli che sono propri dell’allestimento di un musical.

Quale quindi l’ambientazione e la configurazione dello spazio scenico?

Questo mio Barbiere parte dall’idea di uno spazio scenico concepito come una specie di labirinto che è il jardin de l’amour: è il luogo dell’intrigo amoroso, della commedia degli equivoci ma che allude anche ad elementi esotici. Si evoca una Spagna e una Siviglia visti, sia dalla Francia di Beaumarchais che dall’Italia di Rossini, come un luogo assolutamente lontano dal quotidiano. E’ una Siviglia fatta di sensazioni, profumi, in un’atmosfera quasi arcadica, un posto assolutamente ideale, senza nessun riferimento ad un’immagine tipicamente spagnola. Questo jardin de l’amour è anche il luogo del mistero, una sorta di spazio mobile che assume diverse posizioni rispetto all’azione drammatica.

Una lettura che allude a particolari interpretazioni dell’opera?

Per me qui c’è il puro divertissement, senza cercare altre letture, con improbabili simbologie, come tante volte si è cercato di fare con quest’opera: non riesco a trovare tali profondità o allusioni. Per me Il Barbiere di Siviglia deve essere presentato al pubblico come spettacolo assolutamente frizzante, col suo colore proprio. Come tale è un gioco che deve fare sorridere, con la grande eleganza che è propria della musica di Rossini, in quell’equilibrio di apollineo e dionisiaco che nasce dal confronto tra un’opera ‘leggermente romantica’ e quella che conserva tratti del mondo neoclassico.

E che, in quanto tale, è rimasta un’opera assolutamente particolare, un unicum.

La cosa che ci deve far riflettere è come quest’opera, nata in una situazione storico culturale contingente, abbia attraversato la storia per diventare uno dei primi capolavori, che sono entrati a far parte del repertorio stabilmente eseguito in tutto il mondo: ciò solo per forza della musica di Rossini. Una musica che è sgorgata da una disposizione che potremmo considerare ambivalente da parte del compositore: da un lato una sorta di disinteresse, dall’altro una grande generosità. Lui ha detto: «fate quello che volete, questa è la mia musica». In effetti il Barbiere è un’opera con cui si può fare quello che si vuole: lo abbiamo visto in tutte le salse, nelle versioni più fantasiose o strampalate, anche ambientato a Palm Beach piuttosto che a Manhattan... Lo stesso Rossini ha consentito che altri aggiungessero, togliessero a seconda delle esigenze contingenti del teatro o del pubblico. Questa è l’eredità e la libertà che ci ha lasciato.

Vediamo quindi qual è l’ambiente in cui un’opera come Il Barbiere di Siviglia è maturato: nel libretto di Sterbini il giacobinismo di Beaumarchais è per così dire stemperato, siamo nel clima politico e culturale della provincia italiana di inizio ’800:

Certamente, possiamo dire che Rossini si allontana da Beaumarchais perché in lui sono assenti tutti i conflitti sociali e culturali, della Francia rivoluzionaria. Nello stesso tempo, egli crea una particolare enfatizzazione del conflitto tra giovani e anziani, rendendolo molto evidente: nel Barbiere sopravvivono e si compenetrano mirabilmente sia gli archetipi della Commedia dell’Arte, del teatro di Goldoni che della Comédie Française.

In tal senso i personaggi vengono acquisendo particolari fisionomie, non facilmente collocabili:

I personaggi perdono la loro sostanza politico sociale: sono un po’ più semplici, più lineari, meno scavati in profondità psicologica. E’ la musica in definitiva che arricchisce il loro spessore psicologico e il loro ruolo drammatico. Anche se dobbiamo pensare che Rossini prendeva un po’ alla leggera questi melodrammi buffi (li scriveva in poche settimane), egli riuscì, con la sola forza della sua musica, a creare con i suoi personaggi una sorta di astrazione di una certa idea di carattere e del sentimento umano. Rosina è tra i personaggi quello che si esprime nella maniera più chiara e credo che in realtà sia lei il vero deus ex machina. Il conte di Almaviva è invece il più piatto perché gioca sempre al travestimento, che è un modo molto semplice per cambiare il ruolo senza esprimersi in prima persona, con la sua vera personalità, con il suo carattere proprio. E’ quindi tutta la forza dell’aria della “Calunnia” a dare a Basilio i caratteri e le sfumature di un personaggio a tutto tondo così come è, per Bartolo, l’aria “A un dottor della mia sorte”.

Ma in che misura questi si distaccano dai cliché più abusati dei buffi del melodramma?

Se una certa tradizione ci fa vedere questi personaggi come quelli tipici di un’opera buffa, in realtà non c’è in Rossini l’idea di fare del Barbiere un’opera buffa. E’ un dramma comico nel quale dobbiamo arrivare a sorridere delle situazioni, senza mai provocare effetti volgari o sopra le righe: per me non bisogna per niente degenerare verso la macchietta. Perché, ripeto, è solo la musica che fa diventare questi personaggi assolutamente diversi, dandoci una sensazione di grande leggerezza e che, nello stesso tempo, riesce a far trasparire velatamente la critica sociale di Beaumarchais, che nel libretto di Sterbini è abbastanza stemperata. Ed è una critica che, in maniera più evidente, sviluppa il tema di questa specie di cospirazione dei giovani contro i vecchi che ritroveremo in forme diverse in Donizetti, con Don Pasquale fino al Verdi maturo di Falstaff.