Fleming e Kissin tornano alla Scala

Un soprano storico e un grande pianista per i Recital di canto:

in programma Schubert, Liszt, Rachmaninov e Duparc

Giovedì 26 gennaio il ciclo dei Concerti di canto ospita uno degli avvenimenti più attesi della Stagione, con pochissimi posti rimasti in platea e galleria e qualche disponibilità in più nei palchi: il ritorno dopo 17 anni di Renée Fleming, forse il soprano più amato e celebrato degli Stati Uniti, in una delle sue non frequentissime apparizioni europee. Interprete storica in teatro e in disco di un vasto repertorio da Rossini a Richard Strauss, protagonista anche in veste di presentatrice delle dirette cinematografiche del Met, dove è recentemente tornata in scena nella prima assoluta dell’opera The Hours di Kevin Puts da Henry James, Renée Fleming si presenta con uno dei giganti del pianoforte del nostro tempo, Evgenij Kissin, anche lui assente dal Piermarini da molti anni (il suo ultimo concerto risale al ciclo Schumann-Chopin del 2010).

Caratteristica saliente di questa Stagione di Recital, che prevede 7 appuntamenti con grandi artiste e artisti che hanno con­quistato l’affetto del pubblico scaligero, è proprio il rilievo delle personalità pianistiche, partner alla pari piuttosto che accompagnatori del canto. Dopo le coppie Michael Volle - Helmut Deutsch e Markus Werba - Michele Gamba e gli attesissimi Fleming e Kissin, il 26 febbraio sarà la volta della voce spavalda di Vittorio Grigolo con Vincenzo Scalera, mentre Anna Netrebko torna alla Scala il 19 marzo dopo il trionfo dello scorso maggio insieme a Elena Bashkirova. L’11 giugno è di scena il baritono Luca Salsi - artista di casa alla Scala, che in quel periodo sarà impegnato in una ripresa di Macbeth - con Nelson Calzi al pianoforte. Il 5 ottobre appuntamento con il tenore Benjamin Bernheim, che in anni re­centi ha cantato alla Scala ne La traviata e nella Serata “… a riveder le stelle”, insieme alla pianista Carrie-Ann Matheson.

Renée Fleming

Nata a Indiana (Pennsylvania), è una delle cantanti più acclamate del nostro tempo, celebre in tutto il mondo. Vincitrice di quattro Grammy Awards nel 2014, è stata la prima artista classica a cantare l’inno nazionale americano al Super Bowl. Ha cantato in diverse occasioni memorabili, tra cui la cerimonia per la consegna del Premio Nobel per la pace a Stoccolma nel 2006, il concerto per il Diamond Jubilee della regina Elisabetta II a Buckingham Palace nel 2012, la Nona Sinfonia di Beethoven diretta da Barenboim davanti alla Porta di Brandeburgo per commemorare il 25° anniversario della caduta del muro di Berlino nel 2014. Nel 2008 è stata la prima donna nei 125 anni di storia del Metropolitan a dare il suo nome a un gala di apertura.

A novembre, è stata protagonista della prima mondiale di The Hours, una nuova opera di Kevin Puts basata sul bestseller omonimo, andata in scena al Metropolitan. Il suo calendario di concerti per questa Stagione prevede esibizioni a Berlino, Vienna, Amsterdam, Milano, Londra, Los Angeles, Chicago e alla Carnegie Hall, oltre a una tournée in Europa con il pianista Evgeny Kissin. In primavera tornerà a Parigi per interpretare Pat Nixon in Nixon in China di John Adams all’Opéra de Paris. Attualmente è la protagonista di una serie di film IMAX, Renée Fleming’s Cities That Sing, ognuno dei quali dà risalto alla musica di una grande capitale culturale; i primi due episodi, rispettivamente su Parigi e Venezia, saranno presentati in anteprima questa primavera.

Nota per aver avvicinato nuovo pubblico alla musica classica e all’opera, ha cantato non solo con Luciano Pavarotti e Andrea Bocelli, ma anche con Elton John, Paul Simon, Sting, Josh Groban e Joan Baez. Ha condotto numerose trasmissioni televisive e radiofoniche, tra cui la serie “Live in HD” del Metropolitan e la serie “Live from Lincoln Center”. La sua voce si può ascoltare nelle colonne sonore dei film vincitori del premio Oscar La forma dell’acqua e Il signore degli anelli. Ha registrato di tutto, da opere complete e recital di canzoni a musical e indie rock e jazz. È appena uscito un doppio album di registrazioni dal vivo delle sue più importanti esibizioni al Metropolitan. Nello scorso novembre è stata nominata per la diciottesima volta ai Grammy Award per il suo album Voice of Nature: The Anthropocene, con Yannick Nézet-Sèguin al pianoforte: una raccolta di canzoni classiche e di prime mondiali appositamente commissionate, che si concentra sulla natura come ispirazione e vittima dell’attività umana.

Negli ultimi anni è diventata una delle principali sostenitrici della ricerca sull’intreccio tra arte, salute e neuroscienze. In qualità di consulente artistica del Kennedy Center for the Performing Arts, ha avviato la prima collaborazione continuativa tra il centro e il National Institute of Health, il più grande istituto di ricerca sulla salute americano: in collaborazione con il National Endowment for the Arts, il Progetto “Sound Health” riunisce neuroscienziati di spicco, musicoterapeuti e operatori artistici per comprendere meglio l’impatto delle arti sulla mente e sul corpo. Ispirata da questa iniziativa, ha poi creato il programma Music and the Mind, che ha presentato in più di cinquanta città in tutto il mondo, ottenendo il premio Isadore Rosenfeld 2020 di Research!America per l’impatto sull’opinione pubblica. Nel 2020 ha lanciato Music and Mind LIVE, un programma settimanale online che esplora le connessioni tra le arti, la salute umana e il cervello, ottenendo quasi 700.000 visualizzazioni in settanta Paesi. È consulente di importanti iniziative in questo campo, tra cui il Sound Health Network dell’Università della California a San Francisco e il NeuroArts Blueprint della Johns Hopkins University.

Il suo libro The Inner Voice, uscito nel 2004, è giunto alla sedicesima ristampa ed è stato pubblicato anche in Francia, Regno Unito, Germania, Giappone, Polonia, Russia e Cina. Consulente per i progetti speciali dell’Opera di Los Angeles, dirige anche il SongStudio della Carnegie Hall ed è co-direttrice dell’Aspen Opera Center e di VocalArts, nell’ambito dell’Aspen Music Festival.

Ha ottenuto i più alti riconoscimenti, tra cui la US National Medal of Arts, la medaglia Fulbright alla carriera, la Croce dell’Ordine al Merito della Germania, il Polar Music Prize svedese; inoltre è stata nominate Chevalier de la Légion d’honneur in Francia.

www.reneefleming.com

Evgeny Kissin

Pianista di grande virtuosismo e profondità interpretativa, si è esibito con i più grandi direttori del nostro tempo, tra cui Claudio Abbado, Vladimir Ashkenazy, Daniel Barenboim, Carlo Maria Giulini, James Levine, Lorin Maazel, Riccardo Muti, Seiji Ozawa e Christoph von Dohnányi.

Nato a Mosca, ha iniziato a suonare a orecchio e a improvvisare al pianoforte all’età di due anni; a sei ha iniziato a frequentare la Scuola di Musica Gnessin di Mosca come allievo di Anna Pavlovna Kantor, che è rimasta la sua unica insegnante. Ha debuttato in pubblico a dieci anni nel Concerto per pianoforte e orchestra K 466 di Mozart e si è imposto all’attenzione internazionale nel 1984, a dodici anni, eseguendo il Concerto n. 1 e il Concerto n. 2 di Chopin alla Sala Grande del Conservatorio di Mosca con la Filarmonica di Mosca diretta da Dmitrij Kitaenko. L’anno dopo si è esibito per la prima volta in Europa; nel 1986 ha svolto la sua prima tournée in Giappone, mentre nel dicembre 1988 ha suonato con i Berliner Philharmoniker diretti da Herbert von Karajan nel Concerto di Capodanno dell’Orchestra, trasmesso in mondovisione, e ha debuttato con la London Symphony Orchestra diretta da Valerij Gergiev. Nel 1990 ha debuttato negli Stati Uniti, eseguendo i due Concerti per pianoforte di Chopin alla New York Philharmonic con Zubin Mehta, e ha tenuto un acclamato recital alla Carnegie Hall durante la stagione del centenario della celebre sala newyorkese.

Ha conseguito premi e riconoscimenti in tutto il mondo, tra cui il Crystal Prize da parte della Osaka Symphony Hall per la migliore esecuzione dell’anno nel 1986 e il premio dell’Accademia Musicale Chigiana di Siena nel 1991 quale miglior giovane musicista dell’anno. È stato invitato come ospite speciale alla cerimonia dei Grammy Awards del 1992, seguita in diretta da circa un miliardo di telespettatori. Nel 1997 ha ricevuto il prestigioso Premio Triumph per l’eccezionale contributo alla cultura russa, uno dei massimi riconoscimenti culturali dalla Repubblica Russa, di cui è stato il più giovane vincitore. Nel 2003 gli è stato attribuito il Premio Šostakovič e nel 2005 l’Herbert von Karajan Musikpreis. Ha ricevuto dottorati onorari dalla Manhattan School of Music, dall’Università di Hong Kong e da quella di Gerusalemme; inoltre è membro onorario della Royal Academy of Music di Londra.

Vanta un’ampia e pluripremiata discografia, la cui aggiunta più recente è un album dedicato alle più famose Sonate di Beethoven. Le sue registrazioni hanno ottenuto, tra l’altro, l’Edison Klassiek in Olanda, il Diapason d’Or e il Grand Prix de la Nouvelle Academie du Disque in Francia e diversi Grammy Awards, tra cui, nel 2010, quello attribuito al suo CD con i Concerti per pianoforte n. 2 e n. 3 di Prokof’ev, registrati con la Philharmonia Orchestra e Vladimir Ashkenazy. Nel 2002 è stato nominato solista dell’anno di Echo Klassik. Il suo straordinario talento ha ispirato il film documentario di Christopher Nupen Evgeny Kissin: The Gift of Music, pubblicato nel 2000 in video e su DVD.

kissin.org

Nomi di Paesi: il Lied e i suoi luoghi

Erik Battaglia

Secondo Proust, il nome dei luoghi agisce sulla mente umana come un profumo o un suono, o un’altra eccitazione dei sensi: un tema o un’armonia musicali, aggiungeremmo noi, come poi farà lo stesso Proust. Il Lied, nella sua accezione europea, qui rappresentata al meglio, fa entrambe le cose: dice il nome in titoli e contesti poetici, e lo evoca nella sua parte musicale. Nel programma del 26 gennaio si traccia una vera e propria mappa dell’Europa d’altri tempi, un Grand Tour esteso a est e alle regioni della fantasia. C’è l’Italia nominata da Mignon: quando guarda il firmamento “da quella parte” intende a sud, qui da noi. Il viaggio di ritorno sognato dalla ragazzina di Goethe è realizzato in guisa di Pellegrinaggio pianistico da Liszt, che per un po’ fu anche italiano d’adozione. C’è lo sguardo a est, sempre sulla bussola di Goethe, del canto di Suleika, il personaggio chiave del connubio ideale tra Occidente e Oriente nel Divan (“raccolta”) su cui il vecchio poeta ci fa accomodare. C’è il Reno di Colonia e, adombrate nella poesia di Hugo, le fresche dolci acque del fiume Sorge a Vaucluse, dove “Laura a Petrarca appariva”. Se i Sonetti di Liszt sono preraffaelliti, lo Sposalizio ispirato a Raffaello, celebrato stasera, compie un analogo passo in avanti nella raffinazione delle linee melodiche, quasi un assaggio della presentazione della rosa nel Rosenkavalier di Richard Strauss. Accanto al luogo utopico di quel celebre dipinto c’è il Medioevo fittizio – come fosse un luogo della fantasia – nei versi francesi dedicati a Rosamunda, quale che sia il personaggio storico rievocato. C’è la Russia di Rachmaninov, sin dall’inizio simbolo di se stessa, mentre l’Austria felix reclama il proprio ruolo chiave nel piccolo valzer schubertiano Die Vögel, che basta a se stesso come simbolo della gioia del canto. Decenni dopo, questo potrebbe essere il valzer dimenticato (oubliée) che Liszt cerca di ricordare, come in un sogno dove tra gli uccelli c’è anche quello “profeta” di Schumann.

Naturalmente, affinché questi luoghi trovino spazio nella geografia delle idee a dispetto dei confini politici, è necessario il nulla osta della musica, che spesso non significa un “visto”(semmai un “sentito”, o un “sentito dire”). Ad esempio, Goethe non vide mai il suo Oriente ideale, Schubert non viaggiò praticamente mai e, come ci ricorda Carlo Rovelli, “Einstein nonha mai cavalcato un raggio di luce”. Gli Anni di pellegrinaggio (altro titolo goethiano) rispecchiano invece l’impulso a viaggiare di Liszt e, nello specifico, il suo amore per l’Italia e la sua arte antica. Ma la fantasia musico-verbale è più forte di ogni esperienza diretta, anzi è la variabile necessaria anziché Lieder, canzoni, romanze e mélodies possano brillare di luce propria nel planetario della musica-poesia, dunque una dimensione del suo spazio-tempo ben più vasta della carta geografica, infinitamente più capiente della modesta dicitura “da camera”– ove di sicuro si deve intendere una stanza “senza più pareti”.
Questa fantasia ha bisogno però di un piano di volo, come sempre nell’arte. Nel Lied esso è costituito in gran parte dalle analogie, dai richiami, dai simboli, dai motivi. In Suleika di Franz Schubert, ad esempio, il preludio pianistico è la previsione del vento, che spira da est, ma è anche arabesco, come se scrivesse il nome del poeta amato (Hafis, Hatem, Goethe). Poi le brezze si placano alla mano destra, quasi mimando l’Incompiuta, mentre alla sinistra batte il ritmo del destino, quello beethoveniano della Quinta, che sempre in Schubert rappresenta l’ineluttabilità del fato. Nella lunga coda del Lied il ritmo stesso, e dunque il tempo, sembra fermarsi in ascolto dei bei versi di Marianne von Willemer: secondo Brahms, questo era in assoluto il Lied più bello mai composto. Nel Lied der Mignondi Goethe (Nur wer die Sehnsucht), ultima delle sei versioni cui Schubert aveva lavorato per anni, cercando la via, il desiderio stesso della terra natia spinge il tema elegiaco verso mezzogiorno; poi gli accenti si spostano e le dinamiche si estremizzano – da uno spettrale pianissimo a un forte penetrante – per rappresentare i poli estremi delle sensazioni fisiche di Mignon nella sua smania (come forse andrebbe tradotta Sehnsucht). In Rastlose Liebe, un’altra poesia di Goethe già musicata magistralmente da Karl Friedrich Zelter e dal poeta stesso (con i ritmi incalzanti della sua metrica), tutto è estremo sin da subito: voce e pianoforte sono l’arco e la freccia che inseguono e colpiscono Amore, ribaltando il mito.

Franz Liszt fu un maestro del Lied, e non solo perché, con uno spirito collegiale più unico che raro, spese centinaia di ore e migliaia di note a trascrivere per il pianoforte i Lieder di altri compositori e diffonderli tra il pubblico. Fu anche uno sperimentatore della forma e il primo cosmopolita poliglotta (compose Lieder in almeno cinque lingue). Il suo Klärchens Lied (Freudvoll und leidvoll)dall’Egmont di Goethe, già musicato in modo memorabile da Beethoven, gioca qui sul contrasto degli aggettivi con un simbolo elementare maggiore-minore, con chiarezza quasi snervante nella definizione di stati d’animo opposti tramite l’alternanza di mood e modi.

Comporre il Wandrers Nachtlied di Goethe (Über allen Gipfeln ist Ruh) a metà Ottocento voleva dire sfidare non solo la perfezione dei versi di Goethe, ma anche quella del Lied di Schubert. Liszt lo fa mutuandone il carattere di corale che si leva nel silenzio del grande bosco e frammentandolo poi in un breve recitativo, come di spaesamento. Il grande crescendo della parte oracolare, a partire da una lieve brezza, è forse fuori luogo in senso stretto, ma non intacca la bellezza della musica, che alla fine si ricompone nel suo gesto di preghiera laica.

Anche la poesia sul Duomo di Colonia era già stata musicata – da Schumann – solo pochi mesi prima. Là il Reno scorreva al ritmo astratto di un pezzo francese di Bach; qui varca il confine tanto conteso e torna a essere un fiume tedesco. Non c’è la visione “a zoom” di Schumann: anche l’interno del Duomo e il contenuto del quadro restano parte di uno studio sul movimento del grande fiume, già stupendamente evocato da Liszt nella ballata-capolavoro Die Lorelei. Liszt varca invece i confini francesi con le due splendide mélodies di stasera: abbiamo già accennato a Oh! Quand je dors, una delle gemme del repertorio in lingua francese di ogni tempo. Qui grand opéra e mélodie si combinano grazie al tappeto volante del pianoforte, ma non mancano allusioni all’opera italiana: l’introduzione sembra mimare una cadenza del flauto di un’opera nostrana, mentre gli arpeggi estatici che puntellano la ripresa del tema sembrano già quelli di “Caro nome” in Rigoletto, il che è tanto più degno di nota visto che alla base di entrambi c’è un testo di Victor Hugo. S’il est un charmant gazon, invece, è una mélodie francese a tutti gli effetti, prato di fioritura di quelle di Bizet o Fauré; ma il pianoforte che cerca la quadratura della battuta per creare il cammino per l’amata o il nido del suo cuore è, tra gli altri, un gesto da liederista consumato.

Anche Sergej Rachmaninov, come Liszt, fu un virtuoso tra i maestri del Lied (o romanza), ma neppure lui fece di virtù necessità: voce e poesia restano alti nella gerarchia dei suoi pensieri, e il pianoforte è solo una delle meravigliose parti in gioco in questo essenziale segmento della sua produzione. Direttore e compositore d’opera, accompagnatore di Šaliapin, Rachmaninov sapeva bene come interagire con la voce, nella prassi e nella creazione. Siren’ impressiona talmente le parole e le sue immagini, proprio in senso fotografico, da essere suonato talvolta anche in versione solo pianistica (l’autore stesso lo incise superbamente); ma la sua bellezza sta proprio nel duettare felice, quasi mahleriano, di voce e pianoforte. Il Сон (Il sonno) simbolista dalla geniale ultima raccolta di Romanze (l’op. 38) è davvero un mondo onirico a tre dimensioni, che intesse spire armoniche e melodiche a partire da un fragile tema, proprio come il riprendere le fila di un sogno ricordato fino a trasformarlo in speranza di realtà, nel climax quasi orchestrale del postludio.

Henri Duparc fu il maestro di un’unica raccolta, nonostante la lunga vita; ma bastano le due mélodies di stasera per capire quanto quella raccolta brilli di luce propria con riflessi dall’universo musicale. Extase è un capolavoro simbolista, dove sonno e morte si sfidano a colpi di voluttà pianistica e legato espressivo del canto: si crea quasi una sinestesia e si coglie un profumo sin troppo intenso, inebriante. Le manoir de Rosamonde piega l’energia cinetica dell’Erlkönig di Schubert a un ritmo di cavalcata più verosimile – come fosse l’esperimento fotografico di Eadweard Muybridge di un anno prima (1878) – e scomposto, metafora di una follia amorosa senza tempo né luogo.

I due Morceaux de fantaisie del giovane Rachmaninov sono l’esempio di come ciascuna di queste caratteristiche della musica cantata possano prendere forma stilizzata nel pianoforte solo, che diventa personaggio e leva la sua voce in attesa delle parole giuste.

Giovedì 26 gennaio 2023 ~ ore 20

Recital di Canto 2022/2023

Soprano

Renée Fleming

Pianoforte

Evgeny Kissin

Franz Schubert

Suleika I D 720

Die Vögel D 691

Lied der Mignon (Nur wer die Sehnsucht kennt) D 877

Rastlose Liebe D 138

Franz Liszt

da Années de pèlerinage Deuxième Année: Italie S 161

Sposalizio

da Quatre Valses oubliée S 215

Valse n. 1

per pianoforte solo

Freudvoll und Leidvoll S 280/1

Über allen Gipfeln ist Ruh S 306/2

Im Rhein, im schönen Strome S 272/1

Sergej Vasil’evič Rachmaninov

Lillà op. 21 n.5

Il Sogno op. 38 n. 5

Sergej Vasil’evič Rachmaninov

da Morceaux de Fantaisie op. 3

3. Melodia

5. Serenata

per pianoforte solo

Franz Liszt

S’il est un charmant gazon S 284/1

Oh! Quand je dors S 282/1

Henri Duparc

Extase

Le manoir de Rosemonde