Brindisi veneziano

 di Francesco Bertini

Come ormai tradizione da oltre dieci anni, la Fenice di Venezia propone il suo Concerto di Capodanno in tre repliche, l'ultima delle quali andrà in diretta televisiva la mattina del primo gennaio. Quest'anno, sotto la direzione di Daniel Harding, si esibiscono come solisti Maria Agresta e Matthew Polenzani.

VENEZIA, 30 dicembre 2014 - A coronare la fine dell’anno e l’inizio del successivo già dal 2003 – 2004 il Teatro La Fenice di Venezia ha pensato bene di inserire nella programmazione il Concerto di Capodanno,divenuto presto un appuntamento televisivo tra i più seguiti dell’1 gennaio. Ho avuto modo più volte, durante la passata collaborazione con un’altra testata, di esprimere le mie opinioni in merito a quest’evento, entrato in breve nelle abitudini degli italiani. Mi limito ora a ribadire che la prima delle tre repliche (il concerto è programmato per il 30 e 31 dicembre e per la mattina di Capodanno) assume sempre l’impronta del fervido preparativo in attesa del grande debutto rivolto dunque alla vetrina mondiale, a scapito del pubblico presente in sala nei giorni precedenti.

Per quanto concerne le scelte musicali, alla prima parte discretamente interessante, si contrappone la seconda di stucchevole fattura. In considerazione dei tempi stringati della diretta televisiva e soprattutto delle esigenze dell’auditel, si susseguono vorticosamente estratti operistici completamente decontestualizzati.

I primi quaranta minuti sono dedicati per intero a Ludwig Van Beethoven: Die Weihe des Hauses (La consacrazione della casa), ouverture op. 124, concepita per la riapertura del restaurato Theater in der Josephstadt a Vienna nel 1822 e già proposta a Venezia, proprio una decina di anni fa, in occasione dell’inaugurazione della ricostruita Fenice, è seguita dalla Sinfonia n.8 in fa maggiore op. 93. La direzione di Daniel Harding, già presente per il Capodanno 2010 – 2011, procede con esperienza, pur rischiando, in alcune occasioni, di risultare distaccata. La cura dei dettagli, specie per quanto attiene l’Ottava, non nasconde il peso di un’orchestra forse troppo nutrita per un lavoro più vicino agli stilemi settecenteschi che alle ardite esplorazioni beethoveniane.

Dopo un breve intervallo ci si appresta ad assistere alla kermesse dal sapore nazionalpopolare. I tre brani orchestrali, che fanno da cornice alle proposte liriche, presentano la Sinfonia da La gazza ladra di Gioachino Rossini, il Can-can dalla Danza delle ore di Amilcare Ponchielli e il Boogie-woogie da Napoli milionaria di Nino Rota. È quest’ultimo il pezzo di certo più interessante tra quelli uditi. Non solo è caratteristico dal punto di vista musicale, per le autocitazioni e per i colori tipicamente americani, ma anche pregevole per la ventata di freschezza che apporta ad un programma stantio. Purtroppo il preparato coro, istruito da Claudio Marino Moretti, interviene due sole volte, se si eccettua il brindisi da La traviata. Mentre "D’immenso giubilo" da Lucia di Lammermoor transita senza lasciare particolari impressioni, è con il "Va’ pensiero sull’ali dorate" da Nabucco di Giuseppe Verdiche si apprezza la compostezza, l’omogeneità e la coesione della compagine lagunare. Il debutto dei solisti avviene sulle note di Giacomo Puccini: si ascolta, quasi per intero, il finale del primo quadro di La bohème. Il primo a fare capolino sul palco splendente e infiorettato del massimo teatro veneziano è il tenore Matthew Polenzani che si disimpegna, malgrado l’intonazione vacillante e talune emissioni gutturali, in "Che gelida manina". Quasi senza interruzione giunge Maria Agresta, recente interprete di Maria nel Simon Boccanegra inaugurale. "Sì, mi chiamano Mimì" si addice al timbro suadente del soprano italiano che pure manifesta alcune incertezze, più udibili nel duetto O soave fanciulla. Presente Puccini non può mancare Verdi del quale infatti sono in programma "Quando le sere, al placidoda Luisa Miller e "Sempre libera degg’io" da La traviata. Polenzani, di cui si confermano le imprecisioni segnalate, risolve onorevolmente l’aria di Rodolfo mentre la Agresta si trova ad affrontare il pirotecnico finale primo, affidato a Violetta, dove però i limiti nella regione acuta emergono lampanti, inficiando le positive intenzioni manifestate dal fraseggio accorto e dall’innata musicalità. Immancabile, al termine, il celebre "Libiam ne’ lieti calici", subito bissato a furor di popolo. L’orchestra della Fenice si attiene con correttezza alle indicazioni di Harding, attento e sapiente accompagnatore nella seconda parte.

Sull’onda dei sonori applausi finali, non resta che augurare a tutti un buon ascolto e una buona visione.

foto Michele Crosera