Il furioso all'isola di Luzzati

di Francesco Bertini

Torna a Bergamo, e in edizione critica, Il furioso all'isola di San Domingo di Donizetti, che mancava dalle scene orobiche da quindici anni, quando fu interpretata da Renato Bruson con Luciana Serra e un giovane Antonino Siragusa. Oggi si ascoltano Christian Senn, Patrizia Cigna e Lu Yuan, diretti da Giovanni Di Stefano in un allestimento che nasce dalla scoperta dei bozzetti ideati da Lele Luzzati per una produzione che non vide mai la luce.

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BERGAMO, 13 ottobre 2013 - A Bergamo un Donizetti richiama l’altro: il Festival, entrato nel pieno della programmazione, non manca, dopo Maria de Rudenz, di tornare su un altro titolo di troppo rara esecuzione, visti i pregi e i punti di forza, come Il furioso all’isola di San Domingo. Assente dalle scene della città dei mille dal 1998, in un’edizione che aveva visto trionfare Renato Bruson, torna quest’opera in una messinscena ispirata da un ritrovato bozzetto di Emanuele Luzzati, concepito per una produzione che avrebbe dovuto svolgersi nel Teatro dell’Opera Giocosa di Savona, con una trasferta internazionale proprio nel Teatro di Santo Domingo nella Repubblica Dominicana. Sfumato quel bel progetto, il lavoro di Luzzati venne messo da parte e dimenticato fino a qualche tempo fa, quando il Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti ha ben pensato di recuperarlo ideando una produzione itinerante in collaborazione con il Teatro dell’Opera Giocosa (un ritorno all’origine, dunque), la Fondazione Teatro Comunale di Modena, il Teatro Sociale di Rovigo, la Fondazione Teatri di Piacenza e la Fondazione Teatro Alighieri di Ravenna. Poter ascoltare quest’opera è un’opportunità imperdibile: l’impianto semiserio del lavoro donizettiano si rivela di forte impatto per quanto attiene la tematica e grande modernità nella struttura, nonostante il genere ormai in declino nel 1833 quando si ebbe la prima rappresentazione nel Teatro Valle di Roma il 2 gennaio. Il libretto di Jacopo Ferretti, autore della Cenerentola rossiniana, proviene da alcuni episodi del Don Chisciotte della Mancia di Miguel Cervantes e più direttamente da una fortunata e anonima rielaborazione teatrale, furoreggiante nei primi decenni dell’Ottocento, intitolata appunto Il furioso all’isola di San Domingo. Il soggetto narra la vicenda di un pover’uomo, Cardenio, fuggito, per la disperazione, dalla civiltà per rifugiarsi in un’isola sperduta dopo essere stato tradito dalla moglie Eleonora. In quella terra, sconosciuta ai più in quel 1833, egli, in balia dei propri fantasmi e delle proprie sofferenze, spaventa gli abitanti del luogo pur muovendo in loro pietà. Sull’isola capita, naufraga, proprio la moglie che, dopo alcune peripezie, riesce a ristabilire il rapporto col marito, ottenendo pieno perdono. Come si evince, la vicenda è assai particolare ed insolita per un palcoscenico lirico, tuttavia Donizetti con quest’opera ottenne un successo clamoroso.

Un ascoltatore odierno noterà per prima cosa la scritturariservata al protagonista, all’epoca un giovanissimo Giorgio Ronconi, futuro Corrado nella Maria di Rudenz e, soprattutto, primo interprete di Nabucco. Donizetti gli riserva ampia attenzione, tanto vocale quanto scenica ed espressiva, tratteggiando uno dei personaggi più completi del suo catalogo e dando il via alla lunga apoteosi ottocentesca della voce baritonale. In occasione della ripresa bergamasca, il difficile cimento nel ruolo di Cardenio è toccato a Christian Senn. Il baritono cileno ha acquisito maggiore sicurezza, rispetto ad alcune prove udite in passato, inoltre appare maturata la sua capacità attoriale che in quest’occasione si direbbe perfettamente calata nel disagio e nei cangianti stati d’animo del personaggio. Nonostante ciò, è doveroso sottolineare alcune difficoltà del cantante che, specie in zona acuta, palesa qualche disagio, in particolare nella parte finale dell’opera. Nonostante talune cadute nell’intonazione, l’artista delinea compiutamente Cardenio a mezzo di un fraseggio attento e consapevole delle caratteristiche richieste dal ruolo protagonistico. Al suo fianco Paola Cigna, Eleonora, sfrutta le potenzialità di uno strumento dal volume non eccezionale ma tecnicamente saldo. Brillante in scena, soprattutto nei momenti più tesi della riconciliazione con il marito, la Cigna coglie nel segno le peculiarità della parte denotando piena empatia con le sventure della donna e i rimorsi per quanto perpetrato nei confronti del marito. Alcuni acuti sono lievemente asprigni ma non pesano sulla buona riuscita della prestazione che è parsa intelligente e corretta. Il fratello del protagonista, Fernando, giunto sull’isola per trarre in salvo il fratello, è affidato alla voce di Lu Yuan, giovane tenore cinese. Il cantante poggia la sua interpretazione sul registro acuto e sopracuto, svettante e sicuro. La zona centrale è però discutibile, per emissione in particolare, ed il fraseggio è fortemente compromesso dalla dizione italiana a tratti oscura. La presenza scenica sembra più credibile, giocata con trovate personali. Nel ruolo buffo, che dona alla vicenda alcune pennellate ironiche, del servo moro Kaidamà è impegnato Federico Longhi, baritono scenicamente disinvolto. La prestazione canora appare corretta ma nel complesso poco incisiva. Emerge tuttavia forte personalità nel delineare i tratti comici, nell’interagire con gli altri personaggi e nell’evidenziare la sottile compassione provata per lo stato di Cardenio. Leonardo Galeazzi è un efficace Bartolomeo: egli esibisce fraseggio chiaro e compiutezza scenica. Non impeccabile la Marcella di Marianna Vinci. Alla guida dell’Orchestra del Bergamo Musica Festival, perlopiù corretta, salvo alcune défaillance, vi è Giovanni Di Stefano. Il direttore italiano ha saputo cogliere gli spunti della scrittura donizettiana risaltando tanto l’elemento patetico, ben evidente già dal breve preludio, quanto quello brillante e quasi buffonesco. Di Stefano, interprete della nuova edizione a cura della Fondazione Donizetti, ha condotto vigorosamente la compagine bergamasca senza soverchiare mai le voci ed anzi assecondandole in un’ottima intesa con il palcoscenico. Non sempre corretto il Coro del Bergamo Musica Festival, preparato da Fabio Tartari.

Per quanto attiene la parte visiva, le scene, movimentate dai bei costumi “naturalistici” di Santuzza Calì, sono variopinte e sfruttano al meglio, nell’elaborazione di Michele Olcese, l’idea di Luzzati. La vivacità dell’allestimento, colorato, intelligente e non eccessivo, si scontra con una regia, curata da Francesco Esposito, che spesso cade in gestualità artificiose le quali vorrebbero far sorridere senza riuscirci. Ciò nondimeno, le sue intenzioni fiabesche (come egli sottolinea nel pieghevole che accompagna il programma di sala) appaiono condivisibili, per quanto attiene l’ambientazione esotica e a tratti irreale, senza nulla togliere al dramma del protagonista al quale vengono riservate attenzioni in merito ai mutevoli stati d’animo delineati da una sobria ma attenta recitazione.

L’omaggio della sua città a Donizetti questa volta è riuscito e a testimoniarlo vi sono gli applausi convinti del pubblico, non numerosissimo ma lieto della riscoperta.