di Roberta Pedrotti
Torna a Bologna il Nabucco allestito nel 2006 dal giapponese Yoshi Oida, questa volta con la bacchetta intelligente, incisiva e raffinata di Michele Mariotti, che si conferma di volta in volta uno degli artisti più interessanti, maturi e in continua evoluzione, oggi in attività. Nel cast svetta l'Abigaille di Anna Pirozzi, ma con la guida sapiente del concertatore tutto lo spettacolo soddisfa con un buon equilibrio complessivo che lima eventuali limiti individuali.
BOLOGNA, 19 ottobre 2013 - Dopo la pausa estiva – animata invero da impegni non indifferenti per i complessi del teatro, come il memorabile Guillaume Tell pesarese - si torna all'opera al Comunale di Bologna, in un clima purtroppo non dei più sereni. Nonostante tutti gli sforzi compiuti negli ultimi anni dagli stessi lavoratori, che di fatto si sono resi azionisti e soci del teatro, le sorti della Fondazione cittadina sono ancora a rischio nelle delibere dei recenti decreti ministeriali. Musicisti, tecnici, amministrativi non scioperano, ma giustamente fanno sentire la loro voce alla città con un'altra forma di protesta, e anticipano la prima con una sentitissima esecuzione degli “Arredi festivi” in piazza Verdi, in costume di scena e sempre diretti da Michele Mariotti, attorniati da una folla eterogenea e attenta [qui il video e il testo del volantino di protesta]. Poco dopo siamo in sala, ad ascoltare quella stessa musica in tutt'altro contesto, con altro spirito, ma con un peso diverso nello spirito, al pensiero che quell'esperienza che stiamo vivendo resta sospesa a un filo, percepita nel mondo come una sorta di bizzarria non necessaria, senza considerarne non solo il valore civile, ma anche e soprattutto, nella concretezza dell'oggi, quello occupazionale e d'indotto economico.
Non ci turba pertanto rivedere l'allestimento firmato da Yoshi Oida, ripreso da Maria Cristina Madau, con la scena di Thomas Schenk e i costumi di Antoine Krunk. Piacque poco nel 2006 e piace poco oggi, con quel suo impianto generale essenziale, statico e tutto sommato innocuo che però si punteggia di alcune sciocchezze, che sarebbero anche facilmente eliminabili (su tutte l'ormai celebre, e rumorosa, doccia lustrale del mimo in perizoma durante “Va', pensiero”). Però è un allestimento prodotto dal Comunale, di sua proprietà: giusto sfruttarlo e ottimizzarlo in attesa di tempi migliori e dell'occasione di investire in nuove produzioni che valga la pena di realizzare. Piuttosto ci entusiasma ritrovare, dopo le felici esperienze nei passati Festival Verdi a Parma e Reggio Emilia, Michele Mariotti sul podio di quest'opera, che legge con un respiro raffinatissimo, un afflato lirico prezioso che si evolve di produzione in produzione, di recita in recita. Il senso elegante del canto e del belcanto in ogni voce anche strumentale, la cognizione stilistica rigorosa che si traduce nella duttilità d'un fraseggio variegato, sfumato nei minimi dettagli delle riprese e delle variazioni (espressive e drammatiche più che virtuosistiche) si sposano con una teatralità sempre più accesa, sempre più coinvolgente. Conferma così che non è nelle tinte forti e nell'esteriorità, non è nell'incalzare dei tempi e dei volumi che anche il giovane Verdi trova il suo impeto, bensì nella cura preziosa del rapporto fra musica, testo e azione, del canto e delle sue possibilità, amalgamando al meglio un cast certo eterogeneo nei limiti e nei punti di forza.
Non si direbbe per esempio certo Vladimir Stoyanov essere sulla carta il Nabucco ideale: è pur vero che il primo interprete, Giorgio Ronconi, veniva inevitabilmente dal repertorio donizettiano (e che altro avrebbe potuto cantare negli anni '30 del XIX secolo?), ma l'incisività di “Chi mi toglie il regio scettro?” o l'impeto della cabaletta “O prodi miei” possono mettere duramente alla prova la natura lirica del baritono bulgaro. Tuttavia la cura di Mariotti gli permette di varcare gli scogli più duri e di dispiegare con gusto i cantabili a lui più congeniali: qualche affanno è inevitabile, ma ben gestito nel complesso della recita, culminata in una bella lettura di “Dio di Giuda”, tanto che le contestazioni finali, isolate ma sonore, sono parse decisamente ingenerose e ingiustificate. Nessun dubbio invece per Anna Pirozzi, la cui Abigaille pare decisamente maturata rispetto a quanto ricordavamo dalle sue, pur ragguardevoli, prestazioni parmigiane di qualche mese fa e dalle sue prove nel Trovatore a Bologna e nel Ballo in maschera ancora a Parma. L'artista si è consolidata, evidentemente, ha acquisito sicurezza e il registro acuto svetta sicuro e penetrante, perfino ardito: saetta perfino di Mi bemolli, la schiava incoronata, ma il suo non è solo uno sfoggio di sciabolate ai vertici del pentagramma, bensì una lettura completa del personaggio in tutte le sue sfaccettature che ci fa ben sperare per il futuro in questo e in altri ruoli (anche più lirici e pacati). Il basso russo Dmitry Beloselskiy esibisce la vocalità sontuosa tipica della sua terra, e con essa anche quei suoni un po' ingolati che talora si riscontrano nelle scuole slave: il suo Zaccaria non ci offrirà un fraseggio da brividi, ma è ieratico e imponente come si conviene. Il tenore Sergio Escobar si spende con squillo e generosità, anche se musicalmente non risulta sempre irreprensibile, come invece è Veronica Simeoni, cantante sempre intelligente e raffinata, tecnicamente forbita, per quanto la scrittura verdiana non sembri essere quella che meglio si confà alle sue qualità vocali. La sua Fenena si fa apprezzare, ma preferiamo l'opera francese, preferiamo le parti più liriche del primo Ottocento. Completano il cast l'Anna di Elena Borin, l'Abdallo di Gianluca Floris e il Gran Sacerdote tonitruante come di consueto di Alessandro Guerzoni. Abbiamo aperto parlando dell'esibizione dei complessi del teatro in Piazza Verdi, chiudiamo lodando la loro prova anche nella sala del Bibiena, in particolare il coro, in evidenza in una splendida esecuzione di "Va' pensiero", grazie anche a Mariotti accurata e sentita senza nulla di retorico o risaputo. Fatte salve le disapprovazioni – poche e rumorose - già citate e qualche mugugno per la regia, il successo è convinto e festoso, naturalmente nei limiti dell'abituale riserbo del pubblico delle prime.
La recensione del cast alternativo