Il felice ritorno della bella Italiana

di Andrea R. G. Pedrotti

Dopo sedici anni il capolavoro rossiniano torna al Filarmonico di Verona, questa volta nello storico allestimento di Pierluigi Pizzi, un capolavoro senza tempo di gusto ed eleganza al servizio dell'ironia della partitura. Bella sorpresa sul podio il giovane Francesco Lanzillotta e apprezzabile nel complesso il cast, soprattutto la protagonista, Marina De Liso, e il Mustafà di Mirco Palazzi.

VERONA 2 febbraio 2014 - Secondo titolo in cartellone e secondo successo al Teatro Filarmonico. Dopo sedici anni L’Italiana in Algeri torna alla ribalta di fronte al pubblico scaligero; nel 1998 fu la regia di Jean-Pierre Ponnelle a fare da cornice al capolavoro rossiniano, oggi la fondazione Arena di Verona decide di affidare l’opera a Pier Luigi Pizzi, con un allestimento divenuto storico, che da ormai ventiquattro anni fa capolino nei teatri lirici nazionali e internazionali, mietendo convinti successi, e resta sempre estremamente piacevole e non sembra avvertire il trascorrere del tempo. Le scene tradizionali, ma fresche ed efficaci, con bella scelta cromatica, donano un effetto ottico gradevole per tutta la durata della rappresentazione, assieme ai bellissimi costumi atemporali, anch’essi firmati dal regista e scenografo. Quella di Pizzi non è una regia tipicamente classica, ma ha saputo divenire di tradizione per il suo svolgersi essenziale ed elegante. Le comparse sono poche, ma fanno ben capire quale potesse essere l’ambiente della corte di Algeri. Tutti i personaggi sono caratterizzati al meglio, dai protagonisti ai comprimari: Isabella è il fuoco centrale della scena e motore dell’intero intreccio; molto bello il finale del primo atto dove, con l’ordinata confusione del generale delirio, si trova sola sul trono di Mustafà, padrona degli eventi. Elvira è la moglie umile, debole e innamorata, ma caratterizzata con simpatia e giocosità. Tutti i caratteri sono saggiamente, ma mai eccessivamente, esaltati, in un perfetto connubio fra brillantezza e allegria, senza appesantire la vicenda o tradire il libretto, rispettando, altresì, il rapporto fra parole e musica, come solo un vero registra di teatro lirico sa fare.

Se la componente visiva ha contribuito in maniera apprezzabile alla riuscita dello spettacolo, la parte musicale non è stata certo da meno, per la quasi totalità dei suoi componenti. Mirco Palazzi, esperto rossiniano, tratteggia un Mustafà di alto livello, risolvendo al meglio il ruolo con un’interpretazione scenica simpatica, efficace e spigliata; da autentico basso vince le impervie ostilità della parte con sicurezza. Palazzi ha saputo ben comprendere il carattere del bey algerino, personaggio arrogante e viziato, che ostenta un’apparente sicurezza messa a dura prova e vinta, senza troppo sforzo invero, dall’arrivo della bella italiana. Daniele Zanfardino, che passa al primo cast, in sostituzione di Antonis Koroneos, risolve correttamente il ruolo, con un’interpretazione sicuramente di non grandissima personalità, tuttavia connotata da una discreta interpretazione vocale, anche se carente di squillo e abbastanza scarsa dal punto di vista del volume.

Al contrario piacevole riscoperta, per un teatro italiano, è stata l’Isabella di Marina de Liso: cantante esperta del repertorio barocco, e non solo, interpreta il ruolo contraltile della spigliata livornese ottimamente sia dal punto di vista scenico sia da quello musicale. È sottolineato, con l’aiuto della regia, l’accentuato aspetto sadico di Isabella, che qui si presenta di nero vestita, scioccando colpi di frusta ai suoi stessi aguzzini; la recitazione mantiene una costante elegante misura, senza mai scadere nella volgarità. Le tre arie sono affrontate con sicurezza nell’intera tessitura e nelle agilità, cui va aggiunto un certo gusto del fraseggio; il canto è preciso e scevro da eccessi. Punto debole del cast e della recita è il Taddeo di Filippo Fontana, baritono dal colore estremamente chiaro e dall’effettivo registro poco definito, potrebbe portare dignitosamente a termine il cimento vocale, se non avesse completamente frainteso il personaggio: il suo ruolo non è quello di un buffone, al contrario Taddeo è anche un’autentica rappresentazione di profonda melanconia e abbattimento per un impossibile sogno d’amore. Qui, invece, non si va oltre inutili mossette, atte a strappare risate fini a se stesse, eccessi discutibili e molte frasi, sia nei recitativi sia in arie e assiemi, sono di fatto gettate al vento. Non si possono ignorare completamente sfaccettature chiarissime evidenziate dal bel libretto di Angelo Anelli: come si può pensare di ridurre a macchietta un personaggio psicologicamente ben più interessante degli stessi Lindoro e Mustafà? Affermazioni come “Ah!…Taddeo, che bivio è questo!”, “quant’era meglio che tu andassi in fondo al mar.”, “Hai capito? Questo core pensa adesso come sta.”, sono completamente ignorate nel loro significato più profondo. Questo rende l’intera prova di Fontana insufficiente, quando si parla di opera buffa non si intende superficialità, potrà anche mancare un effettivo sviluppo interiore, ma l’interiorità è ben presente e non la si può ignorare.

Non benissimo l’Haly di Federico Longhi, decisamente traballante nell’aria di sorbetto “Le femmine d’Italia” e scarsamente efficace negli assieme. Bella sorpresa è, invece, l’Elvira di Alida Berti: vocalmente e scenicamente incisiva, i do del finale primo sono svettanti, precisi e sicuri, così come l’adeguata interpretazione del ruolo nel corso dell’intera rappresentazione. Il cast è completato dalla brava Alessia Nadin, come Zulma.

Sul podio si è avuto modo di apprezzare, è il caso di dirlo, la bacchetta di Francesco Lanzillotta, direttore giovane, ma con un’importante e indispensabile gavetta anche sinfonica alle spalle, che mantiene un perfetto equilibrio fra buca e palcoscenico, le dinamiche, i tempi, il fraseggio musicale sono appropriati e la concertazione è di ottimo livello. Va sottolineato come abbia saputo controllare, adattandosi saggiamente agli interpreti a disposizione, i difficili concertati dell’opera rossiniana, mantenendo un giusto amalgama e senza mai mettere in difficoltà i cantanti. L’intera partitura non solo è letta con pertinente fedeltà e precisione, ma anche con spunti di originalità, che hanno reso sempre nuovo ed estremamente gradevole l’intero ascolto. Il maestro ha giustamente meritato un’ovazione al rientro nel golfo mistico, all’inizio del secondo atto.

Il coro, ben diretto da Armando Tasso, porta a termine una prestazione degna di merito.

Un pubblico estremamente soddisfatto (davvero fragoroso l'applauso che ha salutato il finale dell'opera), ha gremito il teatro in ogni ordine di posto, riservando convinto e meritato apprezzamento alla maggior parte degli interpreti e agli artefici dello spettacolo, che hanno saputo regalare alla sala una prima di assoluto livello.

foto Ennevi studio