Le ali spezzate

di Antonio G. Ruggeri

Ripresa a Torino, con una meritevole circolazione mediatica fra radio, video streaming, cinema e tv, la fortunata produzione di Madama Butterfly firmata da Damiano Michieletto per la regia e Pinchas Stenberg per la direzione. Il cast non entusiasma, ma i due timonieri lo sanno guidare in una lettura folgorante, sia per l'intensità di una lettura scenica spietata e spiazzante, sia per la raffinatezza di una concertazione che iscrive a pieno titolo l'esotismo pucciniano nella grande tradizione del '900 musicale.

TORINO, 4 febbraio 2014 - Il Regio di Torino prosegue la sua stagione 2013-2014 presentando con successo Madama Butterfly inserita in un progetto artistico che prevede tra febbraio e marzo un mini-festival pucciniano con ben quattro titoli del grande maestro lucchese ( a seguire Turandot, Tosca e Gianni Schicchi con l’interessante abbinamento a Una tragedia fiorentina di Zemslinsky). Un teatro ha il compito e la responsabilità di inserire nella programmazione opere popolari di maggior richiamo senza omettere titoli più ricercati o poco frequentati, al fine di offrire con equilibrio e buon senso nuove proposte e progetti culturali ambiziosi: è quello che sta facendo da qualche stagione con apprezzamento generale il teatro della città sabauda, che in questi giorni con MadamaButterfly ripropone l'interpretazione drammaturgica ideata nel 2010 da Damiano Michieletto e ripresa successivamente nel 2012. A ulteriore conferma della propria produttività ed efficienza, il Regio, per far meglio conoscere il proprio lavoro coinvolgere un pubblico sempre più vasto, ha trasmesso in diretta la recita del 4 febbraio contemporaneamente su Rai-Radio3, in video streaming Rai e in HD in più di ottanta cinema di tutto il mondo. La stessa recita andrà poi in onda su Rai5 il 13 e il 16 febbraio. Viene da pensare che non ha caso questa operazione sia stata ideata per l’allestimento anticonformista e immediato di Michieletto (qui ripreso da Roberto Pizzuto ) concepito dal regista con un criterio quasi da “format” cinematografico.

Di Madama Butterfly si sono sempre visti e sperimentati allestimenti tradizionali – magari esteticamente piacevoli alla vista, ma risibili per l’ambientazione anacronistica da esotica cartolina con esibizione di sfarzosi orpelli e caricaturali movenze orientali – o minimalisti, con gestualità asettiche e misurate a volte ispirate al teatro Nộ giapponese. Le chiavi di lettura, per altro appropriate, si sono poi quasi sempre limitate a sottolineare il conflitto tra cultura orientale e occidentale e il dramma psicologico dell’abbandono e della perdita. Michieletto prende le distanze da tutto questo e orienta, viceversa, la propria lettura verso una concezione moderna dell’opera, posticipando la vicenda in epoca attuale e reinterpretando il libretto con intento di denuncia sociale. La scenografia rappresenta un colorito quartiere del piacere nella periferia di una qualunque metropoli dell’est asiatico, popolato da un andirivieni di varia umanità. La struttura come immagine di un mondo mercificato è sovraccaricata da enormi cartelloni pubblicitari e scritte luminose, che sovrastano un imponente cubo di plexiglas al centro della scena. In questo, come in una vetrina, si trovano le geishe-bambole pronte a offrirsi ai passanti. Col seguire dell’azione il cubo stesso diventa casa, riparo, gabbia e galera di Butterfly, nonché teca in cui osservare da lontano e con indifferenza le vicissitudini della sfortunata fanciulla.

Michieletto propone quindi un punto di vista terribilmente attuale che sottolinea con effetti davvero realistici alcuni temi fondamentali rimasti troppo spesso nascosti, come la pedofilia, il turismo sessuale e la prostituzione minorile. Tutto è condotto in modo estremamente convincente, curato nei minimi particolari con molte soluzioni registiche eclatanti, ma persuasive.

La scena in cui Butterfly immagina il ritorno di Pinkerton,che materializzatosi la dondola dolcemente su un’altalena, mentre Sharpless le legge la lettera restituisce splendidamente l’atmosfera sognante di questo momento. Il duetto dei fiori, che vede Cio Cio San, Suzuki e il bimbo colorare tutte le pareti di vetro della casa con le mani, è un’ immagine poetica e commovente; come anche la scena in cui il bimbo gioca con delle barchette di carta nelle pozzanghere e viene aggredito da altri ragazzini in quanto diverso: bimbo orientale, ma con occhi azzurri e i riccioli biondi. Agghiacciante risulta il momento in cui Kate, la “vera moglie americana”, paga insensibilmente Butterfly per avere o, meglio, per comprare il figlio.

Michieletto (insieme ai suoi abituali collaboratori Fantin per la scenografia, Teti per i costumi e Filibeck per le ottime luci) si muove con la massima libertà nel capolavoro pucciniano; come sempre non si limita a raccontare la vita, i sentimenti e le idee, ma rappresenta un’umanità in cui tutti possiamo essere colpevoli e innocenti, ingannatori e ingannati. Così, la definizione di tragedia giapponese o di dramma psicologico appare riduttiva di fronte alla fotografia realistica dello sfruttamento di una donna-oggetto; il libretto – riletto, riscoperto e rivalorizzato –denuncia e condanna non solo il mondo occidentale e il turismo sessuale, ma anche la società giapponese che circonda Cio-Cio-San. Il messaggio del regista è di così forte impatto drammatico da affascinare e coinvolgere il pubblico anche dopo un primo momento di comprensibile disorientamento.

A sipario calato e usciti dal teatro ci chiediamo se la creazione di Puccini sia stata tradita, se nella concezione originaria dell'opera nell’opera fosse presente un giudizio morale nei confronti di un sistema di rapporti fra culture e fra sessi o se, piuttosto, nel narrare il dramma psicologico della protagonista non fosse interessato prima di tutto all’esotismo musicale, con eccezionali intuizioni in termini armonici, ritmici e timbrici. Il “colore” giapponese non è solo di cornice, ma elemento funzionale e indispensabile al dramma. L’esotismo intrinseco se non congenito nella musica è elemento fondamentale e portante per la coerenza drammatica, da cui non si può prescindere. Aderiva a questa concezione interpretativa, a differenza della regia, la direzione di Pinchas Steinberg, che si è confermato un ideale esecutore di Puccini, inserito in una dimensione artistica novecentesca. Pur non perdendo mai di vista lo spessore sinfonico della partitura, mette in luce fin dal fugato iniziale il versante intimo e lirico dell’opera. Sono emersi in questo modo il ricco cromatismo, le sonorità maliose e sensuali e le linee musicali levigate e sinuose. Il risultato è stato trascinante grazie anche all’ottima intesa con l’Orchestra del Teatro Regio. Perfetta la prova del coro preparato da Claudio Fenoglio. Con un’appropriata scelta dei tempie un calibrato sostegno al canto di conversazione, muro maestro del melodramma pucciniano, Steinberg è riuscito poi con grande perizia a tenere sempre l’insieme omogeneo riservando costante attenzione alle voci.

Tra questi nessuno mostra ineccepibili qualità canore tanto che risulterebbero al limite dell’anonimato vocale se non fossero stati guidati sia per il lato musicale sia per quello interpretativo dalle forti personalità dei due “timonieri” dello spettacolo. Massimiliano Pisapia realizza molto bene l’idea di Michieletto che vuole un Pinkerton volgare, insensibile e irruente;inizialmente però la voce è un po’ velata e forzata e solo nel progredire dell’esecuzione riesce a trovare un suo assetto, pur rimanendo timbricamente anonima e grossolanamente generosa. Sharpless è ritratto da Alberto Mastomarino, con la sua voce sonoramente nasaleggiante, come una persona affabile e indulgente, ma incapace di agire e vile di fronte alle proprie responsabilità e solo di fronte al precipitare degli eventi riesce a opporsi con dura violenza fisica a Pinkerton. Giovanna Lanza, tolta qualche sporadica forzatura ,è una Suzuki partecipe e sofferente, intensa e toccante,grazie a un’articolazione chiarissima e un fraseggio accurato. Goro è invece disegnato come una sporca ed equivoca figura che fa evitare a Luca Casalin la fastidiosa macchietta con la quale spesso viene reso questo ruolo. Tutto il restante folto gruppo dei comprimari è abilissimo nel tratteggio dei vari personaggi: lo zio Bonzo di Seung Pil Choi, il commissario imperiale di Ryan Milstead, la Kate Pinkerton di Daniela Valdenassi, loYakusidé di Lorenzo Battaggion e l’Ufficiale di registro di Marco Tognazzi, senza dimenticare lo straordinario talento scenico del piccolo Edoardo Gasparella che interpreta il figlio di Butterfly. La protagonista Amarilli Nizza,veterana del ruolo pucciniano, aderendo totalmente alla visione registica riesce a cesellare l'ingenuità adolescenziale del personaggio evitando eccessi di sentimentalismo. Restituisce pertanto sottigliezze di fraseggio e varietà nei colori che le permettono di impiegare emissioni giocate quasi sempre sul piano e sul mezzoforte. Quando sono richieste emissioni a voce piena il timbro denuncia un’implacabile usura con opacità in ogni registro e vibrati altalenanti soprattutto nel settore acuto: in alcuni momenti topici la sofferenza vocale risulta talmente marcata che non sempre la plasticità della linea pucciniana è sostenuta a dovere. Le va comunque riconosciuto un impegno espressivo curato e pertinente che le permette un’identificazione totale e travolgente.

Teatro gremito e accoglienze calorose per tutti i protagonisti della serata, ma il vero trionfatore resta sempre Puccini.