Buon dì, cara Venezia

di Francesco Bertini

Il teatro Sociale di Rovigo propone Il campiello di Wof Ferrari in una produzione realizzata in collaborazione con la Fenice di Venezia. Nel bell'allestimento curato da Paolo Trevisi si distinguono alcune giovani voci di belle speranze guidate dall'esperienza intramontabile di Max René Cosotti e Nicola Pamio. Più in ombra la direzione di Stefano Romani, con un'Orchestra Filarmonia Veneta non sempre impeccabile.

ROVIGO 16 febbraio 2014 - Il Teatro Sociale di Rovigo chiude la propria stagione lirica con una novità assoluta: “I Teatri del Veneto alla Fenice”. Si tratta di un progetto della Fondazione lagunare che prevede una serie di collaborazioni con i teatri delle provincie del veneto. Si inizia con Il campiello che a Rovigo manca da poco tempo, considerando la rarità delle esecuzioni di opere di Ermanno Wolf-Ferrari. L’ultima messinscena della composizione risale alla stagione 2007-2008 quando lo spettacolo, pur previsto dal teatro, a causa di una serie di problemi fu quasi "improvvisato” all’ultimo ma con esiti positivi, se non altro per la presenza di artisti di rango (Daniela Mazzucato, Max René Cosotti, Armando Ariostini, per citarne alcuni).

In quest’occasione l’allestimento viene affidato per la terza volta alle cure registiche di Paolo Trevisi, fine conoscitore dell’universo goldoniano dal quale questa commedia lirica prende le mosse. Wolf-Ferrari nutre un profondo senso di venerazione per il commediografo veneziano che gli ispira ben cinque opere: Le donne curiose, I quatro rusteghi, Gli amanti sposi, La vedova scaltra e Il campiello. Sono le situazioni, gli ambienti, il dialetto a stimolare fortemente il compositore che con l’esperienza di Il campiello consolida la propria collaborazione con il librettista Mario Ghisalberti.

Wolf-Ferrari maneggia il soggetto con profonda maturità volgendo la propria attenzione alle influenze musicali classiche e allo stile del Falstaff, ultima fatica verdiana. Lo spettacolo di Trevisi respira il clima voluto dall’autore: nella semplicità del campiello veneziano, dove si svolge l’intera vicenda, il regista guarda e rappresenta con ironia le “baruffe”, gli amori ma anche le ipocrisie e le malignità dell’umanità che si affaccia sulla “piazzetta”. Per l’edizione rodigina Trevisi sceglie una scenografia proveniente dalla ditta Sormani-Cordaropoli e legata alla rappresentazione dell’opera in Fenice, nella stagione 1946-1947. Le facciate dei palazzi veneziani, con poggioli e terrazzine rispettosi della più classica tradizione figurativa, incorniciano uno spettacolo mai chiassoso e soprattutto mai banale, capace di evitare le “mossette” inutili delle quali si avvalgono troppi registi. I costumi si apprezzano per le tinte variopinte e la fattura.

Omogeneo il cast vocale fatte salve le partecipazioni esilaranti delle due “vecie”, Dona Cate Panciana e Pasqua Polegana, affidate rispettivamente ai fuoriclasse Max René Cosotti e Nicola Pamio. I due tenori non temono il confronto con ruoli che richiedono piena padronanza scenica e forte personalità interpretativa. Cosotti, già presente nel medesimo ruolo nell’edizione del 2007-2008, conferma ancora una volta la propria versatilità, che la lunga frequentazione operettistica ha certamente contribuito ad accrescere. Pamio, dal canto suo, sfodera verve sufficiente per condividere il palcoscenico con il collega. Tra le svariate voci femminili quella del giovane soprano Anna Viola è parsa la più interessante. La cantante friulana ha carattere tanto in scena quanto nella resa di Lucieta: emissione e fraseggio sono curati al pari dell’accento veneto richiesto dal testo. Manca un po’ di personalità Claudia Pavone che nel dar voce a Gasparina, con la sua bizzarra “Z in luogo dell’S” (come recita il libretto), esibisce linea canora abbastanza corretta ma temperamento da maturare. È risultata a tratti asprigna la Gnese di Carolina Lippo, pur simpatica in scena. Ammirevole l’impegno del mezzosoprano lituano Julija Samsonova Khayet che non si è fatto intimorire dal linguaggio del ruolo di Orsola, riuscendo anzi a dominare con spiccato carattere il gergo dialettale. Nonostante il timbro ingrato e alcuni problemi tecnici, Giacomo Patti è uno Zorzeto abbastanza spigliato e credibile. Il baritono Maurizio Leoni si cimenta con il ruolo del Cavalier Astolfi che richiede una certa abilità scenica. Il personaggio, un nobile napoletano ormai spiantato, veicola lo spettatore inquadrando, da elemento esterno, l’ambiente veneziano e la realtà tutta particolare delle dinamiche nel campiello. Fontana risulta credibile nei panni del cavaliere e dimostra di poter accrescere positivamente le proprie potenzialità interpretative. Valida la prestazione di Italo Proferisce il quale, nel ruolo dell’irascibile Anzoleto, non manca di far valere la propria efficacia scenica e l’interessante materiale vocale. Meno convincente Gabriele Bolletta, imperioso Fabrizio dei Ritorti, che ha emissione a tratti poco a fuoco.

Non sfigurano, nei brevi interventi, il Coro Li.Ve e la Compagnia Fabula Saltica, attenta ai movimenti coreografici voluti da Claudio Ronda.

L’Orchestra regionale Filarmonia Veneta è guidata da Stefano Romani il quale, già cimentatosi con la partitura di Wolf-Ferrari, si lascia sfuggire alcune sottigliezze della scrittura del compositore veneziano. Nonostante ciò il lavoro svolto risulta perlopiù corretto, salvo alcune attestazioni di svogliatezza della compagine orchestrale. Seppur non numeroso, il pubblico ha risposto positivamente alla recita con festanti applausi finali.