di Giuseppe Guggino
Prosegue l’omaggio del Teatro Massimo di Palermo a Richard Strauss con un’insolita versione cinematografica di Der Rosenkavalier, film muto del 1925 con colonna sonora eseguita dal vivo nell’ambito della stagione sinfonica. Un’occasione preziosa per soffermarsi sulla dimensione decadente e al contempo di sublime edonismo dell’orchestrazione straussiana, per nulla attenuata dall’assenza del canto di conversazione, che pure nel Rosenkavalier raggiunge livelli insuperabili.
Palermo, 2 aprile 2014 - Tracciando una sorta di mappa concettuale dei possibili approcci alla drammaturgia, Strauss scrive a Joseph Gregor durante la gestazione di Capriccio «Prima le parole e poi la musica (Wagner), oppure prima la musica e poi le parole (Verdi), oppure soltanto le parole, niente musica (Goethe), oppure soltanto musica, niente parole (Mozart)». Dove si collochi in questa mappa il compositore del Rosenkavalier è una questione aperta: l’esito del suo personale percorso di ricerca, infatti, è una non risposta, è il finale sospeso di Capriccio, la mancata scelta della Contessa tra il poeta Oliver e il compositore Flamand, o - magari - la scelta di entrambi.
Nel Rosenkavalier, opera che - in effetti - presenta soltanto una concessione melodica al Tenore italiano, un duetto Octavian-Sophie e il meraviglioso terzetto finale, si può legittimamente avere la sensazione che il canto di conversazione possa far segnare punti a favore della parola versus la musica; ma l’opinione si rivelerebbe assolutamente inconsistente a chi compisse il piccolo sforzo di concentrarsi sull’incantevole, variegatissimo sfavillante tappeto orchestrale di quasi tre ore e mezza! Del rischio dovette rendersi conto lo stesso Strauss che nel 1945 trasformò il tappeto in tela traendo dall’opera del 1911 una suite sinfonica di una ventina di minuti (o.Op.145 TFV227d), ad uso delle sale da concerto (pagina ancora oggi molto spesso eseguita, e a ragione); in realtà, ben prima di questo “distillato” ohne worte, lo stesso Strauss aveva avuto modo di ricavare dai temi dell’opera la Begleimusik del film muto “Der Rosenkavalier” (o.Op.112 TFV227b) per la regia di Robert Wiene, proiettato per la prima volta (Strauss sul podio) alla Semperoper di Dresda il 10 gennaio 1926.
La pellicola, sebbene sceneggiata dallo stesso Wiene con la partecipazione in prima persona di Hugo von Hofmannsthal, mantiene appena una labile parentela con il raffinato originale hofmannsthaliano; se da un canto è vero che il linguaggio cinematografico consente di eludere le unità aristoteliche che nell’opera bloccano l’azione nei tre atti, dall’altro è altrettanto vero che il cinema muto necessita di un’esasperazione della mimica facciale in continui ammiccamenti palpebrali per via dell’assenza del valore semantico dalla parola. Il risultato è l’inevitabile scivolamento della deliziosa e malinconica commedia in smaccatissima farsa; se il lavoro di trasformazione in “romanzo per immagini” dovette divertire parecchio Hofmannsthal, invece non dovette corrispondere esattamente all’ideale estetico di Strauss se egli, nel 1942, scriveva «Il personaggio più frainteso è stato Ochs; fino ad oggi la maggior parte dei bassi ne ha fatto un mostro orribile, volgare, dalla maschera raccapricciante e dalle maniere plebee […] e ciò è assolutamente sbagliato. Dev’essere un bel Don Giovanni, di circa trentacinque anni, un nobile capace di comportarsi con decoro. Nell’intimo uno sporcaccione, ma esteriormente presentabile […] Commedia viennese dunque, non farsa berlinese!». Ma, con buona pace del’ideale straussiano, il suo mondo di riferimento era in piena decadenza, l’impero asburgico dell’adorata capitale della musica che era (ed è) Wien morto con la prima guerra mondiale, le mostruosità in Germania erano prossime a proliferare con l’ascesa di tanti Faninal di turno (magari ebrei) pronti a speculare sulle conseguenze economiche dell’indegna Conferenza di pace di Versailles, tanto profeticamente avversata dall’illuminato John Maynard Keynes; e quindi questo “diverso” Rosenkavalier della seconda metà degli anni ’20, così lontano dall’originale di appena dieci anni prima, ha pur sempre una sua ragione d’essere.
Nel film Valzacchi avverte costantemente il Maresciallo (evocato e mai presente nell’opera) sui convegni della moglie con giovani rampolli, inviandogli anche polsini maschili rinvenuti nella sua camera da notte e, per tutta risposta, il Maresciallo, ad ogni missiva del genere, si trasforma in una sorta di offenbachiano Général Boum, impartendo collericamente l’ordine di battaglia. Completamente diverso poi è il plot corrispondente al terzo atto dell’opera: niente locanda, niente occhietto strizzato al Falstaff, ma piuttosto uno sguardo rivolto a Pagliacci (esempio di teatro alla massima corruzione, secondo Strauss!) con una rappresentazione in piazza ad opera di Valzacchi e Annina di quanto avvenuto in casa Faninal al barone di Lerchenau; ne segue una festa in maschera dove gli intriganti italiani (zio e nipote nell’originale operistico e coppietta nel riversamento in pellicola) comunicano al Maresciallo, tornato dalla battaglia, la maschera indossata dalla Marescialla prossima ad un réndez-vous con Rofrano, che però si salva grazie ad un ripensamento estremo di Annina che fa mascherare in quel modo Sophie: ne segue il lieto fine con il Maresciallo imbarazzato per aver ritenuto fedifraga la moglie, Valzacchi e Annina in ricongiungimento e la coppia Sophie-Octavian avviata verso la felicità dei giorni futuri; e pazienza per la perdita del terzetto.
Del film sono pervenuti a noi soltanto i primi 80 minuti; il resto della pellicola è stato ricostruito per lacerti di filmati dal trailer originale e da fotogrammi superstiti, seppur in maniera discontinua per gli ultimi 25 minuti circa. Il poema sinfonico (giacché sarebbe riduttivo derubricarlo a lussuosissima colonna sonora) oggi praticamente misconosciuto, purtroppo, sarebbe un po’ più lungo, ossia circa 146 minuti, sulla base dell’unica edizione discografica mai realizzata (oggi fuori catalogo) incisa tra il 1997 e il 1999 per la casa discografica austriaca Capriccio con la bellissima direzione di Marek Janowski alla testa della Deutsches Symphonie-Orchester Berlin.
Il film restaurato, con il finale abbreviato a causa delle lacune di cui si è detto, è stato presentato a Dresda nel 2006 (con riversamento in dvd) sotto la direzione di Frank Strobel; ed è proprio a Strobel che il Teatro Massimo si è rivolto per il raro concerto-film imbastito a Palermo, avvalendosi anche dei sopratitoli in italiano a cura di Dario Oliveri.
Nell’esecuzione funziona a meraviglia la sincronìa tra fotogrammi e direzione (anzi, sotto questo aspetto, è interessante notare come la nomèa di Strauss direttore dall’agogica precipitosa fino all’ineseguibile è certamente esagerata); quanto alla concertazione, invece, sin dallo sporco attacco iniziale di ottoni e archi gravi si capisce che la serata non sarebbe marciata sul binario dell’indimenticabile: parecchia marmellata degli archi si spalma sui cristalli della scrittura straussiana e le sonorità rasentano sovente il fracasso. Rimangono i legni a dare buona prova, ma il risultato complessivo lascia rimpiangere un esito migliore.
Prima la musica e poi le immagini, oppure prima le immagini e poi la musica? Forse la seconda, in questa serata.