Tristan und Isolde, il sale e la clessidra

di Valentina Anzani

 

Opera di inaugurazione del 77° Festival del Maggio Musicale Fiorentino, Tristan und Isolde è stato sul palcoscenico del Teatro Comunale di Firenze per 4 recite, guidato dalla bacchetta del direttore onorario del festival Zubin Mehta e un cast vocale per certi versi inaspettato ma soprendente.

FIRENZE, 4 maggio 2014 – Lioba Brown, l’Isolde di questa produzione, ha infatti sorpreso tutti gli scettici: la cantante è infatti interprete assidua del ruolo di Brangäne, ma si dimostra anche assai adatta a vestire i panni della protagonista dell’opera, con voce stentorea, pronuncia regale e movenze eleganti. Il suo timbro si accorda inoltre molto bene con quello più scuro di Julia Rutigliano (Brangäne) e le due coniugano con disinvoltura le rispettive parti vocali. Davvero intenso è anche Torsten Kerl, che, nel ruolo di Tristan, conquista Isolde e il pubblico con il calore della sua interpretazione. Stephen Milling convince pienamente con il suo re Marke (nonostante alcuni piccoli segni di cedimento negli acuti) per la stupefacente potenza e volume della sua voce, oltre che l’energica declamazione. A coronare l’esecuzione vi sono le tinte gagliarde dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino che il maestro Mehta spinge verso colori vivi e densi di sfumature.

Lo spettacolo si rivela interessante anche per l’apporto di Stefano Poda, che offre una regia piena di suggestioni. Racchiude lo svolgersi dell’azione in un clima buio e cupo, in cui simboli e gesti molto efficaci accompagnano i racconti dei personaggi e rivelano i loro tormenti. Il regista legge con taglio disilluso la vicenda: sembra affermare costantemente quanto irreale sia l’amore tra la regina Isolde e il nipote e servitore del re, Tristan; quanto tutta la loro storia sia da relegare nell’ambito dell’onirico e del labile, come fosse un castello di sabbia. Costante è una cascata di riso che scende dal centro del soffitto, clessidra che afferma l’inesorabile scorrere del tempo e che presagisce anche una scadenza: la storia d’amore tra Tristan e Isolde non ha futuro. 

Un ruolo retorico importantissimo è svolto dall’illuminazione: la luce è sempre fredda, per riscaldarsi solo in presenza di re Marke, che palesa il vincolo matrimoniale tra Isolde e il re, ovvero la realtà che impedisce all’amore con Tristan di esistere.

Se il regista si preoccupa di scena, costumi e luci, abbandona però a loro stessi i cantanti sul palcoscenico, come se la narrazione dovesse essere delegata alla sola scenografia e alla sola illuminazione. Il risultato è evidente soprattutto nel duetto d’amore del secondo atto, che vede i due amanti immobili, immersi nella scena che si sviluppa loro intorno. Comparse spettrali si muovono lentissime come fantasmi della notte, in netto contrasto con le parole che Tristan pronuncerà una volta fatto giorno, quando negherà la realtà volendo vedere degli spettri nelle persone reali intorno a lui. Nel giorno riprenderanno vita quei simboli (alberelli, bambini) che durante la notte erano spossati e rinsecchiti, prosciugati dalla cascata di riso che scende imperterrita, tanto bianca da richiamare l’arsura del sale. Diventa così evidente l’opposizione tra morte e vita che domina la vicenda: l’amore è per Tristan e Isolde l’unica cosa reale, che li rende vivi, ma al contempo è ciò che li conduce alla morte, consumandoli e privandoli del giorno.

 Il terzo atto è una visione in cui si rintracciano echi di Paradise lost di John Milton. L’assolo del corno inglese aleggia sulla voragine profonda in cui è Tristan e precede l’intervento di Kurwenal (Martin Gantner) che, pieno di speranza per la guarigione dell’amico, illumina la scena d’una luce nuova, che fa per un attimo del quadrilatero sospeso, orlo del cratere, un tetto domestico. In un limbo di corpi nudi si riconoscono ali pietrificate – quanto aiuterebbero Isolde ad arrivare in tempo! Quando alla fine dell’opera sopraggiunge anche per Isolde la morte e la sublimazione estrema del suo amore impossibile, il cielo metallico e arrugginito lascia spazio a una luce bianchissima e a fervidi applausi.

© Copyright Simone Donati / TerraProject