Il concerto di Norma

di Francesco Lora

Maria Pia Piscitelli debutta allo Staatsoper, sostituendo Edita Gruberova infortunata: il pubblico viennese le dà un cordiale benvenuto, in una Norma per il resto tutta in funzione della primadonna.

VIENNA, 11 maggio 2014 – Allo Staatsoper di Vienna gli spettacoli si danno sempre in forma scenica, inframmezzati da rarissimi concerti di canto. Una sola eccezione: la Norma di Vincenzo Bellini è ritornata in repertorio nel 2005, con ripresa nel 2007, come se fosse una produzione regolare, con le sue cinque-sei recite per volta, i suoi prezzi sostenuti e i suoi turni d’abbonamento; ma non ci sono regìa, scene e costumi: lo spettacolo è tutto nella presenza della diva sine qua non, Edita Gruberova, decana dei soprani di coloratura e, per capriccio di non farsi mancare un’altra parte-cardine del belcanto italiano, singolare sacerdotessa d’Irminsul. Dopo sette anni, la produzione concertistica della Norma è tornata allo Staatsoper, per quattro serate dall’8 al 21 maggio. Con un imprevisto: un paio di settimane prima del debutto, la diva si è infortunata e ha annullato l’impegno.

Trovare su due piedi un’altra Norma non è cosa facile. A ben pensarci, le grandi primedonne d’oggi non tengono stabilmente in repertorio la temibile parte, ma tuttalpiù la avvicinano, la sperimentano, la concedono per poche recite in un’intera carriera, preparandosi con largo anticipo all’oneroso appuntamento e senza per questo volervi ulteriormente investire sopra. È questo il caso di Cecilia Bartoli, di Daniela Dessì, di Mariella Devia e di Carmela Remigio, per limitarsi a un poker degli ultimi anni, oltretutto eterogeneo in doti specifiche, stile e provenienza. A Vienna si è trovata la sostituta in Maria Pia Piscitelli, uno di quei soprani mai approdati a una grande carriera, ma con solida esperienza belcantistica e pronti a macinare parti impegnative. Ancora alla seconda recita le si legge nel viso e nel canto l’emozione del debutto allo Staatsoper: il registro acuto è un tantino faticoso e spinto, l’agilità è più sorvegliata che fluida, i fiati sono meno lunghi di quanto l’autore pretenderebbe. Così, questa Norma cede il passo proprio nei passi cantabili ed estatici che tanto bene stanno addosso alla Gruberova. In compenso i recitativi, e in particolare quello di sortita, sono una meraviglia per chiarezza di pronuncia e autorevolezza d’accento; la stretta del Finale I è attaccata con tutto l’impeto necessario; e il duetto con Pollione trova una voce piena e agiata anche nel registro grave lì sollecitatissimo (non va dimenticato che la parte di Norma ha tessitura anfibia e discontinua, talvolta contraltile senza meno benché poi spinta ai sopracuti, sospesa cioè tra le doti della creatrice Giuditta Pasta e il pretenzioso ideale che Bellini aveva di una primadonna). Il riscontro procura gioia: al pubblico viennese la Piscitelli piace assai e gli applausi piovono generosi; non sarà la scoperta vocale del secolo, ma è di certo un cordiale benvenuto a un franco esempio di stile italiano.

Intorno all’interessante caso della primadonna, il resoconto può scorrere più rapido. Inadeguati risultano sia il Pollione di Massimo Giordano sia l’Adalgisa di Nadia Krasteva. Volatile tenore di grazia sbalzato a parti drammatiche da una carriera piuttosto disordinata nelle scelte e nei percorsi, il primo semplifica la parte omettendo il Do sopracuto nel cantabile della sortita, ma non va poi indenne da una precoce stanchezza vocale, dal rifugio in un esangue registro misto e dall’uso obsoleto di vocali piatte e spalancate. La seconda, al contrario, ostenta un canto grosso e sguaiato, che palesa la prosperità di mezzi vocali bronzei e sensuali, ma che nel contempo involgarisce all’estremo il carattere di una vergine votata al tempio. Si apprezza, infine, Dan Paul Dumitrescu come Oroveso: il basso utilité della Staatsoper ha infatti voce importante e timbrata e, se nell’eloquio tende a marcare più del dovuto, ciò è per onesta volontà di rendere intelligibile al pubblico non italofono il temperamento del personaggio e il senso dei versi. Funzionale la direzione di Andriy Yurkevych, che accompagna a metronomo il canto e si fa puntualmente seguire da Orchestra e Coro; peccato che abbia ereditato dai suoi predecessori una delle solite sciocche liste di tagli: una manciata di battute sparse qua e là, che non alleviano la noia dell’ascoltatore svogliato né la fatica del cantante inadeguato, ma bastano ad alterare la fisionomia originale della partitura.