Principessa di pietra

di Giovanni Andrea Sechi

Il Teatro Lirico di Cagliari mette in scena la versione incompiuta del capolavoro puccianiano: la nuova produzione si distingue per il contributo eccezionale dello scultore Pinuccio Sciola.

CAGLIARI, 2 giugno 2014 – Nel 1912 il musicologo Fausto Torrefranca accusava Giacomo Puccini di essere vittima delle mode musicali del suo tempo e di mancare di una «ricerca veramente personale del nuovo». Un secolo dopo proprio un’opera pucciniana, l’incompiuta Turandot, ispira uno dei più interessanti esperimenti dell’arte contemporanea, grazie alla mano dello scultore Pinuccio Sciola (artista che – in altre sedi – non necessiterebbe di presentazioni). Nato nel 1942 da una famiglia di contadini, Sciola studia da autodidatta e solo grazie a delle borse di studio termina la propria formazione in Italia e all’estero (cominciò a esporre già dai primi anni ’60). Il suo impegno culturale e politico lo ha reso una delle voci più importanti della Sardegna contemporanea. Al suo talento visionario si deve l’invenzione, nel 1996, delle pietre sonore, ancora oggi tra le sue opere più famose e richieste in tutto il mondo. Proprio da tale idea nasce l’idea di questa nuova produzione del Teatro Lirico di Cagliari. La «Pekino al tempo delle favole» di Giuseppe Adami e Renato Simoni diventa, tramite Pinuccio Sciola, una città non collocabile tra il passato e il futuro. Le sue possenti strutture, chiare come il travertino, incombono sui personaggi e proprio sopra un’immensa pietra sonora si svolge tutta l’azione. Le sculture di Sciola possiedono la solennità di un passato archetipico – come quello della Sardegna nuragica – e la compostezza algida di architetture dal gusto avanguardista. Le ricchissime suggestioni della scenografia, tuttavia, non vengono colte da tutte le maestranze (regia di Pier Francesco Maestrini, costumi di Marco Nateri, luci di Simon Corder). La loro lettura non sembra ben integrata con lo spazio scenico e, in un contesto così aulico, appare quasi banale: per nulla interessante l’uso di coreografie nei momenti in cui l’azione langue (Atto II, Quadro I), totalmente fuorviante la gestualità in contraddizione con il libretto («Percuotete quei vili!» è l’ordine che Turandot rivolge alle guardie contro la folla, non ai danni dei soli Liù e Timur!). Senza tradire la propria cifra stilistica, Sciola traduce l’esotismo del libretto pucciniano in straniamento, geografico e temporale: una trasposizione che valorizza ma non piega mai le necessità del testo teatrale alla propria volontà. Questa è la lezione del maestro.

Fortunatamente la parte musicale dello spettacolo si mostra pienamente all’altezza. La direzione di Giampaolo Maria Bisanti è ineccepibile: una concertazione pulita, sempre chiara, che restituisce i colori vividi e cangianti della fiaba di Carlo Gozzi (complice l’ottima intesa con l’Orchestra del Teatro Lirico di Cagliari). Nella compagnia vocale spiccano i soprani Maria Billeri (ruolo del titolo) e Valentina Farcas (Liù): la prima dotata di mezzi vocali notevoli, che le permettono di debuttare nella parte della Principessa con piena padronanza di mezzi, la seconda efficacissima nel tratteggiare la schiava innamorata e devota. Tra le parti maschili entusiasma il tenore Francesco Anile (Calaf), che si distingue per la nobiltà del fraseggio, senza difettare del piglio eroico che la parte richiede. Degne di lode anche le due figure paterne: il basso Carlo Cigni è un Timur generoso nell’emissione vocale, tutto dignità e autorevolezza, il giovane tenore Davide D’Elia è un Altoum manierato e composto. Corretta è la performance dei tenori Gregory Bonfatti (Pang) e Massimiliano Chiarolla (Pong), vistosamente deficitaria è quella del baritono Giovanni Guagliardo (Ping). Nonostante l’impressione che alcuni aspetti di questo spettacolo siano perfettibili (come la scelta di adottare la versione incompiuta della partitura: il tradizionale finale di Franco Alfano, benché sia oneroso per gli interpreti vocali, è sempre di grande interesse per l’ascoltatore), l’impressione nel complesso è altamente positiva: salutiamo con piacere uno dei più riusciti allestimenti del teatro cagliaritano negli ultimi anni.