Viva la libertà!

di Luis Gutierrez

 

Eleggendo l'inno alla libertà intonato dai quattro personaggi aristocratici a tema fondante della produzione, il regista Sven–Eric Bechtolf colloca per contrasto l'azione nei giorni cupi della dittatura franchista. Fra felici intuizione e qualche dettaglio meno convincente, lo spettacolo funziona e convince, grazie anche alle prove di Ildebrando D'Arcangelo, Luca Pisaroni e Anett Fritsch.

Salisburgo 18 agosto 2014 - Don Giovanni è, senza dubbio alcuno, una delle opere più impegnative da allestire, poiché ogni spettatore, neofita o esperto, ha una sua idea su chi sia il protagonista e cosa ci si aspetti da lui.

Sven–Eric Bechtolf si è assunto la missione di mettere in scena le tre opere composte da Mozart su libretto di Da Ponte; l'anno passato ha presentato Così fan tutte e il prossimo sarà la volta delle Nozze di Figaro. Nel 2016 il Festival di Salisburgo proporrà insieme i tre capolavori - sì, Così è un capolavoro.

Il tema intorno al quale Bechtolf ha costruito il suo lavoro è Viva la libertà!, frase che Don Giovanni intona all'ingresso di Donna Anna, Don Ottavio e Donna Elvira mascarati, che si uniscono a lui; è curioso notare che il Viva la libertà! sia effettivamente cantato dagli unici personaggi altolocati che ne godono, mentre  non lo fanno né Leporello né Zerlina e Masetto. Il regista colloca la scena in uno dei momenti e luoghi del secolo XX in cui la libertà - soprattutto sessuale - ha vissuto i suoi giorni più cupi: il franchismo spagnolo. La storia si svolge in un hotel fuori Siviglia gestito dal Commendatore e da sua figlia Donna Anna; Masetto lavora al bar e Zerlina è una cameriera. Don Giovanni si incontra mentre fa il suo "lavoro" nell'abitazione di Donna Anna, mentre Leporello porta il bagaglio del suo padrone. Donna Elvira veste da sposa per gran parte dell'opera, in accordo con il racconto della fuga del libertino dopo tre giorni di matrimonio, e come c'è da aspettarsi, si impegnerà a disturbare il suo ex in ogni tentativo di seduzione intrapreso in questo giorno, il peggiore della sua breve vita. Lo scenografo, Rolf Glittenberg, la costumista, Marianne Glittenberg, e il curatore delle luci, Friedrich Rom, hanno svolto un buon lavoro.

Fin qui tutto bene, anzi, eccellente. La situazione cambia notevolmente con l'inserimento di una moltitudine superflua in perpetuo movimento, tale da distrarre lo spettatore. Personale dell'hotel, cameriere, camerieri, facchini, clienti e, naturalmente, falangisti comandati da Don Ottavio, incaricati di cacciare dalle camere ogni coppia peccaminosa. Un dettaglio notevole è nella lotta fra Don Giovanni e il Commendatore, quando il libertino prende per un braccio Donna Anna che tiene un coltello, conficcandolo così nel petto del padre di lei; questo, suppongo, deve acuire i propositi di vendetta della signora, cui si aggiunge qualcosa di totalmente nuovo per me, un ardore sessuale della giovane casta che perseguita il suo aggressore. Quando Anna canta le sue arie: “Era già alquanto… Or sai chi l’onore” e “Crudele… Non mi dir, bell’idol mio”, il pusillanime e asessuato Ottavio la getta al suolo dove fa ciò che presumiamo avrebbe fatto Don Giovanni all'inizio dell'opera. Questo dettaglio contraddice la psicologia dei due personaggio, almeno a mio parere, anche se asseconda, più o meno, il Viva la libertà! che intonano con il libertino. In definitiva, il giudizio su questa produzione è ambiguo. Da un lato l'apprezzabile scelta del motivo centrale, così come il suo rapporto contrastato con la collocazione spaziotemporale, dall'altro la discutibile sovrabbondanza di dettagli distraenti e la definizione psicologica di Anna e Ottavio.

In fin dei conti Don Giovanni è un dramma giocoso [per musica], ovvero una commedia letteraria da allestirsi e trasmettersi al pubblico tramite la musica. Da un certo punto di vista, Mozart inserisce questa opera grandiosa nel suo catalogo come opera buffa, che all'epoca significava avere un libretto comico ed essere interpretata secondo le convenzioni correnti per il genere. Devo ricordare che queste convenzioni si rispecchiavano nell'elenco e nella distribuzione di ruoli seri, Il Commendatore, Donna Anna e Don Ottavio, semiseri Don Giovanni e Donna Elvira, e buffi, Leporello, Zerlina y Masetto. Altro aspetto molto importante è che il peso dei tre caratteri femminili è simile. Tutto questo discorso è volto a difendere l'aspetto dionisiaco del mito contro chi lo volge all'apollineo.

L'interpretazione dei cantanti era completa. Tra gli uomini, Ildebrando d’Arcangelo è stato un notevole Don Giovanni, specialmente in “Finch’han fal vino”, ma era Luca Pisaroni a brillare nei panni di Leporello, soprattutto durante “Madamina, il catalogo è questo”, nel quale ha mostrato un album di fotografie in cui Elvira cercava ansiosamente la sua per strapparla dall'infame raccolta; Tomasz Konieczny è solido come una roccia (no pun intended si dice in inglese) quale Commendatore e Alessio Arduini è stato un ardente Masetto. Un po' al di sotto del livello generale l'Ottavio di Andrew Staples, che sfortunatamente ha fatto di “Dalla sua pace” qualcosa di assai poco pacifico. Come era da aspettarsi non ha saputo calmarsi durante “Il mio tesoro”.

Fra le donne abbiamo trovato la maggior disparità qualitativa. La ventottenne Anett Fritsch ci ha regalato una stupenda Donna Elvira, tanto che all'intonare “Sola, sola, in buio loco” realmente ho avvertito il suo tremito infantile, “questa fanciulla” le dirá Leporello pochi istanti dopo. La moldava Valentina Nafornita ha cantato un onesto “Batti, batti”, migliorando durante la seduttiva “Vedrai, carino”, per quanto il suo strip-tease (parziale) possa aver alterato la mia percezione. Chi non ha proprio trovato una serata vocalmente felice è stata la Donna Anna di Lenneke Ruiten. Odio dirlo, ma è quello che realmente è emerso durante la recita. Spero che nelle altre abbia avuto serate migliori. Christoph Eschenbach dirigeva i Wiener Philharmoniker con tempi abbastanza pomposi benché abbia avuto anche momenti in cui ha deciso di imprimere una maggior vivacità, come nell'aria di Don Giovanni. Ho sentito criticare il fatto che i Wiener non suonino come un complesso HIP (storicamente informato, filologico), cosa che credo sia una sciocchezza: ritengo che il suono di quest'orchestra sua superbo e ciò che più amo udire in un Don Giovanni è proprio una qualità strumentale e uno spessore quale quello dei viennesi.

Quando parliamo di Don Giovanni al Festival de Salisburgo, dobbiamo sempre precisare quale versione si utilizza. In questa occasione si è trattato di una versione ibrida, cioè quella che Mozart non ascoltò mai, con le due arie di Ottavio (sfortunatamente), quelle di Elvira (fortunatamente) e il sestetto finale, durante il quale riappare  Don Giovanni che nessuno vede, tranne una cameriera con la quale aveva flirtato per tutta l'opera e che finalmente seduce, lasciando che tutti i personaggi e le comparse finiscano con il medesimo quadro che si presentava al primo aprirsi del sipario. Come Bernard Shaw, non ho mai potuto vedere un Don Giovanni che mi soddisfacesse totalmente (esisterà?), ma questa produzione mi ha convinto più di tutte quelle viste in precedenza in questo Festival.