Trionfo, quasi

di Luis Gutierrez 

Divertentissimo e brillante l'allestimento di Damiano Michieletto; straordinari protagonisti Cecilia Bartoli e Javier Camarena in un cast di tutto rispetto che contava anche su Nicola Alaimo, Enzo Capuano e Ugo Guagliardo; il piacere di ascoltare Rossini affidato a un ensemble filologico. Un trionfo? Certamente, o quasi.

SALISBURGO, 21 agosto 2014 - La produzione della Cenerentola firmata da Damiano Michieletto ha debuttato durante il Festival di Pentecoste [leggi qui la recensione] e, come di consueto, ha avuto una nuova serie di repliche durante il Festival estivo. La sua idea funziona molto bene, o quasi. Durante l'ouverture si proietta sul sipario un angelo che scende e atterra in casa di Don Magnifico, che altro non è che uno squallido Caffé nel quale il patrigno si occupa della cassa, Angelina svolge tutto il lavoro, gravata anche dei capricci delle sorellastre. L'angelo è Alidoro e sarà presente durante tutta l'opera. Tutto ciò mi ha fatto pensare, non so perché, a Miracolo a Milano di Vittorio de Sica. Naturalmente ogni persona sensata potrà dirmi che la mia mente mi gioca tiri non precisamente intelligenti. A un certo punto, dopo il duetto del colpo di fulmine tra Don Ramiro e Angelina, Alidoro colloca sullo sportello del frigorifero il poster di una star pop: il Principe, che altri non è se non Dandini vestito in maniera bizzarra e che canta la sua cavatina circondato da cavalieri vestiti da donna - la scena è davvero esilarante.

Una volta recato l'invito al ballo alle sorellastre, naturalmente non ad Angelina, dichiarata morta da Don Magnifico nonostante l'insistenza di Alidoro nel dimostrare l'esistenza in vita di una terza sorella, la scena si trasforma in bar di lusso per sofisticati buongustai, il Palace. Qui, dove troviamo un gruppo notevole di belle cameriere e clienti, Dandini se la gode nei panni del Principe, mentre a sua volta Don Ramiro si diverte per le sciocchezze del suo valletto, di Don Magnifico e delle sorelle. Angelina fa il suo ingresso dall'alto con occhiali scuri che le conferiscono un'aria misteriosa e la fanno apparire una sconosciuta, per quanto attiri l'attenzione di Don Magnifico, a cui ricorda "qualcuno". Il secondo atto rispecchia il precedente e il rondò finale di Cenerentola è condito da bolle di sapone fra le quali Angelina e Don Ramiro giocano come bambini. All'inizio ho inserito un "quasi" preventivo. È dovuto al fatto che in questa Cenerentola non si percepisce il sottotitolo dell'opera, “ossia la bontà in trionfo”, perché pur perdonando a parole la sua orribile famiglia, Don Magnifico, Clorinda e Tisbe finiscono in ginocchio a pulire i pavimenti del bar. Paolo Fantin, scenografo, con Agostino Cavalca, costumista, e Alessandro Carletti, per le luci, hanno contribuito al successo visivo di questa produzione. Non so, poi, se ad aver dimenticato “la bontà in trionfo” sia stato prevalentemente Michieletto, il drammaturgo Christian Arseni o entrambi. In ogni caso questo mancava. L'esecuzione è stata impeccabile, ancora una volta quasi. Cecilia Bartoli ha cantato magnificamente tutta la coloratura, e non solo, richiesta dal ruolo di Angelina (Cenerentola); l'onnipresente Alidoro è stato Ugo Guagliardo, dotato di una bella voce di basso che sa usare assai bene, così come Enzo Capuano ha interpretato un eccellente Don Magnifico, crudele, avaro fino alla fine. L'immenso, in ogni senso, Nicola Alaimo è stato formidabile nel mostrarci la sua agilità vocale e fisica nei panni di Dandini. La sua voce di baritono possiede un bel timbro, volume appropriato al suo, ehm, volume, e un'intonazione impeccabile. Javier Camarena ha fatto di Don Ramiro il suo cavallo di battaglia. Ancora una volta il suo duetto con Angelina nel primo atto e la sua aria del secondo, “Sì, ritrovarla lo giuro”, tornavano a dipanare quella bellezza, quell'emozione, e quello che i nostri nonni chiamavano "autentico squillo". Spero di non sembrare privo di obiettività nel recensire le performance di Camarena, ma sono veramente magnifiche e questa non ha fatto eccezione. Il "quasi" musicale è costituito dalle due sorellastre, che, sono sicuro, sono state scelte più per la scena che non per il canto, certamente non male, se non per l'enorme contrasto fra le loro caratteristiche vocali e, soprattutto, fisiche. Clorinda era Lynette Tapia, soprano leggero non molto alto, si fa per dire, e Tisbe il contralto inglese Hillary Summers, donna assai alta e la cui voce ricordava (ahimé) quella di un controtenore. Jean–Christophe Spinosi ha condotto bene in porto tutti gli interpreti e l'Ensemble Matheus. È buona, anzi, ottima cosa che Cecilia Bartoli inviti compagini orchestrali che ci facciano ascoltare e godere di ciò che potrebbero aver ascoltato e goduto coloro che assistettero alle prime assolute delle opere di Rossini. In definitiva, questa Cenerentola è stata una produzione divertentissima, brillantemente interpretata e che potremmo ribattezzare come La Cenerentola ossia Bartoli in trionfo.