Chi dice che l'opera è noiosa non ne ha mai vista una

di Roberta Pedrotti

La musica lirica raccontata da Topolino

sceneggiature di F. Artibani e G. Martina, disegni di P. Mottura, P.L. De Vita, R. Scarpa, G. B. Carpi

Panini Comics 

pubblicato con Topolino 3401 il 27 gennaio 2021, disponibile in edicola, fumetteria e sul sito www.panini.it

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“Chi dice che l'opera è noiosa non ne ha mai vista una”. Parole sante che si possono applicare in ogni campo: conoscere prima di giudicare, perché la conoscenza è la prima libertà di scelta. Poi, si potrà anche trovare che l'opera o qualsiasi altra cosa è noiosa e non ci interessa, ma non può essere un pregiudizio a dircelo.

“Chi dice che l'opera è noiosa non ne ha mai vista una” è una frase che pronuncia Pippo in Topolino e il codice armonico, sceneggiatura di Francesco Artibani, disegni di Paolo Mottura, pubblicato su Topolino nel verdiano 2013 a ridosso della prima della Scala. Questa storia, riproposta ora come piatto forte del volumetto, è un piccolo gioiello. Non è la prima volta che, con l'espediente della macchina del tempo, Topolino e Pippo incontrano un grande compositore: nel 1991, in Topolino e l'eredità di Mozart, i Nostri si trovavano a passeggiare per la Vienna del XVIII secolo. Allora, la sceneggiatura di Bruno Sarda (assai ben servita dai disegni di Franco Valussi, attenti all'iconografia storica ma anche all'immaginario del film di Forman) puntava essenzialmente alla medesimo principio e nessun mistero motivava il viaggio nel tempo, solo un regalo di compleanno al professor Zapotec, ardente mozartiano. Alla fine, l'accademico sarà persuaso dal suo stesso beniamino ad aprirsi anche ad altri generi musicali, mentre i nipotini di Topolino, Tip e Tap, scopriranno che Mozart non è solo un cioccolatino e che val la pena di ascoltare quel che ha composto.

Rispetto a quell'avventura attraverso i secoli, non compresa nel Topolibro odierno, Topolino e il codice armonico lascia tra le righe la questione di principio, mettendo in primo piano un intrigo tanto avvincente che le parole di Pippo ne sembrano la chiosa naturale, che l'indole stessa del personaggio spoglia di ogni sospetto di pedanteria. Topolino e Pippo viaggiano nel tempo per risolvere un mistero che si rivelerà un vero e proprio intrigo internazionale. Questo mistero, a tutta prima, non è, però, il classico enigma storico che siamo abituati a veder preso a pretesto di un'avventura fantastica: si tratta di una questione di filologia musicale, due partiture di Aida coeve, di pari autorevolezza, ma differenti in un punto per un Si naturale o bemolle. Se le armi dei musicologi non bastano, i professori del museo di Topolinia decidono di inviare sul posto (e nel tempo) Topolino e Pippo a sciogliere il dubbio sull'alterazione, questione, come ogni musicista sa, non indifferente. Il resto, ovviamente, non si può raccontare per non sciupare il piacere della lettura, ma è chiaro che vedere gli eroi Disney alle prese con l'edizione critica di un'opera non è cosa da poco. Possiamo solo dire che l'incontro con Verdi in persona a Sant'Agata e poi precipitosamente a Milano ci restituisce uno dei ritratti più vivaci, realistici e convincenti che ci sia capitato di incontrare fra letteratura e cinematografia: schietto, irruente, fiero, onesto, un po' burbero in supeficie. Possiamo anche aggiungere che il complotto – come ogni complotto che si rispetti – sarà magari un po' surreale, ma la fantasia si radica in una visione storia e sociale solida, per nulla edulcorata, anzi, pronta a sovvertire ogni cliché patetico, così come le licenze necessarie (sul podio alla Scala non c'è Franco Faccio, per dire, ma è ovvio che non possa esserci per come vanno le cose) hanno tutte la loro brava coerenza. Fino alla tavola finale in cui Mickey ripete la stretta di mano storica al maestro, non Stokowski, ora, ma Verdi.

Topolino e il codice armonico è una perla che può appassionare i melomani e i musicisti, ma che riesce ad accompagnare chiunque nel mondo del Si bemolle e delle dispute filologiche con l'incalzare dell'avventura, la vivacità della sceneggiatura, lo splendore espressivo dei disegni (Mottura è davvero regista e maestro di montaggio e fotografia, oltre che artista figurativo d'alta caratura) e quella battuta di Pippo che rassicura e invita: non dite che qualcosa sia noioso se non la conoscete!

Se il gioiello di Artibani e Mottura rappresenta al meglio il filone storico del rapporto fra fumetto Disney e opera, il resto del volume si concentra sul fortunatissimo genere delle parodie che dal capostipite Inferno di Topolino – opera geniale del professor Guido Martina – arriva ai giorni nostri con Moby Dick (ancora Artibani e Mottura) e perfino una trilogia horror (Lo strano caso del Dottor Ratkyll e di Mister Hyde, Dracula di Bram Topker e Duckenstein di Mary Shelduck, sceneggiature di Bruno Enna e spettacolari disegni di Fabio Celoni). Ecco allora proprio Martina con Paper Dames e Celest'Aida (disegni spigolosetti di Pier Lorenzo De Vita, tutto un altro mondo rispetto a Mottura e Celoni), Paperin Caramba y Carmen Olé e Paperino e la piccola Butterfly, entrambi illustrati dal maestro Giovan Battista Carpi (per chi ama il fumetto, “Carpi: basta la parola”). Per Aida e Carmen si tratta di veri e propri divertissement che giocano sui libretti e ammiccano all'immaginario melodrammatico: Paper Damés promette “rivedrai le foreste imbalsamate” e Celest'Aida perplessa “perché? Voi imbalsamate anche le foreste?”; a Siviglia i traffici dei contrabbandieri hanno come quartier generale la bottega di un barbiere dove si canta “Sigaro qua, sigaro là”, il torero Gastonillo si domanda perché tutti gli ricordino cantando di stare attento, le guardie del carcere dove è segregato Paperin Caramba sono stremate dal suo continuo cantare “Il fiore che Carmen m'ha donato nella prigione ho conservato”. Più difficile è senz'altro il lavoro su Madama Butterfly, anche per un autore come Martina che non ha mai lesinato in efferatezze e spargimenti di sangue (sì, anche, se non soprattutto, a Paperopoli). Ma il Professore era pur sempre il Professore, ed ecco che se Paperina Butterfly non perde costanza nell'attesa, guadagna in spirito combattivo e voglia di rivalsa, mentre Nat Paperton (Paperino/Pinkerton) non sarà il superficiale predatore sessuale e fedifrago di Puccini, ma è comunque inaffidabile, attratto dalla giapponesina ma del tutto refrattario a ogni impegno: niente tragedia, ma nemmeno lieto fine per una variazione sul tema tutta da leggere. Un solo, ma non secondario, appunto: già è di per sé discutibile riscrivere i testi originari, quando poi lo si fa in un'antologia dedicata all'opera lirica e si eliminano le citazioni del libretto (Martina scrisse "piccina mogliettina", ma qui si legge "piccola mogliettina") non è una leggerezza che si mandi giàù facilmente.

Peccato che nel filone parodistico si manchino occasioni ghiotte che sembravano inevitabili, come la strepitosa Paperonbot, con Zio Paperone principe orientale scapolo incallito oggetto dei desideri di Brigittaf, o le irresistibile versioni in becco e piume della Teatralogia wagneriana (in Paperin Sigfrido e l'Oro del Reno chi può dimenticare il cavallo Grane “così chiamato per l'abitudine di piantare le stesse”, o le sorelle di Bunilde che accorrono cantando e commentano “mica male questo sound, potremmo chiamarlo Cavalcata delle Valchirie!”?). Invece si punta alla letteratura, sempre per la penna di Guido Martina, con disegni di Carpi e di un altro Maestro, Romano Scarpa. Paperino di Bergerac e L'amorosa istoria di Papero Meo e Gioietta Paperina sono senz'altro splendide parodie letterarie, storiche testimonianza dello spessore culturale autentico dei grandi autori Disney italiani, di un gusto non solo di divulgare, ma di interpretare, comunciare, giocare con contenuti elevati e accattivanti, citazioni dotte e voli ironici capaci di catturare il pubblico più ampio. Però, se il tema qui è l'opera lirica, l'attinenza è un po' forzata: Romeo e Giulietta ha avuto migliaia di versioni non solo musicali, e alla fine, se anche la vicenda è molto più antica, sempre a Shakespeare si rimonta e non a Gounod (o a Zandonai, o a Berlioz, o a Bellini...); dal Cyrano de Bergerac è tratta, è vero un'opera di Alfano, ma qual è la sua fortuna al di là dell'occasionale interessamento di qualche celebre tenore? Chi davvero conosce il Cyrano di Alfano? Chi mai (Martina compreso) pensa all'opera e non alla pièce teatrale? Allora, avrebbe avuto egual diritto di cittadinanza in un'antologia operistica Paperino e i dolori di un giovane papero (sceneggiatura di Osvaldo Pavese, disegni di Guido Scala), ché se Massenet non contende la palma a Goethe, di certo il suo Werther è opera ben altrimenti nota e frequentata rispetto al Cyrano.

Apparizione di compositori e viaggi nella storia della musica, parodie di grandi titoli operistici... mancherebbe un filone per rendere omaggio al rapporto strettissimo fra opera, paperi e topi: le storie ambientate intorno ai teatri o in cui compaiono citazioni di libretti. Nel Mistero dei Candelabri, il capolavoro in cui Carpi rilegge I Miserabili con Zio Paperone/Jean Valjeant, Paperino de Pontmercy cita spesso La bohème. Riletto oggi, con i teatri chiusi per pandemia, riproporre Nonna Papera e il fantasma dell'opera sarebbe stato addirittura commuovente nel momento in cui la cara Elvira Coot rimette piede in sala e ritrova l'odore di palchi e platea, ma poi la vicenda si sviluppa come un irresistibile piccolo giallo in cui la diva di turno parla solo in “librettese”. Oppure, ancora, una vecchia storia che lessi anni e anni fa e che vorrei tanto ritrovare, con Paperino che cerca in ogni modo di farsi scritturare dal nuovo vicino di casa, direttore artistico dell'Opera di Paperopoli. E non parliamo dell'attualità più stretta, con le avventure di spionaggio di Double Duck (alter ego sempre del nostro Paperino) alle prese con intrighi stretti intorno alle prime, in dicembre, delle opere Donny Johnny diretta dal maestro Badaboing e Beppina e Carlone, sul podio Felino Felinis: vi ricordano qualcuno?

Insomma, non si può avere tutto in un unico volumetto, ma il materiale per arricchire una collana su Topi, Paperi, opera e musica classica (non fatemi citare l'apparizione di Rachmaninov in un episodio della serie Pippo Reporter di Stefano Turconi e Teresa Radice! oppure le mostre annuali che il museo WOW! spazio fumetto organizza a Milano intorno alla prima della Scala) sarebbe infinito e meriterebbe davvero attenzione da parte di Panini e di altre case editrici legate a Disney Italia. Magari con un apparato critico un po' più ricco e approfondito, magari accogliendo contributi di firme di concreta sostanza, valore e prestigio nel mondo musicale. Qui abbiamo giusto, non senza refusi, brevi schede introduttive per ogni storia e, a firma di Francesco Gerbaldo, una sintetica panoramica su quel che andremo a leggere, ricordando il ruolo di Guido Martina nella storia delle parodie disneyane. L'autoreferenzialità vuota della prefazione di Beatrice Venezi consente di suggerire di saltare queste tre paginette senza rimpianti (se non quello di non aver visto sfruttar meglio questo spazio). Un tributo al marketing, ma per fortuna Topolino non ne ha bisogno, perché, al contrario, ha fondato la sua storia su qualità concreta (“solo chi non ha mai letto Topolino può usarlo come sinonimo di banalità e sciocchezza”, parafrasiamo volentieri). Passiamo pure a leggere Artibani e Martina, ad ammirare Mottura, Carpi e Scarpa, di quello val la pena.