L'eredità del Ghetto

 di Andrea R. G. Pedrotti

Musiche della tradizione ebraica a Venezia

le registrazioni di Leo Levi (1954-1959)

a cura di Piergabriele Mancuso

143 pagine con illustrazioni

2 CD allegati: 1 Venezia -  rito sefardita (durata totale 60:01); 2 Venezia - rito ashkenazita (durata totale 28:00)

ISBN 978-88-85571-11-2

Accademia Nazionale di Santa Cecilia e Squilibri editore, 2018

Leggi anche: Venezia, I 500 anni del Ghetto, 29/03/2016

Il Centro Nazionale Studi di Musica Popolare, oggi Archivi di Etnomusicologia dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, in collaborazione con la Comunità Ebraica di Venezia, la Regione Veneto, la Fondazione Ugo e Olga Levi di Venezia e il Medici Archive project di Firenze ha pubblicato, per la collana aEM, un'opera che racconta e documenta il fondamentale lavoro di Leo Levi, ossia la sistematica raccolta di registrazioni che eternassero il ricordo delle Musiche della tradizione ebraica a Venezia.

Questo volume, curato da Piergabrile Mancuso, si può dire agile per dimensioni, ma sicuramente assai intenso nei contenuti. La lettura necessita dei prerequisiti di cultura ebraica, storica e letteraria di discreto livello. Per necessità di esposizione sovente l'autore ricorre a un lessico tipico della liturgia e della cultura del popolo d'Israele, oltre ad alcuni riferimenti in alfabeto greco e alcune citazioni in lingua inglese. Giustamente non si sofferma, se non assai celermente, sulla spiegazione del lessico utilizzato o sulla storiografia citata: non avrebbe senso, perché distoglierebbe il lettore dal fulcro del testo, ossia il lavoro di Leo Levi.

È per l'autore impossibile non descrivere quale fosse l'ambiente che animava l'antica Isola del jeto, ove aveva sede una fonderia (jeto = getto > ghetto) e che avrebbe ospitato il più antico ghetto ebraico del mondo. Un ghetto che, a differenza di altri luoghi similari sparsi in giro per il mondo, non ha stravolto il suo aspetto e l'impronta urbanistica, permanendo quale centro pulsante della vita ebraica cittadina.

Venezia, come viene giustamente ricordato, dopo la caduta dell'impero romano divenne presto una delle città più importanti d'Europa, tale era l'importanza strategica che le consentiva la privilegiata nel controllo del mare Adriatico, non a caso chiamato, almeno fino al XIX, Golfo di Venezia. La Repubblica Serenissima era una società elitaria e, sostanzialmente oligarchica, ma piuttosto tollerante, ovviamente ragionando con i parametri dell'epoca, nonché punto d'incontro e di frontiera fra i saraceni e la cristianità. Gli Ebrei in città rappresentavano una minoranza utile come sintesi di pluralismo culturale ed erano in grado di confrontarsi con più realtà, se paragonati ai cristiani. Perciò gli Ebrei erano utili allo Stato, che non decise di cacciarli, ma di circoscriverli, nel 1516, in uno spazio definito: l'Isola del jeto.

Gli Ebrei erano una presenza costante già dal tardo '200, come ricorda Paolo Gnignati, presidente della comunità ebraica di Venezia, in un breve intervento. La Repubblica di San Marco non presentava un solo Minhag e, comunque, il Minhag Ashkenazita (inizialmente maggioritario) andò a unirsi a più minhaghim (il Minhag è, semplificato perché intraducibile, l'insieme delle norme, liturgie, tradizioni, attitudini, etc. che caratterizzarono le diverse comunità dell'ebraismo rabbinico), come quello Sefardita o quello italiano. Ogni Ebreo che giungesse a Venezia portava con sé un bagaglio culturale intriso degli echi dei luoghi che aveva conosciuto nel suo peregrinare successivo alla Diaspora.

Leo Levi raccolse le testimonianze musicali, che rischiavano di andare perdute, di tutto questo e le fece incidere. Sono documenti straordinari, perché dimostrano la potenzialità del multiculturalismo ebraico, capace di far sue persino melodie del protestantesimo e di altre confessioni religiose, fino a farle diventare parte integrante della propria cultura, arricchita e non tradita.

Citiamo una frase di Mancuso: “La musica è una straordinaria cartina di tornasole, manifestazione della temperie culturale, dei gusti e delle mode del tempo, disciplina artistica asemantica, aniconica, capace di superare barriere e steccati, di divenire - spesso anche senza che i suoi fruitori ne siano davvero coscienti- materia di fruizione comune.”

Illuminante anche l'osservazione di come il termine “Minhag” derivi dalla radice trilettera n-h-g, che indica, in lingua ebraica, un concetto di movimento, a riprova di come la cultura e la liturgia stessa non possano essere statiche e immutabili, ma si rinnovano, si completano, si arricchiscono nel tempo. Questa potrebbe essere una delle tante sintesi del pensiero ebraico, che ha in questo inarrestabile moto perpetuo dell'intelletto uno dei maggiori punti di forza.

Il testo, da leggere per intero nelle interessanti analisi sviluppate nel dettaglio riguardo il lavoro di Levi, è arricchito da due CD con i documenti audio del rito Ashkenazita e di quello Sefardita.