La Milano di Renata e Maria

 di Gina Guandalini

Francesco Canessa

C’eravamo tanto odiate

(Callas e Tebaldi, eterne rivali)

186 pagine

Edizioni La Conchiglia, Capri 2018

ISBN 978-8860911179

Francesco Canessa è nato a Capri, ciò che del resto spiega l’interesse della casa editrice La Conchiglia, la quale stampa solo libri che siano in qualche modo collegati alla sua mitica isola. Come cronista avventizio e sostituto, spesso pubblicato, ci dice spiritosamente, come “Milite Ignoto”, trascorse gli anni ’50 a Milano. In seguito è stato apprezzatissimo direttore artistico del San Carlo di Napoli dal 1982 al 2001, per passare poi allo Sferisterio di Macerata.

C’eravamo tanto odiate offre una visuale privilegiata, quella di chi c’era, era lì nei corridoi e nel loggione, nelle stagioni 1950-54 della Scala, quando regine di Milano erano ancora Renata e Maria insieme e il trono sembrava equamente condiviso. Canessa parte anche con un affascinante ritratto della Milano vitale e teatrale, anzi iperattiva, di quegli anni. Una città che finì per concentrarsi sulla guerra Tebaldi-Callas più che su quelle ciclistiche Binda-Guerra e Coppi-Bartali. Di queste emozioni, di questi aneddoti, di questa atmosfera l’esile libro è un brillante saggio. Chi racconta c’era, era proprio lì, in loggione, nei camerini, nel salotto milanese di Alessandro Cutolo, lo spiritoso e coltissimo professore napoletano, tebaldiano accanito, il cui programma televisivo Una risposta per voi tenne banco quasi sedici anni, cambiando e acculturando l’Italia.

Non va taciuto che alcuni svarioni inficiano in parte la credibilità della narrazione. La Tebaldi non cantò mai La Vestale (ma questo è un refuso per Fernando Cortez); di certo, all’inaugurazione scaligera del 7 dicembre 1953 non potevano esserci, come afferma Canessa, schiere di contestatori che lanciavano uova marce sulle signore che entravano alla Scala in lussuose pellicce: la contestazione è di quindici anni dopo. Il direttore Erich Kleiber non “registrò I vespri siciliani con la Callas nel ’54” (abbiamo naturalmente la registrazione dal vivo a Firenze nel ’51). La didascalia della foto che ritrae lo storico abbraccio tra Renata e Maria al Metropolitan nel 1968, afferma che mentre la Tebaldi cantava Adriana Lecouvreur la Callas insegnava alla Juilliard School: in realtà, in quell’ottobre non aveva all’orizzonte né film con Pasolini, né regie, né master classe, intraprese tre anni dopo, ma solo un vuoto personale e professionale angoscioso.

Infine nel libro è scritto che la Callas è morta il 26 settembre. Alla presentazione di Roma del 6 febbraio, alla Pontificia Accademia di Musica Sacra, qualche spettatore ha giustamente rettificato, ma l’autore ha personalmente insistito sulla data del 26 e il refuso è stato riprodotto da tutti i recensori del libro. Questi dettagli potevano essere corretti.

Testimone di primissima mano di quelle stagioni cruciali dell’operismo belcantista, Canessa, come molti partenopei, non negava di amare la voce e la personalità umana della Tebaldi sopra ogni cosa; ma con altrettanta efficacia descrive l’ammirazione e lo stupore per l’arte interpretativa della Callas in Norma, La traviata, Medea. Dopo la Lucia del gennaio 1954, Canessa ammette senza se e senza ma che a Milano la guerra è finita e la città ha messo in trono la Callas.

Il libro racconta mille fatti, dati e aneddoti di quelle stagioni: come fu possibile convincere Ghiringhelli, che odiava i soprani grassi, a concentrare i riflettori e le aspettative della Scala su quel soprano massiccio e dittatoriale; come i coniugi Meneghini – ma soprattutto il Commendatore – erano onnipresenti e aggressivi negli uffici e nei corridoi della Scala; a quale prova generale la Callas cantò a piena voce e a quale invece accennò soltanto. È descritto con vivezza il pandemonio scatenato dal pubblico intorno al teatro dopo la Medea< in quanto Canessa lo vide riparato dentro la cabina telefonica di via Filodrammatici. È segnalata l’ossessione dei rotocalchi per la nuova Callas magra e indossatrice: andando insieme da un parrucchiere di Milano all’inizio del ’54, la Tebaldi e la giovane moglie di Canessa altro non trovarono da leggere sui periodici a disposizione che servizi fotografici su Maria vestita da Biki.

L’autore cita continuamente la triade – o la Trimurti? - che reggeva la Scala negli anni ’50: Ghiringhelli, Oldani e Armani. Armani non era ovviamente il celeberrimo stilista, ma Franco Armani, che fu capo dell’ufficio stampa dal1946 al 1972, con la stessa longevità di Ghiringhelli. Deve essere stato effettivamente fondamentale nell’organizzare la carriera della Callas alla Scala, ma il nome di Armani non figura in nessun memoriale, biografia o autobiografia di artisti che abbiano lavorato nell’augusto teatro. Si deve essere grati a Canessa per aver resuscitato questa figura degli anni d’oro della Milano musicale, che deve avere saputo “tenersi defilato” dalle strategie e dagli intrighi di gestione, e che peraltro è l’autore di alcune compilazioni e storie del suo teatro.

Il libro contiene un inserto di foto, piccole e molto conosciute. C’eravamo tanto odiate vale soprattutto per la miniera di dettagli che Canessa è in grado di fornire su Renata Tebaldi e su Maria Callas. Gli ultimi anni delle due carriere non sono trascurati: l’autore ha disapprovato la scelta di ruoli pesanti come Gioconda e Minnie nel termine della parabola tebaldiana, ma deve anche riconoscere che rimanere ferma sui propri cavalli di battaglia, dove il paragone con gli anni d’oro è micidiale, non ha giovato alla Callas. Alcune meditate pagine sulla Norma del ’64 con la Cossotto sono molto interessanti perchè l’autore può confrontarla con quella scaligera del ’52.