Luce sul Mediterraneo

di Roberta Pedrotti

El Nour النور

musiche di Ravel, Berlioz, Bizet, Gaubert, Garcia Lorca, Obrados, Serrano, Falla, Abd al-Rahīm, Hankash, Darwish, Rahbani, Hosni

soprano Fatma Said

pianoforte Malcolm Martineau

chitarra Rafael Aguirre

ney Burcu Karadağ

pianoforte Tim Allhoff, percussioni Itamar Doari, contrabbasso Henning Sieverts, kanun Tamer Pinarbaşi

vision string quartett: violini Jakob Encke e Daniel Stoll, viola Sander Stuard, violoncello Leonard Disselhorst

CD Warner Classics 0190295233600, 2020

Fatma Said si era fatta notare rapidamente fra gli allievi dell'Accademia della Scala, conquistando rapidamente parti e produzioni di crescente importanza. Nel 2018 è Amour nell'Orphée di Gluck e riesce imporsi all'attenzione per la qualità della voce e la bellezza del fraseggio (e l'ottimo francese) anche se nel ruolo eponimo c'è un divo come Juan Diego Florez e gli altri personaggi rischiano di trovarsi in ombra. Insomma, fra tanti bravi cantanti, Fatma Said sembrava subito avere quel qualcosa in più che fa la differenza. Quel qualcosa che diventa la firma anche del suo album d'esordio discografico.

Non ci sarebbe stato nulla di strano se avesse presentato come biglietto da visita una raccolta di arie mozartiane, per esempio. Per di più è una bella ragazza, vanta studi solidi e curriculum di tutto rispetto, le sue origini egiziane offrirebbero a un ufficio marketing la facile carta dell'esotismo, di un paese ben presente nell'immaginario e nella storia dell'opera ma che ha dato i natali a pochissimi cantanti. Troppo facile, scontato. Fatma Said vuol dire la sua e crea un percorso attraverso il Mediterraneo, costeggia temi popolari, mette in relazione Ravel, Berlioz, Bizet e Gaubert con Falla, Serrano, Obradors e Garcia Lorca per arrivare al repertorio arabo del XX secolo, a pagine di Abd al-Rahīm, Hankash, Darwish, Hosni (questi, in realtà, di cinque anni più anziano di Ravel) e del tuttora vivente Rahbani. Non si tratta di accostamenti a effetto, ma di un intreccio ben studiato di riferimenti, suggestioni, rapporti, di sostrati comuni antichi che emergono in temi popolari raccontando storie di popoli in movimento, di fascinazioni esotiche, di studio di altri universi sonori (Said garantisce la sorprendente padronanza delle scale orientali da parte di Bizet), ma anche di prossimità inattese. La componente strumentale alterna organici e timbri ma senza rigide connotazioni nazionali: il pianoforte di Malcolm Martineau si presta ai francesi, ma anche all'egiziano Gamal Abdel-Rahim, la chitarra di Rafael Aguirre accompagna come previsto i brani spagnoli, ma il flauto ney di Burcu Karadağ non serve solo a Dawood Hosni (insieme con un quartetto d'archi tradizionale), ma sostituisce il corrispettivo occidentale con splendidi risultati in Ravel e Bizet. E per quattro pagine d'area araba abbiamo anche un ensemble composito, con pianoforte, percussioni, contrabbasso e kanun (o qanun, strumento a corde mediorientale). La stessa Fatma Said, infine, suona le castagnette nella brillante Zaïde di Berlioz. 

I testi parlano di viaggi, di nostalgia e di ospitalità; non necessariamente con malinconia, anzi, anche con saporita vivacità. E fra questi viaggi, la storia di una famiglia di profughi, in fuga, colti in un momento di riposo, il padre appoggiato su una pietra, la madre con il figlio neonato fra le braccia. Il piccolo si chiama Jesus, il padre Joseph, la madre è la Vierge; e non importa da dove veniamo, che lingua parliamo, in quale dio crediamo o non crediamo per non provare umana fratellanza. Le repos en Egypte è una mélodie di Philippe Gaubert (1879-1941) mai incisa prima e Alexandre Dratwicki, direttore artistico del Palazzetto Bru Zane, rimarca l'importanza dell'ascolto in un paragrafetto dedicato in calce alle note di Jon Tolansky e Fatma Said.

Tanta, si vede, è la carne al fuoco dal punto di vista concettuale, musicale e ideale, fra ricerca sonora e principi etici, che quasi quasi si potrebbe temere di perdere di vista la qualità dell'esecuzione, o che il progetto personale dell'artista offuschi un po' la valutazione delle sue qualità. Ma anche questi son pensieri che si sciolgono preso, come passano le nuvole sul mare: anzi, in un repertorio tanto eterogeneo - le ultime tracce di autori arabi ed egiziani contengono anche sfumature jazz - colpisce proprio la musicalità duttile che si adatta senza forzature o impacci al carattere di ogni pagina. La bontà della tecnica le consente di esibire l'emissione lirica classica, ma anche di assottigliarla, alleggerirla, rimodularla senza perdere mai qualità del suono e omogeneità del timbro. Passa disinvolta dalla fonetica madrelingua a quella francese o spagnola, fraseggia con gusto, spirito, mordente, sempre cogliendo la cifra adatta, sia che si tratti di zarzuela ("Marinela, Marinela" da La cancion del olvido di Serrano), sia che si tratti della sofisticate mélodie, di ritrattini esuberanti, di temi tradizionali o di musica classica mediorientale contemporanea o quasi. 

Insomma, se nell'Accademia della Scala avevamo riconosciuto un'ottima cantante e colto i segnali di una marcia in più, in questo debutto discografico si riconoscono i crismi dell'artista oltre la cantante e oltre al personaggio. 

Nour in arabo significa luce. Speriamo che sia l'inizio di un avvenire luminoso.