Senso e contesto

di Roberta Pedrotti

Busoni, Carignani, Chopin, Ginzburg, Liszt, Thalberg, Wittgenstein

trascrizioni e reminiscenze da opere di Bellini, Donizetti, Puccini, Rossini e Verdi

pianoforte Vanessa Benelli Mosell

registrazione effettuata a Prato, 12-14 agosto 2020

CD DECCA 4855290, 2020

Casta diva, ammicca il titolo, con l'artista in bianco su fondo candido (quando finirà questa moda delle foto a piedi scalzi e abiti eleganti? Questione per grafici e fotografi, ovviamente, non per musicisti). In realtà, quando a poco più di trent'anni si è pianiste e direttrici d'orchestra specializzate in Stockhausen e dintorni, con una discografia che non trascura i grandi classici ma sempre muovendosi dal tardo Ottocento in poi, di divismo di superficie non si può parlare. Anzi, un programma eterogeneo dedicato al tema accattivante delle trascrizioni e reminiscenze d'opera sembra quasi una concessione popolare rispetto ai percorsi abituali. Invece no, anzi, l'energia asciutta, l'analisi lucida, l'astrazione oggettiva che guarda oltre al contesto del materiale musicale sono le qualità portate in dote da chi è abituata a frequentare le partiture più recenti e giovano in modo particolare a un repertorio ancora negletto, spesso ridotto a divertissement o esercizio virtuosistico. Ovvio: nel mare magnum della musica operistica ripensata per pianoforte si trova un po' di tutto, essendo genere assai fruttuoso sul piano commerciale, tuttavia in questa varietà non mancano elementi di grande interesse anche estetico. Abbiamo trascrizioni quasi letterali, come quelle che Carlo Carignani fece dalle arie dell'amico e quasi coetaneo Puccini, abbiamo pagine da una suite d'autore, di fatto raccolta autonoma, di Busoni da Turandot (e fa sempre una certa impressione, abituati ad associazioni sonore univoche, sentire il Rinascimento inglese di Greensleaves collegato all'esotismo settecentesco di Gozzi riletto in temperise espressionista), abbiamo gli esercizi per la mano sinistra di Wittgenstein su Madama Butterfly, l'esuberante Rossini secondo Grigory Ginzburg (1904-1961), i classici ottocenteschi di Liszt, Thalberg e Chopin (a ricordarci che sarebbe opportuno ascoltare più spesso e per intero quella meravigliosa raccolta collettiva che è l'Hexameron) da Bellini, Donizetti, Verdi e, ancora, Rossini.

Abbiamo diversi approcci, diversi scopi, stili diversi, a dire che si può far cantare il pianoforte, si può rivivere in salotto l'emozione del teatro, ma anche che la musica del teatro può essere scomposta in nuove forme e drammaturgie, che la tentazione del canto può vivere in maniere inaspettate, negando lo slancio quasi istintivo della voce (alzi la mano chi non ha mai cantaticchiato fra sé ascoltando una trascrizione pianistica!), ma scoprendo nuove vie insite tuttavia in quella musica. E salta in mente il mito romantico semplicistico dell'unicità dell'opera, dell'indissolubile relazione fra significante e significato, già scardinato dalla pratica dell'autoimprestito o della citazione, diffusissima in ogni epoca e pure troppo spesso sbrigativamente bollata come riciclo, esperdiente, necessità pratica. Tutt'altro, ci dice un pensiero non solo d'avanguardia sulla semiotica dell'arte, con almeno Hanslick e Carpani ad alzar la mano e farsi sentire ben prima delle poetiche del Novecento. Per entrare, allora, non solo nel virtuosismo – che pure c'è – o nello slancio cantabile – che non manca – lo sguardo di una pianista avvezza a linguaggi sperimentali e alle rivoluzioni estetiche dell'ultimo secolo è particolarmente efficace. Così, il virtuosismo diventa grimaldello per penetrare nei menadri della costruzione musicale, il cantabile una riflessione sull'idiomaticità dello strumento, la trascrizione stessa un modo per ripensare la creazione e il suo significato, sia quando Chopin trasfigura “Suoni la tromba e intrepido”, sia quando Liszt riassume Norma riassemblandone i temi in una nuova drammaturgia.

Peccato solo che a fronte delle accurate note di copertina di Massimo Rolando Zegna l'elenco delle tracce non venga a capo dell'eterogeneità del programma, mescolando autori dell'opera teatrale e della versione pianistica, riportando i titoli in modo non uniforme (Il barbiere di Siviglia orbato dell'articolo, Guglielmo e non Guillaume Tell, Gioacchino e non Gioachino Rossini, mentre Madame e non Madama Butterfly viene già dall'edizione a stampa degli studi di Wittgenstein).

Casta diva, dunque? Sì, la melodia per eccellenza di Bellini per la musa Giuditta Pasta, la musica nata per il teatro, diva alla ribalta ma anche idea divina e inafferrabile.