Il tenore di Donizetti

di Roberta Pedrotti

Signor Gaetano
arie da Betly, Il giovedì grasso, L'elisir d'amore, Don Pasquale, Maria de Rudenz, Caterina Cornaro, Marino Faliero, Rosmonda d'Inghilterra
Javier Camarena tenore
Riccardo Frizza direttore
orchestra Gli Originali
coro Donizetti Opera diretto da Fabio Tartari
con la partecipazione di Edoardo Milletti (tenore) e Alessia Pintossi (soprano)
CD Pentatone 5186886, 2022

Discografia e teatro possono anche andare di pari passo. Mentre Javier Camarena trionfava a Bergamo con La favorite sotto la direzione di Riccardo Frizza [Bergamo, La favorite, 18/11/2022] usciva anche il suo album donizettiano sotto la bacchetta dello stesso maestro bresciano. Un'appendice vera e propria del festival orobico, insomma, che mette al centro Donizetti anche quando coinvolge i divi: anzi, verrebbe da dire soprattutto con i divi, ché i grandi artisti sono fondamentali per rendere onore alla musica e i grandi sono quelli che si mettono al servizio dell'arte, non di sé stessi.

In questo senso, Javier Camarena è senz'altro un grandissimo, che porta in dote comunicativa, musicalità, tecnica e natura per l'autore, per il pubblico, con i colleghi. Non c'è sua esibizione che non trasudi rispetto profondo per chi lo ascolta, per chi fa musica e teatro con lui, per chi ha scritto note e parole. Così, anche questo CD non è solo un gran bel sentire, ma è anche un autentico trattato pratico sul tenore donizettiano nei registri buffo e brillante, di mezzo carattere e serio, fra l'entusiasmo, l'elegia, l'amore e la morte.

Camarena possiede una voce che un tempo si sarebbe detta “simpatica”, accattivante e, in senso etimologico, capace di trasmettere emozioni, di porsi in sintonia con l'ascoltatore. È di per sé fresca, luminosa, adatta alla virile gioventù dei personaggi che interpreta e, nel modo di porgere, conosce il segreto dell'autentica semplicità. Lo si avverte in una “Furtiva lagrima” davvero disarmante nella sua sincerità, nell'esprimere la purezza dell'animo di un Nemorino che non è affatto uno sciocco. E, per contro, quando finalmente lo si ascolta nel Marino Faliero cui aveva dovuto rinunciare nel 2020 per indisposizione, abbiamo la misura di cosa sia un eroe tragico e romantico in Donizetti. Camarena, infatti, non incide la cavatina “Di mia patria, ben soggiorno”, discograficamente più fortunata, ma l'aria del secondo atto “Io ti veggio, or vegli e tremi”. Non il momento della partenza, dell'addio alla patria e all'amata tanto lodato da Mazzini, ma quello che precede il duetto fatale con Steno: l'addio vero ed estremo alla vita, con il drammatico recitativo presso le tombe degli avi, l'ispiratissimo cantabile e l'ardente cabaletta a suggellare il nobile intento di punire chi ha calunniato l'onore di Elena. Le esigenze espressive si sposano a una tessitura acutissima e qui Camarena dimostra quale sia la differenza fra una generica facilità nell'infilare acuti e sovracuti e l'arte di cantare ai vertici del pentagramma mantenendo sempre il controllo del legato, dell'articolazione, dell'incisività della parola. In confronto sembra quasi comoda la corrispettiva scena del morituro Roberto Devereux, se non fosse che Camarena affronta tutto il programma con una naturalezza che fa dimenticare le difficoltà e si concentra sulla cifra di ogni brano, per entrare nel cuore della situazione senza schemi e stereotipi. Il nipote del doge non è il conte di Essex, il nipote di Pasquale da Corneto non è il contadino innamorato di Adina: c'è una retorica, uno stile comune, ma c'è la consapevolezza che questi sono strumenti, e non fine, della drammaturgia musicale. E, dunque, potremmo facilmente compiacerci nel passare in rassegna ogni aria, sottolineare come Camarena esplori il linguaggio dell'autore senza identificarsi con un singolo interprete del passato – il che sarebbe pure esercizio rispettabilissimo e degno d'interesse – per portare sé stesso e la propria personalità in un panorama donizettiano il più possibile ampio e completo. Potremmo, sì, ma preferiamo invitare direttamente all'ascolto di un CD degno di un festival, che offre il meglio del panorama tenorile attuale e si pone con esso al servizio dell'autore. Un servizio che significa anche ricerca, non comoda riproposizione del già noto: “Una furtiva lagrima” e “Cercherò lontana terra” stanno tranquillamente al fianco e alla pari con le arie dalla Betly, dal Giovedì grasso, da Caterina Cornaro e Rosmonda d'Inghilterra (e ci punge vaghezza di ascoltare prima o poi Camarena almeno nella grande aria di Seide da Alina, regina di Golconda). Ammiriamo così, nella figura del tenore donizettiano, la capacità di declinare le corde del buffo, dell'amoroso, dell'eroico e del tragico sviluppando un linguaggio specifico che dai modelli prerossiniani rappresentati da Mayr si appropria della sintesi formale rossiniana per approdare a una nuova identità nel respiro della melodia, nella scansione della parola, in cabalette più snelle e baldanzose e meno fiorite. Nasce qui il tenore romantico ottocentesco, nobile, tormentato, vero ma non banalmente testosteronico e ardimentoso.

In tale percorso, Riccardo Frizza, direttore musicale del Festival da quando la direzione musicale di Francesco Micheli ha lanciato il nuovo assetto, si riconferma guida esperta e appassionata di questo repertorio, in ottima sintonia con Camarena. Anche i complessi del Festival offrono buona prova di sé (e non è scontato: per quanto sia pensiero duro a morire, nel belcanto l'orchestra non è solo accompagnamento passivo in secondo piano). Molto bene pure i pertichini del tenore Edoardo Milletti e del soprano Alessia Pintossi. Da leggere, con le note personali degli artisti, il breve saggio di Paolo Fabbri.