Mistero glorioso

di Roberta Pedrotti

G. Rossini
Messa di Gloria
soprano Eleonora Buratto
contralto Teresa Iervolino
tenori Lawrence Brownlee e Michael Spyres
basso Carlo Lepore
direttore Antonio Pappano
orchestra e coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
CD Warner Classics 5954197234521, 2022

Stabat Mater e Petite messe solennelle, Petite messe solennelle e Stabat Mater. Quando si parla della produzione sacra di Rossini è difficile vedere altro nei cartelloni e nelle sale da concerto. La cosa, però, non stupisce, ché le due partiture risalenti all'ultima fase creativa del Pesarese occupano una posizione di netta supremazia rispetto alle pur presenti pagine cameristica d'ispirazione religiosa o agli esercizi giovanili nel genere. E, tuttavia, fra i due estremi si trova una composizione d'indubbio peso, tale da esigere un impegno agli esecutori che giustifica la rarità d'ascolto.

Non è frequente ascoltare la Messa di Gloria che Rossini presentò a Napoli nel 1820, anche perché esige ben cinque solisti di vaglia: un soprano, un contralto, due tenori (allora furono un giovane Giovan Battista Rubini e Giuseppe Ciccimarra, validissimo tenore secondo in tante prime rossiniane: Iago, Aronne, Pilade, Condulmiero...), un basso.

Per fortuna, anche sull'onda delle celebrazioni rossiniane del 2018, la Messa di Gloria sembra ritrovare qualche occasione di ripresa, come questa dell'Accademia di Santa Cecilia prontamente raccolta in CD sotto la guida di Antonio Pappano.

Il cast radunato per l'occasione è di altissimo profilo, degno del prestigio dell'istituzione e delle esigenze della partitura. Eleonora Buratto è una virtuosa ammaliante nei suoi mezzi rigogliosi, tanto più che la ricchezza radiosa della voce non è mai d'intoppo alla duttilità dell'emissione belcantista. Teresa Iervolino è un cameo prezioso nella parte del contralto a cui Rossini non offre grandi soddisfazioni, se non quelli che la classe di una musicista possono rivelare. Quella fra Lawrence Brownlee e Michael Spyres è una gara di bravura tutta al servizio della musica: splendidi artisti, mai autoreferenziali, perfettamente complementari per timbro, in totale sintonia per gusto e musicalità. Quinto fra cotanto senno, Carlo Lepore non è da meno nei colleghi nel superare disinvolto le asperità della scrittura e nel rendere con la giusta misura le peculiarità di un testo coltissimo nella concezione, ma pure caratterizzato da una spiccata, appariscente teatralità. Questa non si esprime solo nella quantità di temi familiari al rossiniano come autoimprestiti dal passato o prefigurazioni di composizioni future, ma anche nel carattere spesso esuberante della linea vocale e strumentale, in veri e propri “gesti” sonori che toccano anche – ed è il caso del Quoniam affidato al basso – stilemi tipici dell'opera buffa, che in realtà esprimono la brillantezza di un bello ideale sublimato come espressione spirituale. Lo stesso trattamento di tematico rivela sia la spregiudicatezza nei confronti della materia musicale come, appunto, puro materiale di costruzione che assume un significato nell'elaborazione e nella contestualizzazione, sia la complessità e la varietà del contenuto. Antonio Pappano, forte dello smalto fulgido dei complessi di Santa Cecilia come della qualità teatralissima delle voci in campo, può esprimere questa appariscente vitalità senza lasciarsi andare in effetti di superficie, anzi concedendosi un contegno che lascia ben intendere anche le strutture severe, i richiami d'alta scuola, la cura ispirata sia alla tradizione del mottetto solistico sia alla dottrina del contrappunto. Lo stesso sfolgorante rigore è ben condiviso dai solisti, con la loro misurata incisività espressiva, che non dimentica mai che di musica sacra, di Messa si tratta.