L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Una spergiura sacerdotessa

di Giuseppe Guggino

Vincenzo Bellini
Norma
Rebeka, Deshayes, Ganci, Mimika
direttore John Fiore
Madrid, Teatro Real, agosto 2022
3CD Prima Classic PRIMA022

A distanza di un decennio dall’ultima Norma discografica – quella incisa da Cecilia Bartoli per Decca fra il 2011 e il 2013 – il titolo belliniano dalla discografia più feconda torna in sala di incisione per una nuova edizione con protagonista Marina Rebeka, per la label Prima Classic, di cui ella stessa è produttrice assieme al consorte, l’ingegnere del suono Edgardo Vertanessian. Il primo elemento di interesse del prodotto discografico è l’adozione della nuova edizione critica curata da Roger Parker (di ormai imminente pubblicazione per Ricordi), che firma anche il saggio contenuto nel booklet accluso, stampato in ben cinque lingue (oltre che disponibile on line https://primaclassic.com/wp-content/uploads/2024/07/NORMA-Digital-Booklet.pdf), nel quale si chiariscono le ormai note ben questioni testuali del capolavoro belliniano. Nell’esecuzione le opzioni rese possibili dall’edizione critica sono praticate all’insegna della più ampia integralità possibile; cosicché nell’articolato terzetto che conclude il primo atto è possibile ascoltare sia il da capo di “Ah sì, fa core e abbracciami”, sia la strofa di Adalgisa nella stretta finale (a tutto vantaggio delle proporzioni formali del numero), la ripetizione del preludio del secondo atto con celli e flauto, nonché la coda con l’arpa di “Guerra, guerra!” a detrimento di una ripetizione interna di venticinque battute. La fattura editoriale del box cartonato dalla grafica si pone poi in continuità con quella dell’edizione discografica del Pirata del 2020, di cui ci occupammo all’uscita sul mercato (https://www.apemusicale.it/joomla/https://www.apemusicale.it/joomla//it/recensioni/15-cd/13418-cd-bellini-il-pirata).

L’altro elemento di interesse dell’incisione è la testimonianza discografica di Marina Rebeka, che coi panni della spergiura sacerdotessa vanta una ormai collaudata frequentazione, dal debutto triestino del 2016, avendo poi tenuto a battesimo l’edizione di Parker in teatro a Catania nel 2021, fino al cimento di questi giorni, nei quali è onerata e onorata di riportare in scena il titolo monstre al Teatro Alla Scala, dopo ben quarantotto anni di assenza. L’incisione, realizzata qualche mese dopo quella dell’altra spergiura sacerdotessa di Spontini (rilasciata però sul mercato con maggior sollecitudine da Palazzetto Bru Zane) vede il soprano lettone pienamente consapevole della caratura drammatica del personaggio, forte di una dizione notevolmente migliorata rispetto alle recite catanesi. Se i trilli sono sovente carenti di mordente, se l’omogeneità della gamma talvolta risulta sacrificata alla copertura della tessitura, beneficiando in “Casta diva” dell’originaria tonalità di sol maggiore, il risultato di insieme è comunque più che plausibile, improntato ad un’apprezzabile consapevolezza stilistica, coniugata ad una puntigliosa adesione alla lezione scritta. Le si appaia in tutto l’Adalgisa di Karine Deshayes se non fosse che la pasta timbrica, di per sé non di prim’ordine, appare fin troppo poco differenziata da quella di Norma, con il conseguente appiattimento della resa dei duetti, tanto nel primo quanto nel secondo atto.

Tutto il resto è purtroppo caratterizzato da una cifra di massima genericità, a cominciare dal Pollione di Luciano Ganci, carente di forbitezza belcantistica senza che ciò sia compensato dallo squillo, invero latitante, fino all’Oroveso poco autorevole di Marko Mimica, concentrato ad attestarsi su un livello di correttezza, passando per i funzionali Anta Jankovska e Gustavo De Gennaro, rispettivamente Clotilde e Flavio.

Altra occasione mancata dell’incisione è la direzione poco più che scrupolosa di John Fiore alla testa di Orquesta e Coro del Teatro Real di Madrid, non foss’altro perché la disponibilità di un nuovo testo critico avrebbe richiesto se non una formazione storicamente informata, quantomeno un suono meno anonimo e di maggiore smalto. I complessi madrileni invece si disimpegnano con professionismo, fra qualche ruvidezza nel coro istruito da Andrés Máspero e qualche clangore di troppo, senza che la lettura li coinvolga in particolari guizzi interpretativi.

Al netto di qualche approssimazione di troppo, non ultima la mancata esplicitazione dei numeri chiusi, tanto nella track list quanto nel libretto bilingue incluso nel booklet, il prodotto rimane comunque un risultato di apprezzabile sforzo produttivo applicato al teatro di belcanto italiano ottocentesco, ormai massimamente relegato alla contingenza della più sostenibile ripresa dal vivo.

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