La querelle des anciens et des modernes

 di Roberta Pedrotti

Veracini, Hasse, Gluck, Vivaldi, Bononcini, Vinci, Sarro, Porta, Caldara

Baroque Divas

mezzosoprani Romina Basso, Vivica Genaux, Mary-Ellen Nesi

contralto Sonia Prina

ensemble Armonia Atenea

direttore George Petrou

CD Decca 478 8099, 2015

La storia del canto è anche la storia del continuo avvicendarsi di mode, gusti e stili, un continuo dibattere fra paladini dell'arte antica e alfieri del nuovo, fra laudatio temporis actis, hic et nunc e propulsione verso il futuro. La distanza nel tempo può offuscare la visione, mescolare e raggruppare ai nostri occhi ciò che ai contemporanei pareva nettamente distinto, rinfocolando e riproponendo così la vecchia polemica come fosse sempre nuova.

Così, quando si parla di canto barocco fuori dalla cerchia specialistica, si finisce sovente a inglobare in un'unica definizione quasi due secoli, sotto il comun denominatore dello spericolato virtuosismo, del trionfo della spettacolare vocalità e dei divi castrati. E, in questa prospettiva, resterà comunque godibile anche l'ascolto di questo Cd, che inanella arie per lo più bellissime cantate generalmente benissimo.

Tuttavia, basta soffermarsi un istante sulle note di copertina di Giovanni Andrea Sechi per chiarire a ogni ascoltatore come questa dozzina di arie suddivise fra quattro specialiste del calibro di Vivica Genaux, Sonia Prina, Mary-Ellen Nesi e Romina Basso rappresenti anche il mosaico degli avvicendamenti stilistici nel corso del XVIII secolo, da uno stile “antico” nobile e compassato, basato sullo stretto legame fra testo e musica, su una vocalizzazione minuziosamente articolata nella parola, al trionfo dell'estetica estrema di Farinelli e Faustina Bordoni, a un perfezionamento tecnico che poneva il cantante al centro del processo creativo e spostava l'attenzione estetica sull'espressione vocale portata alle estreme conseguenze. Non meno espressivo, non mero artificio pirotecnico, se non nelle sue forme deteriori e meno ispirate, bensì un diverso modo di sbalzare gli affetti, un codice estetico che si muove, ed esprime il dramma, nella sfida ai limiti della voce umana. Per reazione a uno splendore realmente barocco nell'arditezza delle soluzioni, al rischio di un esercizio fine a se stesso, ecco che sul declinare del secolo la declamazione torna a trionfare, con la ricerca del patetico, la limitazione del puro virtuosismo: in parte un ritorno allo stile antico, in parte naturale avvicendamento storico di azioni e reazioni, corsi e ricorsi, cicli e mutamenti.

L'intreccio di questi stili vocali, che non si susseguono ordinatamente con confini cronologici rigorosi, ma si accavallano e s'intersecano nell'arco di pochi decenni, è qui ben rappresentato, per il fronte "moderno", da due arie composte per Farinelli, di cui una, “Amor, dover, rispetto” da Adriano in Siria di Veracini, è un'apoteosi vera e propria della sfida barocca all'impossibile per voce umana, illustrazione sonora estrema di quella lacerazione lamentata nei versi di Metastasio. Per il più celebre dei castrati fu scritta anche “Ti parli nel seno” dal Siface di Porta (qui nella revisione di Sellitto per il Caffariello), pezzo meno ardito ma dal carattere galante e accattivante perfettamente alla moda, così come la fittissima “Spera che questo cor” scritta da Bononcini, nell'Astianatte, per la giovane Faustina Bordoni, la vera e propria fondatrice dello stile moderno raccolto da Farinelli. Ai contralti Nicola Grimaldi e Giovan Battista Minelli, al soprano Giovanni Ossi spetta di rappresentare i divi dello stile antico, per esempio con l'intensissima articolazione del doloroso “Pallido il sole” dall'Artaserse di Hasse o il vigore altero di “Ti calpesto o crudo amore” dall'Astianatte di Vinci, scritte per il primo, o, ancora, con “Solca il mar e nel periglio” dal Tigrane di Hasse, per Minelli, o la patetica “Vedro con mio diletto” dal Giustino di Vivaldi, per Ossi, cui si aggiunge la graziosissima “Daranno all'ira mia” dall'Euristeo di Caldara, scritto per un cast aristocratico in cui l'aria era appannaggio della contessa Giuditta Starhemberg. Tutti brani, si badi bene, che non rinnegano il virtuosismo: al contrario, ma lo iscrivono in una misura che non pregiudica mai il primato dell'intellegibilità del testo, che predilige fitte sequenze di terzine, per esempio, a salti spericolati e figurazioni fantasiose. Ben diverso sarà il ritorno all'ordine della fine del secolo, che spazierà da un'articolazione quasi da scolpito recitar cantando nella tragédie lyrique di Gluck (“Ma fille... Jupiter, lance ta foudre!” dall'Iphigénie en Aulide) ai cantabili elegantissimi, forbiti e galanteggianti di Hasse (“Fra quest'ombre” da Solimano) e, ancora di Gluck (“Le belle immagini d'un dolce amore” da Paride ed Elena).

Le primedonne, nella quasi totalità dei casi chiamate a vestire i panni di primi uomini, si ripartiscono equamente il programma, ciascuna con le proprie peculiarità. Sicuramente le armi migliori di Vivica Genaux si affilano sfidando l'ombra di Farinelli nei folli nove minuti e ventisei secondi di “Amor, dover, rispetto”, ma dimostra anche la sua sensibilità e la sua confidenza con uno stile patetico meno esuberante nel Solimano di Hasse e nel Paride ed Elena di Gluck. Viceversa Sonia Prina impone il suo magistero sfoggiando il suo bel timbro contraltile senza ricercare contrasti e spericolatezze, bensì una squisita articolazione retorica e musicale dello sile antico dell'Artaserse e del Tigrane di Hasse, dell'Astianatte di Vinci, alla cui coloratura imprime una composta autorevolezza. Qualità che, con diverse personalità, condivide con Romina Basso, anch'essa naturalmente portata, se non altro come madrelingua, a cogliere il sapore poetico antico, con Vivaldi, Sarro e Caldara, cui presta una voce mezzosopranile fluida e duttile.

Il timbro di Mary-Ellen Nesi è un tantino grigio, il suo canto più secco, rispetto alle colleghe, ma ciò le consente una tagliente efficacia nella dolorosa e cupa invettiva della Clytemnestre di Gluck, nonché di mettere in luce una particolare attenzione espressiva e di stupire perfino con improvvise morbidezze e ben studiate inflessioni che rendono piena giustizia alla pagina farinelliana dal Siface e a quella di Bononcini per Faustina. Anzi, proprio nelle differenze d'indole, timbro, senso della parola sta il valore aggiunto del CD, che rievoca il composito mondo del belcanto settecentesco riverberandolo nel composito mondo di specialiste odierne ben distinte e riconoscibili anche nel rapportarsi a diversi stili, gusti e mode. Si provi ad ascoltare con attenzione ma senza leggere i nomi di artiste, autori e arie: non sarà difficile orientarsi ugualmente fra antico, moderno e ritorno dell'antico, fra Genaux, Nesi, Basso, Prina. Segno inequivocabile che si è centrato un bersaglio che va ben oltre la piacevole raccolta di pagine 'effetto, godibili e ben eseguite.

 

George Petrou dirige l'ensemble di strumenti d'epoca Armonia Atenea con gusto e piacevole versatilità, la registrazione è ottima, come giustamente ci si aspetterebbe dalla Decca, e la copertina, che ricorda alla lontana, e simpaticamente, la grafica dell'ormai storica serie tv Desperate Housewives.