Il chiostro e la corona

 di Roberta Pedrotti

Alessandro Stradella

Santa Editta. Verdine e Monaca, Regina d'Inghilterra

Cangemi, Aspromonte, Di Carlo, Martellacci, Guimaraes, Foresti

Ensemble Mare Nostrum

direttore Andrea De Carlo

Registrato a Nepi (VT), 31 agosto-3 settembre 2015

CD ARCANA A 396, 2016

La scena invisibile di Santa Editta, Vergine e Monaca, Regina d'Inghilterra, oratorio italiano di Alessandro Stradella su testo di Lelio Orsini, non presuppone alcuna azione al di fuori della coscienza della protagonista. Questa, figura poco nota nel pantheon cattolico e protagonista più unica che rara nella letteratura oratoriale, si suppone sia stata scelta per corroborare, con il suo esempio, l'opposizione – vana, infine – della Duchessa reggente di Modena, Laura Martinozzi, alle nozze della figlia Maria con Giacomo II Stuart, caldeggiate da Luigi XIV di Francia contro la vocazione religiosa della duchessina.

Se, infine, papa Clemente X persuase Maria d'Este della maggiore utilità per il cattolicesimo d'una regina in terra protestante che d'una suora in Italia, nel decimo secolo Edith di Wilton, erede di re Edgardo il Pacifico, riuscì a mantenersi ben lontana dal trono, onorata badessa nello stesso convento dove era cresciuta assieme alla madre (pare che quest'ultima avesse già preso i voti quando il sovrano, pure poi elevato agli altari, la strappò, seppur per poco, al chiostro). L'oratorio ne enfatizza l'aspetto ascetico, la mortificazione d'ogni mondano allettamento in un inno alla caducità e inconsistenza d'ogni piacere e di ogni gloria terrena sviluppato attraverso il confronto di Editta con le personificazioni di Senso, Bellezza, Grandezza, Nobiltà e Umiltà. Quella che potrebbe apparire una allegoria erudita e statica, in cui la Santa confuta una a una le ragioni che si possono opporre alla sua vocazione, acquista però una sua specifica teatralità nell'attribuzione dei registri alle figure simboliche secondo uno schema ascensionale che rispecchia, con fisica concretezza, l'associazione delle voci della polifonia agli elementi alchemici, in voga nella teoria musicale fra XVI e XVII secolo.

Così il Senso, l'elemento più terreno, irrazionale e insidioso sarà basso e la Bellezza, non meno materiale ma nella quale può pur sempre albergare una scintilla emanazione della perfezione divina, s'innalza leggermente al registro tenorile (associato tradizionalmente alla mobilità ambigua dell'Acqua). Il contralto, che la trattatistica suole collegare all'Aria, sarà invece l'incarnazione della Grandezza, che può degenerare in superbia, ma anche innalzare in massimo grado l'esperienza mondana, come testimonia, per esempio, anche il riguardo riservato da Dante agli Spiriti Magni vissuti all'oscuro della rivelazione cristiana. Il grado più alto, il fuoco sopranile è condiviso da Editta con la Nobiltà e l'Umiltà. Quest'ultima è una sorta di alter ego simbolico della Santa, mentre la Nobiltà è l'unica antagonista che la principessa monaca non può completamente confutare, giacché sostiene il diritto divino dei regnanti, il potere regio come diretta emanazione temporale del Creatore: “Quando il gran Dio lo scettro e il regno dona | non si dee rifiutar regia corona” è principio proclamato dalla stessa Editta, chiosando però che quando nel cuore alberga una vocazione ispirata dallo stesso Padreterno, questa non possa che prevalere.

Il sistema ideologico dell'oratorio trova, insomma, la più eloquente rispondenza nella connotazione simbolica dei registri vocali, ma nondimeno il movimento ascensionale degli elementi e la loro dialettica è riconoscibile anche nell'essenziale drammaturgia della distribuzione dei numeri. Il primo interlocutore a farsi avanti, dopo l'apparizione di Editta e dell'Umiltà (e un duettino gnomico per voci e non per personaggi), è il terreno Senso, che sarà anche il primo ad abbandonare l'agone dialettico. La sua staticità e gravità è confermata dalla prevalenza di pezzi solistici (tre arie contro un duetto e due terzetti). Fino alla fine rimarranno a dibattere Bellezza, Grandezza e Nobiltà, ma mentre la prima resterà defilata con una sola aria e due terzetti, alla Grandezza spettano un'aria, due duetti e ben quattro quartetti, gli stessi intonati dalla Nobiltà, il cui dinamismo focoso (e quindi più prossimo alle altezze celesti) la porta anche a confrontarsi in tre duetti senza mai isolarsi in un'aria. Il predominio retorico è, difatti, appannaggio di Editta, con otto arie, tre ariosi e un duetto (proprio con la Nobiltà): a lei spetta più che a tutti d'argomentare, confutare, affermare; le altre voci sopranili sono, abbiamo detto, incarnazioni simboliche complementari dell'ideologia della protagonista, la santità della missione regia e il valore supremo della vocazione all'umiltà, la dimensione politica e quella intima dell'intervento divino nella storia. Dunque anche la distribuzione dei numeri musicali risulta complementare, quasi emanazione di Editta e se la Nobiltà, attiva, si esprime sempre insieme con altri, l'Umiltà, contemplativa, si limiterà ad aprire l'oratorio con un'aria programmatica, suggellare la prima parte con un duetto in cui contesta alla Grandezza le illusioni superbe, chiudere la partitura con due versi di recitativo.

Naturalmente una tale architettura di retorica musicale necessita di un'interpretazione di tutto rispetto, che ne sappia articolare chiaramente i diversi piani di lettura, i contenuti evidenti e sottintesi. In tal senso l'ottima prova a parti reali dell'ensemble Mare Nostrum permette di gustare in assoluta chiarezza gli impasti timbrici e le finezze della scrittura strumentale di Stradella, amorevolmente compresa dal direttore Andrea De Carlo.

La maturità sapiente di Veronica Cangemi conferisce a Editta una serena pacatezza non scevra da brillanti entusiasmi – ancora, l'ardore giovanile che riecheggia la vocazione dell'adolescente Maria d'Este appare lieve e guizzante come una fiammella – mentre Claudia Di Carlo coglie la giusta compunta pudicizia dell'Umiltà e Francesca Aspromonte articola a meraviglia un canto d'autentica, preziosa Nobiltà, impeccabile nel sostenere le ragioni dell'investitura divina dei monarchi. Gabriella Martellacci è un contralto dalle conturbanti sonorità androgine, che consentono alla sua Grandezza d'imporsi senza difficoltà, mentre Fernando Guimares porge con insinuante eleganza i versi della Bellezza. Di Sergio Foresti, infine, non si può che ribadire con ammirazione che tiene fede al suo nome dipanando da par suo la parola cantata dal Senso. La scrittura vocale di Stradella trova eccellente realizzazione, e per la complessità e la ricchezza del linguaggio del tardo '600 non è cosa da poco.

Si leggono con piacere le note di Arnaldo Morelli nel libretto ben curato (tutti i testi, compresi i versi di Orsini, sono in italiano, inglese e francese), ricco di dettagli sull'esecuzione e gli strumenti utilizzati, impreziosito da una bella fotografia delle Terme di Caracalla scattata da Gabriele Croppi.