L'eterno conflitto d'amore e potere

 di Roberta Pedrotti

G. B. Pergolesi

Adriano in Siria

Fagioli, Basso, Mynenko, Idrisova, Sancho, Soyarslan

direttore Jan Tomasz Adamus

Capella Cracoviensis

3 CD DECCA, 403 0004, 2016

“A ha potere assoluto su B. A ama B che non ricambia”: la formula coniata da Roland Barthes per il teatro di Racine può applicarsi a buon diritto anche a gran parte dell’opera seria settecentesca, elevata da Metastasio ai massimi splendori di finezza psicologica, etica e drammaturgica, sicché il nodo tragico raciniano, anziché deflagrare nel pessimismo della sua visione giansenista, si risolve per lo più grazie alla nobiltà d’animo e al sistema di valori in cui si muovono i protagonisti. E se in Adriano in Siria non saranno i due monarchi – l’imperatore romano e il vinto parto Osroa, l’uno coinvolto per lo più dal nuovo amore per la principessa orientale preferita alla promessa sposa, l’altro teso alla vendetta con ogni mezzo – i primi portatori della suprema magnaminità, è anche vero che a garantire la ricomposizione finale sarà la saggia clemenza di Adriano nell’accogliere l’esempio virtuoso della fidanzata Sabina, della bramata Emirena e del vassallo di lei amante Farnaspe.

Certo, allorquando, seppure su commissione regale del sovrano napoletano, Pergolesi torna al fortunato libretto metastasiano non solo ne rivoluziona gli equilibri interni facendo balzare Farnaspe a protagonista incontrastato con l’eponimo imperatore (convenienza teatrale dovuta allo stizzoso divismo del Caffariello), ma disbriga il coro finale in una manciata di secondi che paiono pochini anche per questi epiloghi a mo’ di sigillo. Viceversa, prende piede l’azione sin dalla sinfonia ripetuta, dopo le prime battute di recitativo, ad accompagnare il passaggio del corteggio imperiale trionfante sul ponte di Antiochia; gli intrighi di Aquilio e i due attentati di Osroa, che per colpire Adriano incendia lo stesso palazzo in cui si trova la figlia, garantiscono dinamismo e spettacolarità, nonché vivide espressioni vocali. Soprattutto per quel che concerne Farnaspe è indubbia la piena valorizzazione di tutto l’armamentario virtuosistico e retorico del Caffariello, ma le tessiture estreme, i passaggi di sbalzo e quelli più minutamente fioriti sono sempre funzionali a una schietta articolazione teatrale della parola.

Con souplesse, Franco Fagioli adempie ai suoi doveri di primo uomo ed epigono del divo assoluto della compagnia. Paradigma della sua prova è la grande aria che chiude il primo atto, “Lieto così talvolta”, con il suo inanellare trilli, effetti dinamici e d’eco, figure le più ricercate, scatti autorevoli nella sezione B, sempre con classe superiore, ficcante teatralità, dizione chiarissima e consapevole. Gli è più che degna compagna l’Emirena di Romina Basso, insidiosa contendente per la palma di migliore del cast con il suo poeticissimo senso della parola cantata, il suo stile forbito come la tecnica, la freschezza e la pregnanza della vocalità. Suscita comunque interesse anche il soprano Dilyara Idrisova, che presta a Sabina un canto particolarmente duttile, raffinato ed elegante, così come l’ancor fanciullesca ma promettente Cigdem Soyarslan quale Aquilio. Yuriy Mynenko veste i panni di Adriano, in origine pensati per un’interprete en travesti e ridotti a presenza marginale nell’economia del dramma: la marginalità in termini di numero di arie e scene dovrebbe, però, essere compensata dall’alta retorica della declamazione, mentre è fin troppo evidente la scarsa dimestichezza di Mynenko, cantante per altri versi non disprezzabile, con la nostra lingua, che si traduce in un fraseggio purtroppo anodino. Meglio, decisamente meglio in tal senso l’unica voce virile della compagnia: il tenore Juan Sancho ribadisce la sua dedizione al repertorio e un impegno espressivo che pare qui meglio sfumato psicologicamente e temperato dallo stile che in precedenti occasioni.

Sotto la guida di Jan Tomasz Adamus, la Capella Cracoviensis è tutta tesa a coniugare melos e dramma; non sempre, magari, i morbidi fiati antichi avranno l’esattezza penetrante dei loro fratelli più recenti, ma l’insieme è sempre ben calibrato per animare il pathos della drammaturgia musicale pergolesiana e l'opera si gusta così in una lettura debitamente limpida e avvincente.

La qualità della registrazione, la grafica, i contenuti e la struttura del cofanetto sono all’altezza dell’etichetta rossoblù.