La poetica del virtuoso

 di Roberta Pedrotti

N. Paganini

24 Capricci

Sergej Krylov, violino

Registrato nel 2008 al Teatro Ponchielli di Cremona

CD Deutsche Grammophon 481 4827, 2017

I ventiquattro Capricci di Paganini sono visti per lo più come una sorta di miniera da cui trarre gemme isolate per impreziosire un programma, chiudere la serata con un bis scintillante, far bella figura in un’esibizione lampo. Più raro ascoltarli integralmente, anche perché la stessa idea di Capriccio si associa a uno slancio rapsodico, non a un discorso strutturato, un corpus coerente.

Il rischio dell’antologia di pezzi di bravura, in effetti, è dietro l’angolo, ma non è detto che sia un male, se della bravura, del virtuosismo estremo, si può fare una categoria poetica ed estetica. Con l’amico Rossini, d’altra parte, il violinista di Genova rivela nella sostanza musicale un’affinità così profonda dal tramutarsi nell’immaginario comune nella cristallizzazione di due immagini opposte: dell’ipocondriaco, nevrotico (perfino anoressico, talora) pesarese viene tramandata l’aneddotica ironica e gaudente, del suo compagno di goliardate Paganini rimane (anche nelle note di questo CD, firmate da Massimo Rolando Zegna) la suggestione cupa e vampiresca. Curioso destino, condiviso in due opposti speculari, per due spiriti così vicini.

Nel suo scritto pubblicato nel libretto, Sergej Krylov chiarisce bene gli intenti del suo approccio a Paganini e spazza via ogni dubbio: non è questo un semplice catalogo realizzato per dovere di completezza discografica. Anzi, il violinista vi ravvisa «un “continuum”, un solo grande Capriccio che vuole nel suo intento più profondo “plasmare” le mani e la mente di ogni violinista ad immagine e somiglianza degli ideali tecnici e musicali del compositore». E, indubbiamente, tecnica e poetica coincidono nel virtuosismo ficcante dell’artista russo, che si rifà al manoscritto e non a una tradizione più esuberante nelle scelte esecutive. Rinuncia, insomma, all’acuto a effetto in favore di un’articolazione in realtà anche più complessa, ma più intimamente compenetrata con la linea musicale: il virtuosismo, il belcanto strumentale come elemento strutturale, come principio estetico e parte integrante, irrinunciabile della scrittura, della concezione stessa dell’opera. Essenza e non decorazione. Tant’è vero che il moto guizzante, aguzzo perfino, mobilissimo e snello di Krylov, di per sé meno lirico di quello di altri colleghi, riscopre dettagli insospettabilmente cantabili che echeggiano i brevi respiri proprio della melodia rossiniana, forme bachiane o popolari, sposandosi a meraviglia con il calore naturale di uno splendido Stradivari Cremonese 1715 G (Grande) prestato dal Museo del Violino di Cremona.

La qualità dell’esecuzione e dell’incisione (chissà perché rimasta nel cassetto tnati anni: misteri del mercato) renderanno l’ascolto piacevole a ogni livello di lettura, ma se dal puro diletto per quest’orgia diabolica di violinismo (intimamente) estremo ci si vorrà soffermare con maggiore attenzione sul dettaglio si potrà rimanere sorpresi e scoprire nel gioiello abbagliante un cesello di gusto fine quanto originale.