Intorno a me s’oscura il ciel!...

 di Andrea R. G. Pedrotti

Bellini, Verdi, Puccini, Leoncavallo, Giordano

Vissi d'arte, vissi d'amore

soprano Daniela Dessì

tenore Fabio Armiliato

direttori Riccardo Muti, Steven Mercurio, Marco Boemi, Vjekoslav Sutej

2 CD DECCA,  481 5468, 2017

A meno di un anno dalla prematura scomparsa di Daniela Dessì la casa discografica Decca propone un piccolo cofanetto di due CD contenente alcuni fra i brani più emblematici della carriera del soprano genovese. Fra i più grandi pregi dell’artista vi fu, senz’ombra di dubbio, la capacità di non sbagliare mai nella scelta dei ruoli, a seconda della vocalità che caratterizzava i diversi momenti della sua vita e della sua carriera, che spaziò dal barocco al belcanto fino al verismo.

Ovviamente l’autore più significativo dell’incisione è Giacomo Puccini (secondo per numero di brani solo a Giuseppe Verdi): ovvio perché proprio del compositore toscano Danila Dessì fu la più grande e riconosciuta interprete del XX secolo. È proprio nella lettura della scrittura pucciniana che la morbidezza d’emissione, la capacità di cantare sul fiato e il fraseggio appassionato, ma mai eccessivo, della cantante genovese si manifestano più puri: che sia Lauretta, Mimì, Cio Cio San, Manon, Suor Angelica, Floria Tosca o Liù, quella di Puccini pare essere musica scritta a esclusivo appannaggio della Dessì. È massima l’emozione trasmessa nelle frasi più drammatiche, come il finale di Madama Butterfly, probabilmente il brano più emotivamente coinvolgente dell’intero disco. Indimenticabili il suo modo di porgere le frasi nel parlato come nel canto di conversazione pucciniano.

Non solo Puccini, ma anche il belcanto belliniano di Norma, anch’esso eternato con l’esecuzione di uno dei momenti più drammatici dell’intero melodramma: il tormento di una donna, contesa fra l’amore, la pietà e la brama di vendetta, con il duetto “In mia man alfin tu sei”, eseguito con il tenore Fabio Armiliato.

Da Bellini a Verdi, col fraseggio morbido, dolce e appassionato di “Non so le tetre immagini” dal Corsaro e una delle arie tratte da un’opera che pare per stile l’inverso della carriera della Dessì: I vespri siciliani. Infatti “Mercè dilette amiche” è l’apoteosi di un ruolo, quello di Elena, che parte con una scrittura quasi da lirico drammatico e si conclude con le evoluzioni virtuosistiche del celebre Bolero.

Drammaticità, pulizia del suono e intensità anche in Macbeth (“La luce langue”) o in Un ballo in maschera (“Ecco l’orrido campo”); eccellente per pathos è l’esecuzione di “O don fatale” dal Don Carlo, con la Dessì che si prodiga in tutto il suo ampio bagaglio tecnico ed espressivo, oltretutto in un ruolo, come quello della principessa Eboli, sovente ad appannaggio di mezzosoprani, nonostante una scrittura piuttosto acuta per il registro femminile di mezzo.

Non meno eccellente “D’amor sull’ali rosee” (sempre con la partecipazione di Fabio Armiliato) e della cabaletta “Tu vedrai che amore in terra”. Qui si nota un’ulteriore prova della caratura dell’artista che, con notevole varietà di colori, è capace di rendere al meglio le sensazioni insite in momenti drammaturgici diversi, senza mai mutare la qualità della resa vocale. Una coloratura gioiosa in I vespri siciliani, prossima alla tragedia nel Trovatore.

Fin troppo semplice per il soprano genovese è l’interpretazione dell’aria del III atto di Aida “O cieli azzurri”, con l’esecuzione di un do perfettamente centrato e sostenuto al meglio.

Tre esempi di autentico verismo sono il duetto delle ciliegie (ancora una volta con Fabio Armiliato) “Suzel, buon dì” da L’amico Fritz di Pietro Mascagni, “La mamma morta” e il duetto “Vicino a te” dall’Andrea Chénier di Umberto Giordano e “Qual fiamma avea nel guardo!” dai Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Anche nel repertorio verista Daniela Dessì mantiene la grazia, la morbidezza e l’eleganza che la contraddistinsero fin dagli esordi, senza mai forzare, ma sempre cantando con la voce cristallina che l’ha accompagnata in tutta la sua troppo breve vita.

Fra le concertazioni, tratte da varie incisioni degli ultimi anni, si segnala positivamente su tutte quella di Riccardo Muti (Pagliacci) e quelle di Steven Mercurio (Il Corsaro, Macbeth e Aida), meno convincenti quelle di Vjekoslav Sutej (Andrea Chénier) e Marco Boemi (i restanti brani).

Qui finiscono le note positive di un CD in cui l’unica a onorare la memoria di Daniela Dessì è la stessa Daniela Dessì. Non all’altezza dei ruoli, gli interventi di Fabio Armiliato, che accompagna il soprano genovese in tutti i duetti, parimenti al saggio di Giancarlo Landini, eccessivamente scolastico e slegato, in numerose delle sue parti, dal contenuto del CD: una semplice, spiccia, biografia con alcune indicazioni di repertorio.

Anche la grafica (a eccezione della foto di copertina) risulta assai poco curata: i brani sono riportati inseriti in scaletta in ordine casuale, senza alcuna indicazione al ruolo interpretato. Almeno un accenno al fatto che la Dessì canti l’aria di Eboli del Don Carlo e non di Elisabetta (personaggio citato nel saggio di Landini) avrebbe avuto una sua utilità. Mettere il titolo dell’aria non basta.

Sarebbe stato utile, sempre nell’elenco dei brani, inserire direttori e orchestre; non in un’appendice scritta in caratteri microscopici.

Un’artista come Daniela Dessì avrebbe meritato certamente un omaggio più curato e meno frettoloso nella realizzazione.