di Giuseppe Guggino
Gaetano Donizetti
Les Martyrs
Spyres, El-Khoury, Kempster
Orchestra of the Age of Enlightenment
Opera Rara Chorus
direttore Mark Elder
St. Clement’s Church, London, ottobre-novembre 2014
3CD Opera Rara ORC52
Pare incredibile, ma nella sterminata discografia donizettiana mancava ancora un’incisione “in studio” di una delle opere più sperimentali del compositore bergamasco quale è certamente Les Martyrs. Alla mancanza, finora arginata dalle testimonianze live dei repêchages della seconda metà degli anni ’70 con un’affaticata Leyla Gencer, pone rimedio l’etichetta inglese Opera Rara che con questo triplo cd ha ripreso il viaggio nel Donizetti francese avviato qualche anno fa con Dom Sébastien, e che presto approderà alla ricostruzione della partitura de L’ange de Nisida, opera completata per il Théâtre de la Renaissance e mai approdata sulle scene per il fallimento di quest’ultimo, fornendo così gran parte del materiale musicale confluito ne La favorite. Anche la genesi dei Martyrs ha percorso vagamente analogo, derivando – com’è noto – da quel Poliuto concepito con la collaborazione attiva di Adolphe Nourrit, protagonista designato al Teatro San Carlo, con soggetto e forme sperimentali al punto da provocare l’intervento della censura borbonica che ne precluse – almeno fino al 1848 nella versione italiana – l’approdo sulla scena, fatto che aggravò i disturbi psichici del famoso tenore francese al punto di determinarne il suicidio poco dopo la partenza di Donizetti da Napoli alla volta di Parigi. Nell’adattamento per l’Opéra, dove il titolo andò in scena finalmente il 10 aprile del 1840, dopo continui rinvii dell’inizio delle prove indipendenti dalla volontà del compositore, il libretto di Salvadore Cammarano è adattato piuttosto fedelmente da Eugéne Scribe, con l’espunzione dell’elemento della gelosia di Poliuto; cosicché il personaggio perde l’aria “Fu macchiato l’onor mio” (sebbene l’ordito orchestrale della prima sezione del numero sia riciclato nel No. 9 – Trio Félix, Pauline, Sévère), a vantaggio di una nuova grande Scène et Air (No. 7) appositamente concepita per le caratteristiche di Gilbert-Louis Duprez, l’antagonista di Nourrit a cui, per ironia della sorte, toccò di tenere a battesimo il ruolo di Polyeucte. Nel lavoro di adattamento-ripensamento, oltre alla riscrittura di tutti i récit (per cui Scribe ripristinò i versi originali di Corneille), l’aggiunta di tre air de ballet di gusto un poco fauvista (in fondo commentano lotte di gladiatori e passi militari in onore di Sévère), l’aggiunta dell’Ouverture con insolito coro in quinta (unico precedente quello dell’Ermione rossiniana, che non poteva essere noto a Donizetti) e l’aggiunta di un coro femminile di carattere eminentemente esornativo, colpisce il lavoro di “polverizzazione” delle forme chiuse scientemente praticato con il mutuo allontanamento delle varie sezioni dei pezzi originari in macro-numeri dall’architettura formale quanto mai articolata, a tutto vantaggio di una scansione drammaturgica votata al coupe de théâtre; basti osservare il destino della cavatina di Severo (No. 3 in Poliuto) la cui sezione cantabile è reimpiegata all’inizio del secondo quadro del secondo atto e la cabaletta ne costituisce il finale, con le due canoniche ripetizioni ulteriormente allontanate da 96 battute (ripristinate dall’edizione critica) occupate da una scène e dal seguente ispirato larghetto “Dieu puissant qui voit mon zèle” di Polyeucte. Ma poi si potrebbero osservare gli ottoni che si innestano nel dialogo di Pauline col padre Félix nel primo quadro del secondo atto ad anticipare il trionfo nel secondo, esattamente come accadrà nel duetto di Aida e Amneris; e proprio in questo secondo quadro sarebbe impossibile non registrare l’analogia tematica con “Gloria all’Egitto e ad Iside”, la convergenze drammaturgica delle situazioni nelle due opere, l’analogia formale di un coro che apre e chiude, con una ripresa, il quadro: tutti elementi che conclamano nei Martyrs, indipendente della fortuna che vi arrise (probabilmente inferiore – e di molto – alla loro portata innovativa), la consolidazione di una sorta di codice del grand-opèra valido per almeno i trent’anni a venire.
La nuova edizione critica sulle fonti francesi (ma necessariamente anche su quella italiana), dovuta al lavoro di Flora Willson, è alla base della presente incisione in studio, resa possibile anche dal contributo di Palazzetto Bru Zane, in concomitanza con un’esecuzione pubblica in forma di concerto alla Royal Festival Hall. Purtroppo non tutti i passi tagliati (non si sa bene in quale momento delle prove, o dopo la prima) confluiscono nell’incisione, cosicché non si ascoltano le 156 battute espunte all’interno della stretta del finale primo e anche la coda dell’Ouverture presenta il taglio di una pedissequa ripetizione. Tuttavia il lavoro di Mark Elder alla testa dell’Orchestra of the Age of Enlightenment, che predilige tempi serrati e sonorità nervose, riesce a restituire all’opera negata la luminosità che le appartiene, sin da quel passo singolare di quattro fagotti che ne segna l’avvio. Se lo smalto dell’Opera Rara Chorus preparato da Stephen Harris non è paragonabile a quello della ben più blasonata compagine orchestrale, l’altro elemento di forza dell’incisione risiede nell’omogeneità dei solisti selezionati.
Con Michael Spyres nei panni di Polyeucte sarebbe difficile ipotizzare una realizzazione più convincente e gloriosa del ruolo; il tenore americano tende a legare le frasi ben oltre quanto richiesto dallo spartito, forte di fiati a dir poco prodigiosi, né difetta nell’adesione psicologica ad un personaggio tanto sfaccettato da alternare alle dolci suppliche coniugali di “Objet de ma constance” e di “Mon seul trésor” il più acceso fanatismo di “Oui, j’irai dans lers temps!”, coronato da un mi naturale acuto, tenuto così come scritto in partitura. Come consorte Joyce El-Khoury cerca di mantenere alto il livello lanciandosi nelle roulades di forza con piglio e grande preparazione ma risultando un po’ impari per ampiezza in un ruolo che verosimilmente avrà provocato più di qualche difficoltà anche a Julie Dorus-Gras.
L’antagonista Sévère è cantato plausibilmente da David Kempster, forte di un colore baritonale particolarmente caldo e da un’apprezzabile capacità di manovrarlo con pertinenza stilistica. Il tenore Wynne Evans è Néarque, degno compagno di martirio di cotanto Polyeucte, mentre David Sherratt come Félix (onerato di una nuova aria all’inizio del secondo atto, non presente in Poliuto) risulta vocalità meno rifinita di quella dell’altro basso Clive Bayley che, come Callisthènes, nel passaggio alla versione francese, perde il suo momento solistico.
Come di consueto per l’Opera Rara, pregevole è il booklet con saggio di Jonathan Keates, sinossi a firma della curatrice dell’edizione critica, e libretto bilingue francese-inglese; l’incisione è acusticamente ben spaziata e tecnicamente ineccepibile.