Natura, Ragione, Saggezza

 di Roberta Pedrotti

Abbado Riscovered

F. Schubert

Sinfonia n. 8 in Si minore Incompiuta D759

Sinfonia n. 5 in Si bemolle maggiore D485

direttore Claudio Abbado 

Wiener Philharmoniker

Vienna, Musikverein Groβer Saal, 31 maggio 1971

Registrazione della Österreichischer Rundfunk/Radio Österreich 1

CD Deutsche Grammophon 483 5620 GH, 2018

Un lieve fruscìo, quel sottile brusio di fondo appena impercettibile che ci ricorda, però, che questo ascolto viene da lontano, da quasi mezzo secolo fa, e da una trasmissione radiofonica, non da un'incisione meticolosamente preparata per il mercato discografico. Come ripescato dalla memoria, da questa foschia leggera emerge l'attacco dell'Incompiuta di Schubert, un soffio inafferrabile, benché penetrantissimo. Il suono è già tutto lì, deve solo prender forma, condensarsi nel canto di oboe e clarinetto, come il pulviscolo elementare che dopo il Big Bang dà forma all'universo.

Non si può nascondere un brivido di commozione nel riascoltare, oggi, questo concerto di un Abbado non ancora trentottenne e neodirettore dei Wiener Philharmoniker, un concerto conservato in archivio e ora pubblicato per il quinto anniversario dalla morte del maestro (20 gennaio 2019). C'è, nell'incontro fra i Wiener e Abbado un'alchimia speciale. Quell'orchestra nata nel 1842 era già la storia; il giovane maestro era già un genio: il principio ideale del far musica insieme, dell'arte come dialogo e scambio poteva trovare una realizzazione impareggiabile. E più della retorica di mille parole lo dice la freschezza di questo ascolto, di questo Schubert così limpido, così chiaro, accarezzato con leggerezza e pertanto straordinariamente profondo. Lo dice la dialettica dei temi, che si sviluppano e si ripresentano mai uguali a loro stessi, sempre frutto di un incontro e di un confronto, di una continua evoluzione. La forma sonata, l'architettura sinfonica si presenta come una metafora della civiltà, della politica in senso lato ed elevato: il confronto come ricchezza e stimolo progressivo. L'apparente, sublime semplicità, la naturalezza del fraseggio spazza via ogni possibile aggravio concettuale: la profondità del pensiero musicale non ha bisogno marcare il territorio dell'originalità, di ostentare l'idea con fare ampolloso. La chiarezza leggiadra del giovane – e giovane, in questo senso, lo rimase per sempre – Abbado vive proprio nel senso di necessità di ogni tempo, di ogni accento, di ogni colore, ogni dinamica, ogni impulso ritmico. Sì, la musica vive nell'interpretazione di un istante, ogni volta diversa, può essere se stessa in mille e mille modi differenti, ma ora e adesso questa musica sentiamo che non potrebbe essere altrimenti: è così, è logico, inevitabile che sia così. E non ce lo impone, ci persuade. Ci persuade con la serena saggezza che traspare, per esempio, dal secondo movimento della Quinta sinfonia. Qui ci si sente catapultati nel tempio di Sarastro, sentiamo il diciottenne Schubert che guarda con affetto e ammirazione l'ultimo Mozart e si dà corpo musicale a un'affinità elettiva. Natura, Ragione, Saggezza, gli ideali della Zauberflöte, si fondono come principi fondanti di tutta questa lettura schubertiana, quasi commuovente nella sua franca bellezza, e a quasi mezzo secolo di distanza ci ricordano con una scoperta fra tanti e tanti ricordi, fra tante e tante incisioni arcinote, la grandezza storica di Claudio Abbado.

Non molto si poteva aggiungere, e cosa saggia è stata affidare le note al violinista Clemens Hellsberg (presidente dei Wiener dal 1997 al 2014), che offre un toccante ricordo di una collaborazione rimasta incompiuta negli ultimi anni a causa della malattia di Abbado, e a Wolfgang Stähr, che ricorda l'importanza paradigmatica della sinfonia non completata da Schubert nella carriera del maestro milanese, da questo concerto del 1971 fino all'ultimo, a Lucerna, nel 2013.