L'angelo molteplice

 di Roberta Pedrotti

G. Donizetti

L'ange de Nisida

El-Khoury, Kim, Naouri, Priante, Stavinsky

Sir Mark Elder, maestro concertatore e direttore

registrato a Londra nel luglio 2018

2 CD Opera Rara ORC 58, 2019

Leggi anche l'intervista a Candida Mantica sulla riscoperta dell'opera

L'opera d'arte, nella sua unicità, si fa inevitabilmente molteplice nel contesto e nello sguardo dell'osservatore, ancor più se, come la musica il teatro e l'opera, rinasce innumerevoli volte, sempre sé stessa e mai a sé stessa identica nell'interpretazione di chi la fa vivere. L'identità stessa del testo, quando di un'opera si danno più versioni e varianti d'autore, si può moltiplicare, oppure, nelle traversie della creazione, rivelare percorsi inaspettati, vicoli ciechi della storia che avrebbero potuto aprirsi in sbocchi diversissimi da quelli che conosciamo, diverse pieghe e declinazioni di eguali ispirazioni sviluppate in tempi e modi diversi.

Dopo aver debuttato a Parigi – non senza qualche fatica lenita dai preziosi consigli di Rossini – con Marin Faliero (1835), e dopo una serie incalzante d'impegni italiani, Donizetti raccoglie il suo primo successo in lingua francese con il rifacimento di Lucia di Lammermoor (Lucie de Lammermoor, 1839). Giungono allora nelle sue mani nuovi libretti, ma una serie di coincidenze farà sì che L'ange de Nisida resti nel cassetto e Le duc d'Albe incompiuto. Il libretto di quest'ultimo verrà rivisto nell'ambientazione e riproposto a Verdi come Les vêpres siciliennes, mentre gli abbozzi donizettiani (ora fortunatamente restituiti in edizione critica da Roger Parker) erano stati affidati dall'editrice Giovannina Lucca a Matteo Salvi perché li completasse in una versione italiana apocrifa. L'Ange scompare, tant'è vero che l'opera si considera a lungo incompiuta, e molta della sua musica rinasce nella Favorite (1840), con l'eccezione più evidente nell'aria del tenore, “Ange si pur” (“Spirto gentil”) che invece viene dal materiale del Duc d'Albe, ragion per cui Salvi dovrà per la ricostruzione in italiano comporre di suo pugno “Angelo casto e bel, non potendo utilizzare un pezzo divenuto troppo celebre in altra sede.

L'Ange scompare, e rinasce ora nella sua fisionomia grazie all'opera della giovane musicologa italiana Candida Mantica, che ha saputo riconoscere i materiali originali dell'opera mai eseguita e così ricostruirla, con il contributo di Martin Fitzpatrick per alcune lacune nell'orchestrazione e nei recitativi. Così la riascoltiamo e se è evidente che, nonostante la musica in comune, L'Ange e La favorite siano due opere diverse e non due versioni della stessa, pure rappresentano due modi di raccontare la medesima storia: un giovanotto si innamora perdutamente, e ricambiato, di una dama misteriosa, ignorando che si tratti della favorita del re. Questi, onde evitare la scomunica per la sua condotta licenziosa, organizza il matrimonio della sua bella con il ragazzo, il quale, scoperta la verità, rifiuta il disonore e si ritira in convento, dove la donna lo raggiunge per morire, stremata, fra le sue braccia. Nel caso dell'Ange de Nisida, ambientato come si evince dal titolo nel regno di Napoli, Sylvia, la protagonista, crede che l'amato Leone – già soldato ma non novizio – acconsenta deliberatamente alle nozze con una donna compromessa per ottenere i favori del re e dunque dubita di lui, sicché la riappacificazione finale prevede un chiarimento reciproco. Quel che, però, più conta è che L'Ange ha un carattere decisamente più leggero e brillante, si avvicina all'opera semiseria di mezzo carattere e a dispetto del tragico epilogo vede la vita di corte animata da un ciambellano, Don Gaspar, così buffo da prestare la sua aria “Ma puissance n'est pas mince” al futuro Don Pasquale (“Un foco insolito”). Ciò non significa rinnegare il dramma, naturalmente, ma utilizzare un preciso registro espressivo che invece nella Favorite virerà decisamente verso i toni della tragedia, mentre qui prevalgono la dolcezza sentimentale e l'intrigo di corte, come fa intendere anche una scansione meno tesa dei numeri musicali, che non accumulano, bensì stemperano la tensione nei finali d'atto. Così, non solo il primo si chiude con il sovrano che zittisce stizzito l'esultanza del popolo, ma la grande scena del messo papale che nella Favorite occupa trionfalmente il finale secondo è qui collocata al centro, lasciando calare il sipario su un ben più domestico quartetto. E se il futuro Fernand chiuderà la sua tragedia con il funereo “Et vous prierez pour moi demain”, alla medesima frase del napoletano Leone risponderà un commosso compianto dello stesso e del coro dei monaci ad addolcire la morte di Sylvia, la favorita del Re amata dal popolo come un angelo benefico. Il registro differente è confermato anche dal respiro più delicato dell'aria, “Hélas! Envolez-vous beaux songes”, che corrisponde ad “Ange si pur”, ed è davvero intrigante, perfino illuminante, constatare come Donizetti misuri in diverse prospettive quello che, alla fine, è il medesimo soggetto, come manipoli le forme (il duetto fra il sovrano e la sua favorita offre a quest'ultima momenti brillanti degni di un'opéra-comique), come rinnovi alcune pagine (il coro nuziale “Dejà dans la chapelle” ha qui musica diversa rispetto alla Favorite, in cui lo vestirà quella che nell'Ange innalza l'inno “Vive le Roi!” del primo atto) e altre ne reinventi con spiriti affatto differenti (i versi che saranno dell'appassionata cabaletta di Alphonse “Léonor, mon amour brave” son qui dedicati a Sylvia dal sovrano in un guizzante duetto con il cortigiano Gaspar). L'ange de Nisida non è, in definitiva, una prima versione della Favorite, ma è un altro modo di raccontare la storia della Favorite, un altro modo di svilupparlo nel genio dello stesso autore, che vi adatta le forme e l'espressione. È un'opera da conoscere, che affascina per il mélange di commedia e dramma già ben noto a Donizetti – ricordiamo almeno il Torquato Tasso – così come al teatro musicale francese. D'altra parte la stessa Carmen non scandalizza tanto per la morte finale della protagonista dopo danze e momenti pittoreschi e spiritosi, ma perché è un soggetto spudoratamente naturalista.

La bacchetta collaudata di Mark Elder, per la prima esecuzione assoluta in forma di concerto propiziata e incisa da Opera Rara, asseconda gli equilibri della partitura, il carattere sentimentale e cortese, senza calcar la mano né sul buffo né sul cupo, ma nemmeno annacquando troppo i sentimenti. I complessi della Royal Opera House, peraltro garantiscono la buona qualità strumentale e corale sia per l'impasto complessivo, sia per il dettaglio timbrico – e il Donizetti parigino è orchestratore tutt'altro che banale.

Peccato che tale equilibrio non si riscontri anche in una compagnia in cui predominano nettamente le voci gravi. Evgeny Stavinsky rende ben giustizia, senza compiacimenti tonitruanti, al saio del padre superiore, già confessore del predecessore del Re. Questi, vale a dire Don Fernand d'Aragone, è un eccellente Vito Priante, che padroneggia il canto donizettiano con naturalezza invidiabile, come se questo stile fosse per lui innato al pari dell'emissione e non frutto di ferreo studio tecnico e musicale. Tutto può così consumarsi nella chiarezza esemplare della dizione francese, disegnando un sovrano innamorato e geloso con aristocratica sprezzatura e franchezza giovanile, senza i tormenti ardenti del suo più severo corrispettivo della Favorite. D'altra parte, il Don Gaspar che lo affianca non è un subdolo tenorino, ma un basso baritono buffo intrigante reso con gusto e sagacia dall'ottimo Laurent Naouri. Qui, però, s'interrompono le note del tutto positive ché il chiaro David Junghoon Kim può dirsi solo corretto come Leone, mentre Joyce El-Khoury non convince, con il suo timbro consunto e le aspre tensioni in alto – la parte qui è sopranile, ma comunque non troppo acuta –, nei panni della bella Sylvia, in cui dovrebbero convivere l'aspetto angelico venerato dagli abitati di Nisida, quello giovanile e liliale della fanciulla concupita da re e amata dal giovane soldato, quello consapevole della donna di corte conscia degli intrighi e capace di dubitare di Leone, quello tragico della penitente che muore d'amore ed espiazione.

Ora la prova dell'esecuzione in forma scenica completa a Bergamo attenderà al varco il regista, alle prese con un così peculiare mezzo carattere dai tratti semiseri e dal finale tragico, e il nuovo cast quasi del tutto rinnovato rispetto a questo debutto londinese. Intanto, L'ange de Nisida è tornato a cantare e a raccontare un pezzo di storia dell'opera, di ciò che non è stato, di ciò che dal suo oblio è nato, del mosaico ricchissimo del melodramma ottocentesco e di un drammaturgo musicale ancora per molti versi da scoprire qual è Donizetti. È tornato, soprattutto, a cantare l'inesauribile molteplicità dell'arte.