Csárdás, valzer e contrappunto 

 di Roberta Pedrotti

 J. Brahms

Dances

Marco Schiavo e Sergio Marchegiani, pianoforte

CD DECCA 481 7812, 2018

Scriveva Robert Schumann, volontariamente internato nella clinica psichiatrica di Endenich, che lo stupiva l'interesse del giovane amico Brahms per il contrappunto che non gli pareva essergli "affine", salvo poi ricredersi dopo aver ricevuto ed esaminato alcuni saggi degli ultimi lavori di Johannes. Rigore e ferrea volontà disciplinano, in effetti, il percorso del compositore amburghese, soprattutto nella gioventù, nel progressivo approccio alle grandi forme sinfoniche. C'è, però, un altro Brahms, un Brahms sorridente e leggero, quello, forse, a cui nel suo isolamento pensava Schumann. È un Brahms diciannovenne quello che comincia a comporre le ventuno danze ungheresi a quattro mani (WoO, Werke ohne Opuszahl, opere non numerate, pubblicate fra il 1869 e il 1880) ed è a trentadue anni che mette su carta i sedici valzer op. 39, sempre a quattro mani stampati nel 1866 con dedica a Eduard Hanslick. Una passione giovanile, dunque, nemmeno troppo influenzata da esigenze di mercato se la prima raccolta dovrà attedendere parecchio per un'edizione commerciale; una passione che dura nel tempo, tant'è vero che nel 1889, per una pionieristica incisione su cilindro Edison, sceglie di suonare al pianoforte proprio la prima delle sue Danze Ungheresi e la polka-mazurka di Josef Strauss Die Libelle, ovviamente entrambe riarrangiate per un solo esecutore. Una dichiarazione d'amore per la leggerezza, riconquistata e temprata nella dottrina del contrappunto e della forma, ma sempre presente, sottopelle, nel suo sorriso seminascosto, nelle peculiarità di una scrittura e di uno stile che non contraddicono il rigore, anzi: lo corroborano perfino.

I gruppetti, le acciaccature, i rubati raccolti nella definizione di ungherese (che comprende la tradizione magiara come quella gitana e buona parte del folklore dell'Europa dell'Est) si integrano al contrappunto, lo vivificano, animano l'invenzione melodica e il suo sviluppo esattamente come il vario volteggiare del valzer, che modella il tempo nella sua articolazione ritmica inafferrabile e propulsiva. L'invenzione non può esistere senza scienza, la scienza senza creatività e sogno; il Brahms contrappuntista non può esistere senza il Brahms danzante, affascinato dalla musica gitana, dai suoni esotici della tradizione. 

Fa, dunque, piacere, ascoltare d'un fiato le due raccolte brahmsiane dedicate alla danza per pianoforte a due mani, per di più in un'incisione come questa con Marco Schiavo e Sergio Marchegiani alla tastiera: ben realizzata, attenta all'articolazione di accenti e tensioni nell'elaborazione - sempre finissima - del materiale e del linguaggio delle danze austroungariche. Il gruppetto che echeggia il violino tzigano o klezmer diventa parte del fraseggio raffinato dello studioso di Bach e Beethoven, diventa parte della sua identità, un retaggio più o meno percepibile, ma sempre presente, parte integrante di una poetica che, al di là dell'indubbia piacevolezza d'ascolto, merita d'essere conosciuta.