Lontano dalle stelle

di Roberta Pedrotti

Verdi • Donizetti

arie da Luisa Miller, Rigoletto, Un ballo in maschera, La forza del destino, Ernani, I due Foscari, Oberto conte di San Bonifacio, Il corsaro di Verdi; Poliuto, Lucia di Lammermoor, Maria di Rohan di Donizetti.

tenore Michael Fabiano

direttore Enrique Mazzola

London Philharmonic Orchestra

London Voices

registrazione effettuata a Londra, agosto-settembre 2018

CD Pentatone PTC 5186 750, 2019

Il programma è davvero bello, importante. Accosta Donizetti a Verdi, traccia linee di prossimità e continuità per il tenore romantico, con le sue salde radici belcantiste, attraverso pagine indistintamente iper popolari - "La donna è mobile", "Tombe degli avi miei" - caposaldi mitici del repertorio - "Fu macchiato l'onor mio... Sfolgorò divino raggio"; "Quando le sere al placido"; "Ma se m'è forza perderti" - e brani che, se non sono inediti, son comunque più rari e ricercati, "Alma soave e cara" da Maria di Rohan, l'aria alternativa per Ernani destinata al tenore Ivanov (pupillo di Rossini) "Odi il voto", il finale del terzo atto della Forza del destino nella prima versione sanpietroburghese, "Qual sangue sparsi! Orrore!".

C'è modo di saggiare la prossimità stilistica del pieno Ottocento italiano, di osservare l'articolazione del discorso musicale, l'espressione di un eroismo romantico tormentato, fra abbandoni malinconici, nostalgie disperate e furibondi accessi nichilisti, incubi, aneliti distruttivi e autodistruttivi. C'è, sempre, la nobiltà d'espressione e d'emissione che nel fuoco e nel languore sfutta le armi del belcanto per dispiegare tutte le possibilità della voce nella dinamica, nell'accento, nel colore.

Programma bello, dunque, anzi: bellissimo. Materia per un gran recital e per un ideale gemellaggio fra i principali festival monografici italiani (Parma e Bergamo, ma anche Pesaro occhieggia, se non altro per i nomi di Ivanov e di Tamberlick, che era assiduo interprete anche di Arnold nel Guillaume Tell e dell'Otello rossiniano). Peccato che, invece, qui l'interpretazione non sia all'altezza del concetto. Michael Fabiano propone un'idea splendida, ma poi non la sostiene con il suo canto. Se ci trovassimo in teatro, beninteso, non lo censureremmo certo, ma nemmeno grideremmo al miracolo: giunge a capo di tutti i brani senza intoppi, ma si avvertono anche troppi nodi tecnici irrisolti che potrebbero presto o tardi venire al pettine, come un'emissione tendenzialmente spinta che toglie al timbro la levigatezza e al canto la duttilità di un bel canto sul fiato, con un passaggio di registro gestito a dovere. In disco i limiti sono ancor più evidenti, perché la monotonia di colori e dinamiche è anche sconfortante monotonia e genericità d'accento: valga per tutti il recitativo di Corrado dal Corsaro verdiano, parole che trasuderebbero il romanticismo più nero e maledetto ("Ah! si, ben dite . . . guerra, | perenne, atroce, inesorabil guerra | contro gli uomini tutti; | io per essi fui reo, tutti gli aborro! | Temuto da costor ed esecrato, | infelice son io, ma vendicato!") si buttano via, piatte e miserelle. Va un po' meglio per il Poliuto, se non altro perché Fabiano l'ha cantato in teatro, con il medesimo direttore (Enrique Mazzola) e un briciolo in più di fraseggio sembra essere ereditato da quell'esperienza, ma è poco, troppo poco per un CD solistico, per render giustizia a questa scelta intrigante di repertorio. Troppo poco per un cantante che il cofanetto stesso definisce "American star tenor": forse la parola "star" andrebbe usata con un pochino più di parsimonia. Un tenore corretto, sì, efficiente, ma anche con molti limiti, molta strada da fare, assai lontano dal carisma che dovrebbe definire una star.