Prima la musica e poi le parole

di Roberta Pedrotti

G. Rossini

Petite Messe Solennelle

Eleonora Buratto, soprano

Sara Mingardo, contralto

Kennneth Tarver, tenore

Luca Pisaroni, basso

Gustavo Gimeno, direttore

Wiener Singerakademie

Orchestre Phiharmonique du Luxembourg

Registrazione effettuata nel marzo 2018

CD Pentatone PTC 5186 797, 2019

Questa edizione della Petite Messe Solennelle è stata registrata nel 2018. Il Cd è uscito nel 2019. Nel 2014 la Fondazione Rossini di Pesaro pubblicava l'edizione critica dell'estremo capolavoro rossiniano a cura di Davide Daolmi. Il fatto che nelle note di copertina (inspiegabilmente tre saggi diversi, per tre firme diverse, in tre lingue diverse, cosicché l'apparato critico non risulta pienamente accessibile a chi non padroneggi il francese, l'inglese e il tedesco) il nome di Daolmi e della Fondazione Rossini non compaia mai lascia quantomeno perplessi. Nondimeno, seppure i saggi siano assai dettagliati, la presentazione ripartita fra le diverse lingue risulta un po' confusa.

In primo luogo il fatto che la messa sia "piccola" e nello stesso tempo "solenne" non implica un ossimoro o un moto di spirito: è piccola il semplice dato di fatto di un organico pensato per esecuzioni private, semiprivate o comunque relativamente intime, è solenne in quanto mette in musica tutte le parti dell'Ordinarium Missae (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei, con l'Offertorium"O salutaris Hostia"). Il titolo è, dunque, semplicemente la descrizione della struttura formale e della destinazione della messa. In secondo luogo, lo studio dei materiali rossiniani e del contesto della composizione ha chiarito che l'organico con due pianoforti e harmonium era diffuso per la produzione musicale privata (o semiprivata, dato che gli inviti potevano coinvolgere anche un pubblico piuttosto nutrito e gli eventi richiamare l'attenzione della stampa) nei palazzi dell'alta società parigina. Patrick Barbier lo dice, nel suo saggio, mentre Richard Osborne riferisce l'aggettivo "petite" alla dedica al Buon Dio dell'autore, ma val la pena sottolinearlo, come val la pena ricordare che Rossini non si pose, quasi morente, a orchestrare improvvisamente, nei suoi ultimi anni, il brano che aveva pensato in forma così essenziale mosso dal timore che altri vi mettessero mano: la Petite Messe è un autentico work in progress che rivela fin da subito l'idea di possibili esecuzioni con orchestra, ma con un'orchestra ridotta, di sapore cameristico, come se ne trovavano anche in molte chiese della capitale. Il fatto che i solisti nell'autografo siano chiamati a cantare anche congiuntamente con il coro e l'organo parimenti si debba udire in tutta la Messa e non solo nel Prèlude religieux conferma che nella concezione rossiniana le sonorità della Petite Messe orchestrata dovessero essere decisamente più cameristiche che sinfoniche in senso tardoromantico.

È davvero un peccato che si sia persa l'occasione per sottolineare il valore dell'edizione critica anche nella valutazione estetica dell'opera, tanto più che ciò che si ascolta sembrerebbe andare veramente nel senso di una lettura più intima e alleggerita della versione orchestrata della Petite Messe Solennelle. Non sembra che i solisti cantino sempre insieme con il coro - ma nella stessa edizione critica si ammette che possa essere una fatica evitabile - e l'organo s'intende nel Kyrie più che in seguito - ma nel Prèlude Tobias Berndt è davvero bravo- tuttavia la bacchetta di Gustavo Gimeno è davvero interessante. Piacciono i colori chiari che sceglie e controlla con sapienza, piace la distensione dei tempi e delle dinamiche, che davvero permettono di gustare le preziosità della partitura e la sua dimensione intima. L'Orchestre Philharmonique du Luxemburg ha quella compostezza, quell'eleganza nel porgere, quell'equilibrio interno che serve benissimo alla bisogna, così come le voci della Wiener Singakademie, coro semiamatoriale che unisce a un'ottima preparazione un sano pizzico di fresco entusiasmo.

Assai ben assortito, poi, il quartetto solista, con la sapienza liederistica di Luca Pisaroni, il gusto di Kenneth Tarver che evita il rischio di cedere tenorilmente alla baldanza di "Domine Deus", la purezza neoclassica di Sara Mingardo, la rotondità ispirata di Eleonora Buratto. Tutti perfettamente equilibrati, anche timbricamente, affinati nel canto all'italiana, nel rigore dello stile belcantistico, nella compostezza eloquente del genere sacro.

Insomma, una gran bella edizione da ascoltare. E sarebbe bastato davvero poco, a partire dall'apparato critico, per rendere questo disco qualcosa di davvero significativo anche sul piano storico e della comprensione dell'ultimo capolavoro rossiniano.