Le tre facce del contrappunto

di Roberta Pedrotti

Chiusura inaspettata, dopo la cancellazione dell'ultimo concerto in programma, ma in grande stile per il Bologna Festival 2013. Boris Petrushansky suona Gubajdulina, Bach e Šostakovič completando la panoramica sui due grandi compositori d'area ex sovietica con un affascinante programma dedicato a diverse immagini del contrappunto.

BOLOGNA, 6 novembre 2013 - Inaspettatamente, questo è l'ultimo concerto del Bologna Festival 2013 e, segnatamente, della rassegna Il nuovo l'antico, che avrebbe dovuto chiudersi in bellezza con il coro e le percussioni del Teatro Comunale di Bologna diretti da Nicolas Altstaed, impegnato anche come violoncellista, in uno splendido programma che avrebbe accostato Sofija Gubajdulina e Johann Sebastian Bach. Per cause tecniche di forza maggiore l'evento è sfumato: una grande delusione, ma bilanciata dalla qualità della serata offerta da un generosissimo Boris Petrushansky per quella che si è trovata a essere, dunque, la conclusione del ciclo. Generoso, abbiamo detto, perché la scaletta, fra Bach, Gubajdulina e Šostakovič, è nutrita, molto esigente quanto a tecnica, concentrazione, impegno fisico, e per di più coronata da una serie munifica di bis, sempre fra Šostakovič e Bach.

Il concerto si apre con tre pagine della compositrice tatara, Ciaccona (1962), Toccata-Troncata (1971) e Invention (1974), apparentemente più tradizionali rispetto alla manipolazione dello strumento riscontrata in opere dell'ultimo trentennio, ma in realtà già parte di un percorso evidente di esplorazione di tutte le potenzialità dell'esecuzione musicale. L'ispirazione sacra e matematica, da alchimista e scienziata rinascimentale, deve trovare un linguaggio adeguato alla sua espressione, nel suono fisico, presente, e in quello alluso nel silenzio, nello strumento così come lo conosciamo e così come possiamo riscoprirlo e reinventarlo in infinite possibilità. I tre pezzi entrano nelle forme e nello spirito della tradizione contrappuntistica bachiana e la sublimano, portandola quasi alle estreme conseguenze. L'astrazione, che impone anche un virtuosismo tecnico a tratti perfino disumano (è il caso di Invention), si coniuga paradossalmente alla fisicità della contrapposizione fra tessiture estreme, il rigore scientifico della scrittura a rapporti di ritmi, densità e trasparenze che pulsano e bruciano nello spazio di pochi minuti. Più che farsi spazio, il tempo misurabile e astratto si modella sulle durate di un respiro vitale di crescente intensità, attraverso, più che gli affetti barocchi, gli umori della filosofia umanista. L'accostamento con quattro preludi e fughe dal Clavicembalo ben temperato di Bach (Do Maggiore e Do diesis minore dal primo libro; Sol minore e Do diesis maggiore dal secondo) è eloquente. Due fiori della stessa pianta, ma anche la radice e il frutto, affini ma anche profondamente differenti nel combinare poesia e rigore, astrazione e sacra meditazione. Ancor più eloquente, nella seconda parte, la selezione di cinque fra i Ventiquattro preludi e fughe (1950) composti da Šostakovič quasi di getto, sull'onda dell'emozione suscitata dall'ascolto del capolavoro bachiano. Un'altra faccia del contrappunto, quasi teatrale nell'animare le diverse voci, nel lasciar trasparire altre e varie suggestioni, perfino popolari, perfino jazzistiche. L'architettura polifonica perfetta ammette all'armonia infinite libertà e apre all'autore sconfinati orizzonti poetici.

Pertushansky non si risparmia, aderisce completamente alla molteplicità di questo linguaggio, con una profondità analitica che sbalza le peculiarità di ogni pannello di un sacro trittico polifonico che, alla maniera di certe pitture gotiche, presenta a rilievo dettagli importanti o preziosi, gioielli, ricami o aureole divine. La tecnica e la forma sono sempre funzionali al contenuto e all'ispirazione, e per questo, in una compostezza di gesto e postura pressoché assoluta, fisicamente vibranti. L'intensità intellettuale dell'interpretazione è anche fisica, lo si perceisce chiaramente in una tensione continua, dalla prima Ciaccona all'ultimo bis.

Il pubblico premia con entusiasmo quest'ultima serata di un percorso tracciato dal direttore artistico Mario Messinis con grande intelligenza, avvincente e stimolante fino alle ultime note, nelle dita di un artista intellettualmente acuto e profondo come Petrushansky.