Cercasi Cenerentola

 di Antonio Caroccia

 

Nell'atmosfera liberty dell'allestimento di Paul Curran, l'opera rossiniana non trova in Gabriele Ferro una guida precisa dallo spirito brillante, né in Serena Malfi una protagonista carismatica e virtuosa. Spicca invece il Don Magnifico di Carlo Lepore.

NAPOLI, 21 giugno 2015 - Dopo la riconferma di Rosanna Purchia, come sovrintendente, e la freschissima nomina del musicologo Paolo Pinamonti, come direttore artistico, il San Carlo di Napoli, in attesa della nuova programmazione, che sulla carta si presenta scoppiettante, conclude l’odierna stagione, prima della pausa estiva, con La cenerentola di Rossini.

Il capolavoro rossiniano, dopo dodici anni di assenza, ritorna al San Carlo in quella versione liberty a suo tempo firmata da Paul Curran (qui ripresa da Oscar Cecchi) e già messa in scena al Politeama nel settembre 2003. La freschezza e la frivolezza rossiniana della regia di Curran sanno ammaliare il pubblico: nessun sapore della fiaba, ma una profonda leggerezza sentimentale che ben si mescola al comico; la passione cede volentieri il passo alla tenerezza. La compagnia di canto si è perfettamente adeguata a questa chiave di lettura, con l’azzurro delle scene firmate da Pasquale Grossi e i piacevoli costumi di Zaira De Vincentiis.

Il gioco degli ingredienti di quest’opera sembra condotto da una mano fin troppo “incantata”: il maestro Gabriele Ferro, dal 1999 al 2004 direttore stabile al San Carlo, oggi al Massimo di Palermo. Ci saremmo, però, aspettati da un direttore della sua esperienza brillantezza ritmica e maggiore fluidità orchestrale. Si sa, la vis comica rossiniana ha bisogno di esplodere e non di implodere, mentre la collaudata bacchetta preferisce un’interpretazione fin troppo meditata. Alquanto modesta l’orchestra (soprattutto i fiati), forse già in odor di vacanza. Ferro non sembra disturbato da uno scrocchio dei fiati, da un ritardo o anche due nell’appiombo degli archi.

Angelina (Cenerentola) è il giovanissimo mezzosoprano Serena Malfi, che pur dimostrandosi protagonista accettabile è senza smalto e la sua voce non sempre riesce a raggiungere l’ascoltatore. Maxim Mironov, Don Ramiro, ha voce piacevole, emissione ben controllata e timbrata, non eccezionale nelle agilità ma sempre elegantissima e corretta. Gradevoli nelle loro parti Simone Alberghini (Dandini) e Luca Tittoto (Alidoro), pur senza incidere più di tanto nella realizzazione complessiva.

Il vero mattatore della serata è stato Carlo Lepore, la sua incisività è stata determinante. È una calamita, un punto accentratore attorno al quale si svolge tutta l'azione. Il Don Magnifico di Lepore è un poderoso padre-padrone di grande forza vitale, di esperienza e di grandissima musicalità.

Modeste, invece, le prove vocali di Caterina Di Tonno (Clorinda) e Candida Guida (Tisbe), abbigliate da disinvolte pin-up, reggicalze e body maliziosamente infiocchettati, che sanno, tuttavia, muoversi bene in scena, dimostrando buone doti attoriali.

Il pubblico ha reagito con vivacità, contrassegnando i momenti di maggior godimento con applausi convinti, anche a scena aperta.

foto Luciano Romano