La conquista del paradiso

 di Luis Gutierrez

 Il capolavoro di Mozart approda sulle scene della capitale dello Yucatan in una produzione non priva di difetti, ma nel complesso convincente e forte di alcune prove vocali di pregio.

MERIDA, 23 giugno 2015 - Ormai da molto tempo sono convinto che l'inferno sia un luogo in cui non esiste la speranza di assistere a una recita delle Le nozze di Figaro. Chi mi conosce, sa che questa meraviglia composta da Mozart è la mia opera preferita e quella che in vita mia più ho studiato. Non è una rarità, non lo è mai stata; probabilmente è la prima opera che possa considerarsi parte del repertorio universale. Oggi ogni teatro d'opera che si rispetti non può non includerla nel suo repertorio di base. Dopo il debutto al Teatro Peón Contreras di Mérida, molti appassionati dello Yucatan riconsidereranno il loro concetto di inferno.

La produzione di Horacio Almada ha trasferito l'azione dal castello di Aguasfrescas alla Parigi prerivoluzionaria, il che a mio parere non aggiunge una virgola all'apprezzamento e alla comprensione di questa meraviglia; infatti ci fa pensare che Parigi e Siviglia siano più vicine di quanto non siano in realtà, se Bartolo afferma che “tutta Siviglia” lo conosce e Cherubino ha raggiunto a cavallo la capitale andalusa, cammino piuttosto lungo da Parigi. A mio modesto parere, l'opera è altrettanto rivoluzionaria a Parigi, o a Beirut per esempio, come lo è a Siviglia. Naturalmente Almada non modifica l'opera per questo motivo, solo esige un cambio di stile nella scenografia, disegnata da Mauricio Trápaga congruentemente con l'idea del regista, da un ambiente rilassato e campestre a uno teso e urbano. E l'allusione a Watteau è appropriata data la presenza di Cherubino nell'appartamento della Contessa. Adriana Ruiz ha disegnato i costumi, nondimeno coerenti, anche se fa un certo effetto vedere tutti i personaggi portare costantemente la parrucca. Benché quelle dei signori siano elaborate, ciò rende le distanze sociali in modo, a mio parere, frainteso. Il costume di Almaviva è più lussuoso nella seconda metà dell'opera che nella prima, il che si allontana dal tempo dell'azione, specialmente nel secondo atto nel quale rientra dalla caccia e desidera accedere alle stanze della Contessa. Così mi hanno scioccato i grandi pois degli Almaviva e l'abito da vescovo di Bartolo. Il quarto atto è sempre una sfida per i registi, che devono illuminare la scena in modo in cui il pubblico possa, di volta in volta, vedere l'azione o indovinarla, e confondere Susanna e la Contessa. Cosa, quest'ultima, assai difficile perché, al di là dei problemi ben risolti nelle luci di Gabriel Torresvargas, le fisionomie delle cantanti dovrebbero essere più o meno simili, cosa che non si poteva dire in questa produzione.

Claudia Rodríguez interpreta una eccellente Susanna, tanto nella voce come sulla scenate; il timbro argentino della sua voce leggera, la musicalità, l'intonazione impeccabile la rendono perfetta per il ruolo. In un momento del quarto atto ha dimenticato una frase del libretto, ma si è subito ripresa senza interruzioni musicali. Il gran momento del ruolo viene con il recitativo e l'aria “Giunse al fin il momento… Deh vieni non tardar”. Deve sedurre cantando chi l'ascolti, e lei ha sedotto tutto il pubblico.

Figaro era incarnato dal baritono Enrique Ángeles. La sua interpretazione vocalmente è stata buona, anche se ha saltato una frase dopo la dimenticanza di Susanna, ma senza che ciò pregiudicasse l'integrità di “Pace, pace mio dolce tesoro”; se avesse mantenuto l'intonazione per tutto il tempo, avrebbe realizzato un'ottima performance, benché d'altra parte la sua resa attoriale non sia stata altrettanto convincente, perché tendeva – per volere del regista? – a sembrare più burlone che minaccioso nei confronti del Conte. Naturalmente, durante “Se vuol ballare signor contino”, si dedicava a tirar sciabolate di qua e di là in vece di accennare passi di danza, in particolare la “capriola” che farà ballare ad Almaviva. Qualcuno potrebbe accusarmi di pedanteria, ma di certo la musica di danza è molto importante in quest'opera, come per esempio la contraddanza che devono eseguire i contadini che si apprestano a recare il velo a Susanna alla fine del terzo atto (son sempre solo le due che cantano “Amanti costanti” e non le sei che si approssimano a Susanna ballando una contraddanza) o il fandango che Mozart prende in prestito dal balletto Don Juan di Gluck e danzato da Figaro e Susanna (il fandango è tipicamente spagnolo e considerato quasi pornografico per le corti europee del XVIII secolo, il che rafforza la collocazione ispanica e campagnola dell'opera; mi auguro di poter un giorno veder questa scena come la pensarono Da Ponte nelle sue indicazioni e Mozart nella sua musica)

Il Cherubino di Gabriela Thierry era al livello di Susanna, ovvero molto buono. Ho ascoltato di recente mezzosoprani di primo livello in questo ruolo e l'interpretazione di Gabriela non è parsa da meno nelle sue due arie, nonostante abbia inteso un tentativo di sabotaggio da parte dell'orchestra durante “Voi che sapete”. L'attrice era altrettanto buona, aiutata nel secondo atto da qualche sforbiciata nei recitativi.

Josué Cerón da qualche tempo è uno dei miei giovani baritoni messicani favoriti. Detto questo, posso affermare d'aver udito alcuni problemi in acuto durante l'aria del Conte “Vedrò mentre io sospiro”. Credo che in futuro sarà un gran Figaro. Sulla scena possiede una innata facilità, benché i costumi, parrucca e trucco, specialmente la cipria e il neo finto, mi irritassero senza tregua. Naturalmente quest'irritazione è un mio problema.

Chi non ha tenuto fede alle aspettative è stata la Contessa di Irasema Terrazas. “Porgi amor” è un'aria molto pericolosa, spietata, nella quale il soprano non ha modo di nascondere nessun difetto. Per quanto abbia seguito la linea melodica correttamente, ha mancato nella dinamica, cantando fortissimo, senza contare un vibrato molesto all'eccesso; e lo stesso, anche se in maniera meno evidente, si potrebbe notare per “Dove sono i bei momenti”. La recitazione è stata impeccabile e il perdono concesso ad Almaviva bastante a far balenare la felicità nella sala del Peón Contreras, giusto un momento, com'è conveniente perché se durasse in eterno la vita sarebbe orribilmente noiosa.

Fra le parti di fianco è emersa la Barbarina di Ximena Rodríguez, che sicuramente sarà una gran Susanna in un prossimo futuro. Il suo “L’ho perduta” è il migliore che abbia udito da questa dodicenne. Invece Linda Saldaña, Emilio Carsi, che si sdoppiava come Bartolo e Antonio, e Miguel Mena, che faceva lo stesso con Basilio e Don Curzio, son passati inosservati, specialmente Carsi, che ha fallito con “La vendetta”.

Il coro del Taller de Ópera de Yucatán diretto da María Eugenia Guerrero ha offerto una buona prova nei suoi brevi interventi.

La Orquesta Sinfónica de Yucatán ha pure offerto, in generale, una buona interpretazione, benché siano da segnalare alcune defaillance qua e là. La direzione del maestro Juan Carlos Lomónaco ha convinto, mostrando un buon controllo dell'orchestra ma anche improvvisi anticipi e ritardi nei confronti del canto, segno di una scarsa frequentazione dell'opera e di un'orchestra abituata a star più sul palco che in buca. I tempi staccati dal maestro Lomónaco tendevano per lo più al solenne e al lento.

Soppesate tutte le mie osservazioni, potrei definire questa produzione, teatralmente e musicalmente, più o meno fedele al lavoro di Da Ponte e totalmente fedele alla musica di Mozart. In definitiva, sono convinto di aver assistito a una recita molto buona delle Nozze di Figaro, il che mi ha piacevolmente sorpreso, data la poca tradizione operistica di Mérida. La mia cronaca potrà risuonare come le parole di un pedante, cosa che probabilmente sono, ma l'ho scritta dal principio alla fine con tutta l'onestà possibile. È stata una buona produzione e spero che quest'opera possa tornare presto, non voglio perdere la speranza.