Don Giovanni nella calura

 di Andrea R. G. Pedrotti

Uno strepitoso Carlos Alvarez, Don Giovanni per eccellenza dei nostri giorni, ravviva e anima l'allestimento, altrimenti poco avvincente nella sua estetica ridondante e statica, di Franco Zeffirelli all'Arena di Verona. Non convincono alcune scelte musicali del direttore Stefano Montanari, ma Alvarez è comunque circondato da un cast di livello (con, fra gli altri, il Leporello di Alex Esposito e la Donna Anna di Irina Lungu) che garantisce il successo.

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la recensione della recita del 17/07/2015

VERONA, 4 luglio 2015 - Avvinta dall'afa che sta stringendo d'assedio Verona in questi giorni, l'Arena accoglie il quarto titolo dell'Arena Opera Festival 2015. Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart non è probabilemente il titolo più adatto ai grandi spazi che ospitavano noi e un pubblico, invero, piuttosto numeroso, ma il risultato non è stato affatto deludente, pur senza entusiasmare.

Don Giovanni è probabilmente l'opera più ottocentesca di Mozart, scritta solo quattro anni prima della dipartita del genio di Salisburgo, appare specchio del crepuscolo della sua esistenza rovinata e vessata in vita dall'oppressiva presenza del padre Leopold, ma che -per certi versi- gli ha consentito di ottenere l'immortalità artistica, per la quale spesso non è sufficente il solo genio.

Come in occasione di Aida [leggi la recensione], la regia e le scenografie erano a firma di Franco Zeffirelli.

La messa in scena era di carattere prettamente cinematografico, come nello stile del regista fiorentino, con un grande impianto fisso, pochi elementi mobili, quali alcune statue presenti durante l'incontro dell'impenitente donnaiolo iberico con il Commendatore presso la tomba dello stesso, una tavola per la cena finale e poco altro. Problematici alcuni eccessivi rumori di scena, all'ingresso di cavalli e asinelli e molte controscene dall'impatto ridondante, come nel corso della seconda aria di Zerlina, “Vedrai carino”. A far da contraltare ad alcuni elementi tradizionali, ma caricati all'eccesso, abbiamo riscontrato alcune indicazioni di regia fin troppo statiche. All'inizio dell'opera, per esempio, Donna Anna entra sul palco composta all'eccesso, quasi avesse appena pareggiato una tediosa partita di bridge con Don Giovanni, piuttosto di aver appena vissuto un fallito tentativo di consumare un rapporto carnale. Anche nel finale dell'opera (ci piace prendere due esempi agli estremi per contenere il tutto), quando il Commendatore stringe la mano del dissoluto, questo resta immobile, senza alcuna espressione. Per fortuna Don Giovanni era Carlos Álvarez e il pathos è passato ugualmente nella sua totalità.

Regia sicuramente tradizionale, ma con cambi scena molto slentati a discapito del necessario continuum narrativo e drammaturgico. Belli i classici costumi di Maurizio Millenotti, bellissime le luci di Paolo Mazzon. Ingiudicabile la coreografia di Maria Grazia Garofoli, con qualche accenno nella confusione della scena del matrimonio e sparuti movimenti laterali non distinguibili da quelli delle altre masse artistiche.

Carlos Álvarez è presumibilmente il miglior Don Giovanni a noi contemporaneo, preciso nel fraseggio quanto nella musicalità, è interprete carismatico e passionale.

La voce è bella e rotonda, la proiezione perfetta, tanto da consentire al pubblico di apprezzare ogni più piccola sfumatura, seppur innanzi a più di diecimila persone. A lui va il merito dell'interpretazione del momento più felice dell'intera serata, con un “Deh vieni alla finestra” dall'intensità memorabile.

Sul versante femminile primeggia la Donna Anna di una sempre elegantissima Irina Lungu, la quale, nonostante il debutto nel ruolo e una regia che ha ben poco valorizzato l'interiorità del suo personaggio, si conferma uno dei migliori soprani lirici del panorama operistico internazionale. Controlla con misura la voce, esprime con gusto e musicalmente non si nota alcuna sbavatura. Speriamo sinceramente di riascoltare la sua Donna Anna, magari - niente contro l'Arena, s'intende- in un teatro al chiuso, per poter apprezzare maggiormente alcune dinamiche espressive.

Discreto il Don Ottavio di Saimir Pirgu, la voce giunge bene al pubblico, anche se l'interpretazione non è sicuramente delle più passionali, con una recitazione anonima e un fraseggio piatto e poco incisivo. Bene anche la Donna Elvira di Maria José Siri, la quale pare soffrire il debutto nel ruolo nel corso delle prime battute, per domare, successivamente, la parte con la consueta classe e professionalità. Bella la sua esecuzione dell'aria “Mi tradì quell'alma ingrata!”

Molto bravo Alex Esposito, come Leporello, il quale insiste troppo in alcuni portamenti espressivi e accenti fin troppo marcati. Comunque il baritono bergamasco mette in luce le sue ottime qualità vocali e la sua recitazione disinvolta. Molto sfortunato, durante l'aria del catalogo, per un errato applauso del pubblico a metà del pezzo e per un incidente, si spera privo di conseguenze, avvenuto subito dopo in platea. Discreti, senza entusiasmare, il Masetto di Christian Senn e la Zerlina di Natalia Roman.

Il commendatore di Rafal Siwek ha una bella voce, ma l'emissione è troppo cavernosa e la dizione pesantemente deficitaria.

Stefano Montanari dirigerebbe bene, se non fosse per una fastidiosissima tastiera, a funger da fortepiano, che viene fatta imperversare in lungo e in largo nella partitura, storpiando il senso che Mozart le avrebbe voluto conferire. La romantica partecipazione di Don Ottavio in “Dalla sua pace” viene completamente svilita da un intervento del finto fortepiano completamente insensato, sia punto di vista drammaturgico sia da quello filologico. Sottolineiamo come fosse stata tradita la filologia, non perché ne siamo degli incalliti sostenitori, ma perché questa non andrebbe sbandierata ai quattro venti, quando, per un eccesso di personalismo, viene meno il rispetto per la partitura. Per il resto Montanari tiene bene l'equilibrio fra buca e palcoscenico, con qualche sbavatura minuta e una precisione decisamente perfettibile negli assieme che non sempre vengono eseguiti con amalgama impeccabile. I tempi sono leggermente accelerati, senza eccedere. Forse si sarebbe gradita una maggior cura dei colori e un clima più riflessivo e mistico (senza essere noioso) nel terzetto “Don Giovanni a cenar teco”, quando la rincorsa dell'orchestra è parsa decisamente troppo celere.

Il coro, diretto da Salvo Sgrò, esegue bene i pochi numeri in cui viene coinvolto. Corpo di ballo preparato, come sempre, da Renato Zanella, mentre il direttore degli allestimenti scenici era Giuseppe De Filippi Venezia.

L'edizione era nella consueta versione mista di Vienna e Praga.

foto Ennevi