Altra Floria, altro Mario

 di Andrea R. G. Pedrotti

 

Proseguono le recite di Tosca all'Arena e si alternano gli interpreti dei due amanti, questa volta Elena Rossi e Dario Di Vietri, giovani con potenziali su cui contare per il futuro. Sul podio convince Fabio Mastrangelo e lo spettacolo di Hugo De Ana pare prendere quota di recita in recita, dopo una prima funestata dal malore di Julian Kovatchev.

VERONA, 16 luglio 2015 - Torna Tosca all'Arena e torna con un risultato decisamente migliore, rispetto alla recita di cui abbiamo reso conto lo scorso giugno su questa stessa testata [leggi la recensione]. Anfiteatro non particolarente gremito, causa dell'afa soffocante e della giornata infrasettimanale. Non c'era la luna a salutarci dall'inchiostro bluastro della volta celeste, ma un brillante firmamento ha accompagnato l'intera serata. Finalmente abbiamo ritrovato la pacifica ala salutarci benvola, quasi rispondesse, col suo colore rosato, alla tenue porpora che veniva da dietro la scena.

Maggiormente affinata, la regia di Hugo de Ana riempiva gli spazi in maniera consona e appropriata, priva delle dipersioni della première. Ovviamente molto era da imputare al recentissimo malore che aveva colto il maestro Kovatchev e al quale auguriamo ancora di cuore una pronta guarigione.

Spettacolo, dunque, più discreto, con colpi di cannone dall'effetto meno invasivo acusticamente, ma di grande apporto emotivo.

Elena Rossi non è sicuramente un'artista eccezionale come Hui He, ma la sua è una Floria Tosca di assoluto rispetto. La ricordavamo nel 2013 a interpretare la sarcedotessa nella celebre “Aida del centenario” e ora la ritroviamo piacevolmente in un ruolo da protagonista importante come quello della cantante romana. Disinvolta scenicamente si mette in luce per un buon fraseggio e interpretazione di discreto livello.

Decisamente bene il Cavaradossi di Dario Di Vietri: il giovane tenore italiano deve ancora affinare l'espressione e proiettare meglio lo squillo, ma l'intonazione è sicura e il suono corre sicuro in tutta l'Arena. Come già scritto in occasione del suo Turiddu al Filarmonico di Verona [leggi la recensione], considerata la giovane età, può dimostrarsi una buona carta da giocare per il futuro, nel purtroppo scarno panorama di tenori drammatici.

Come Scarpia ritroviamo Marco Vratogna, il quale appare più sicuro e meno burbero che alla prima. E' presente ancora qualche portamento di troppo, ma il personaggio nel suo complesso è reso in maniera più efficace e convincente. Solenne quanto basta nel coreografico Te Deum areniano ed epurato dalle frequenti risate ridondanti che hanno caratterizzato la recita del 26 giugno.

Se non fossero stati l'anagrafe e il trascorrere degli anni a costringere Vittorio Gasman, Gino Cervi o Vittorio De Sica a lasciare le scene, questi si sarebbero sicuramente trovati in notevoli ambascie di fronte al magistero d'arte scenica snocciolato da Nicolò Ceriani. Il baritono era impegnato, questa sera, nel doppio cimento del Sagrestano e di Sciarrone, entrambi ben cantati, ma sopratttto resi visivamente in modo tanto diversificato, quanto efficace. Il primo è un chierico di personalità appropriata al carattere del ruolo, mentre Sciarrone, pur non cantando spesso e indossando un costume simile a quello dei colleghi, era caratterizzato da una mimica tanto perfetta e misurata da catturare in più occasioni l'attenzione sottraendola agli altri intepreti.

Completavano il cast l'Angelotti di Deyan Vatchkov, il Carceriere di Romano Dal Zovo e il pastorello di Federico Fiorio.

Da sottolineare l'ottima concertazione del maestro Fabio Mastrangelo, veemente o ordinato allo stesso modo, conferisce pathos alla partitura con dinamiche consone al dramma, buon equilibrio fra buca e palcoscenico; rispetto per i cantanti e la scrittura musicale.

Finalmente ritroviamo il coro che negli anni scorsi ci aveva regalato tante soddisfazioni. Se lo spazio concesso al coro nel capolavoro pucciniano è circoscritto, il complesso scaligero ha comunque modo di mettere in luce nuovamente un bellissimo amalgama vocale, colore brunito e pastoso, vibrante, omogeneo e passionale in ogni passaggio. Probabilmente Salvo Sgrò ha impiegato qualche tempo per trovare le misure alla grande massa e agli spazi (ricordiamo la prova eccellente nella Lucia al Filarmonico), ma ora pare che ogni alchimia sia dosata alla perfezione.

Molto bene anche il coro di voci bianche A.d'A.M.U.S, diretto da Marco Tonini. Questa non è assolutamente una novità, in quanto quella presente pare una generazione fortunata per i giovani cantori. Diciamo fortunata perché spesso può capitare di non trovare bambini che assieme formino un amalgama di sicura qualità, vuoi per la voce cangiante, vuoi per il minor materiale a disposizione.

Vista la cresente qualità della produzione, il nostro consiglio resta, come sempre, quello di recarsi in Arena per godere dopo 93 edizioni e 102 anni storia di questo magico rito che torna a vivere. Forse quest'anno abbiamo atteso un po' troppo per ritrovare la magia, ma per fortuna, è arrivata a rinfrescare (si spera non a scaldare) le estati venete.