Amore e morte, a occhi chiusi

 di Suzanne Daumann

In splendida forma e perfetto affiatamento, Kristine Opolais e Jonas Kaufmann guidano una magnifica interpretazione musicale dell'opera pucciniana. Tale da far dimenticare una messa in scena, di Hans Neuenfels, in cui sembrava mancare tutto tranne il superfluo.

MONACO di BAVIERA, 28 luglio 2015 - Fin dove può spingersi il diritto di un regista di interpretare l'opera di un compositore, di un librettista? E, prima di tutto, ne ha il diritto? Perché il pubblico deve oggi tener conto dei punti di vista di queste nuove divinità da stadio invece di vedere e intendere le opere tali e quali sono state create dai loro autori, formandosi poi un proprio punto di vista?

Perché, dunque, il pubblico della produzione di Manon Lescaut di Puccini, alla Bayerische Staatsoper, produzione di questa stagione ripresa nell'occasione del Festival operistico monacense, deve leggere su uno schermo le personalissime note di Hans Neuenfels, che rimpiazzano anche le stesse parole del librettista? Perché dovrebbe vedere i cori in costumi grotteschi, una sorta di tute grigie, con fianchi e glutei enormi come nelle veneri paleolitiche? E perché mai, in nome dell’Abbé Prévost, i movimenti dei personaggi sono in netto contrasto con ciò che dice la musica? Ciò contraddice, mette in caricatura e distorce i propositi di Puccini. Così, dalla prima scena, si può immaginare attraverso la musica la scena come Puccini l’ha ideata, e lo scarto fra la vista e l'udito è perfino doloroso per il cervello. Così, il maestro di danza del secondo atto è già caratterizzato come un personaggio ridicolo nella partitura, ed è superfluo trasformarlo in una scimmia per enfatizzarne l'effetto.

Attraverso una scenografia (Stefan Mayer) e dei costumi (Andrea Schmidt-Futterer) essenziali, d'altra parte eleganti e gradevoli a vedersi, il regista vuole situare la vicenda fuori dal tempo, ignorando che la tragedia di Manon è possibile solo nel suo contesto storico. Per come ci è presentata qui, non si può comprendere ciò che avviene se non si conosce già bene l'opera. Tutto è compresso, simbolizzato, salvo la camera di Manon del secondo atto e il calesse del primo, che, però, è trainato da umani impennacchiati come cavalli da circo. Cavalli? Nessuna locanda, nessuna prigione, nessun imbarco al porto… Come comprendere l'arresto, la deportazione, il come e il perché? Rimaniamo nel limbo fra il mancante e il superfluo.

Per fortuna, musicalmente questa produzione è pura gioia, senz'altro esemplare. Alain Altinoglu dirige l'eccellente orchestra della Bayerische Staatsoper con una finezza e una sensibilità da pelle d'oca. C'è tutto Puccini: forza drammatica, sottigliezza intimista, dolore, humor.

Il cast è assolutamente all'altezza: il baritono Markus Eiche, voce di velluto nero, incarna Lescaut con l'energia impulsiva del personaggio; Roland Bracht è Geronte, fra dignità e perfidia. Citiamo ancora il notevole tenore Ulrich Reß, il maestro di ballo, con l'altro tenore, Dean Power, come Edmondo.

Kristine Opolais è Manon. La sua voce ampia e generosa, rotonda e dolce, s'accorda perfettamente con quella del suo Des Grieux, Jonas Kaufmann. È, oggi, al culmine della sua forma, il colore più scuro della voce, che aveva un tempo un che di artificioso, appare adesso naturale ed esatto. Entrambi si impegnano totalmente, a fondo, si abbandonano ai loro personaggi, prima luminosi e raggianti fino al più profondo abisso di dolore. La scena finale, su un palco completamente vuoto, è di rara intensità. Sono vestiti entrambi con completi identici: riuniti, finalmente, soli contro tutti. L'armonia con l'orchestra è perfetta, i pianti risuonano, l'amore si dispiega un'ultima volta in un ardore doloroso, e si resta senza fiato, scossi e tremanti come quei due amanti là sul palco.

Tempesta d'applausi, di acclamazioni, battimenti di piedi, ringraziamenti interminabili. Il pubblico ricompensa la generosità degli artisti. Malgrado l'allestimento, una serata d'opera formidabile.